Al palazzo di Giustizia di Carlo Casalegno

Al palazzo di Giustizia Al palazzo di Giustizia (Dal nostro inviato speciale) Roma, 26 gennaio. Ai molti misteri inesplorati dell'affare Spagnuolo due giorni fa s'è aggiunto un nuovo enigma: perché proprio l'altro ieri, in piena tempesta, il procuratore generale di Roma ha ripreso il procedimento contro Almirante, una delle grandi inchieste politico-giudiziarie che i suoi accusatori gli rimproverano, a torto od a ragione, d'avere insabbiato? In Quest'atmosfera di sospetto, e per taluni di paura, stenta a trovar credito l'ipotesi, pur verosimile, d'una coincidenza casuale: cioè che Spagnuolo, esaurito in termini abbastanza brevi (otto mesi dall'autorizzazione della Camera a procedere contro Almirante) l'esame delle dieci casse dì documenti raccolti da Bianchi D'Espinosa, abbia iniziato il suo lavoro di inquirente senza curarsi delle polemiche attorno al suo nome. Forse un gesto d'indifferenza spavalda, e magari divertita, risponde alla natura dell'uomo; ma il momento giustifica i dubbi di guanti interpretano l'iniziativa del magistrato come una ricerca di copertura politica, o come un colpo di coda, o come un monito discreto ad amici che, coinvolti in altre indagini « dormienti », meditassero di abbandonarlo. Anche se la prima ipotesi risponde ai vero, ci si deve rammaricare che il più importante processo politico del dopoguerra, il primo contro un partito e il suo segretario, il più incerto sotto il profilo costituzionale, tocchi nella fase istruttoria al magistrato più discusso d'Italia. Diviene ancor più urgente che Spagnuolo venga o assolto e riabilitato da un'indagine al di sopra d'ogni sospetto, o sospeso e sostituito: quest'incertezza toglie credibilità all'indagine sul neofascismo, come ai procedimenti sulla gestione della Rai e dell'Anas che il procuratore generale di Roma potrebbe rimettere in moto da un giorno all'altro. Sul caso Spagnuolo si stanno avviando quattro inchieste, sull'affare Coppola-Mangano si prepara un processo; ma è vano illudersi che sia vicino il giorno in cui conosceremo la verità su questo mistero inquietante. La molteplicità stessa delle indagini, con i cento pretesti per ritardarle, sembra aggiungersi alle intricate ramificazioni dello scandalo, e alla resistenza degl'interessi minacciati, per rallentare il chiarimento necessario. Purtroppo il ritardo nuoce al prestigio dello Stato, logora la fiducia dell'opinione pubblica, alimenta le voci di Grande Congiura che nascono sempre dagli enigmi non risolti. E questa volta i pericoli sono particolarmente gravi, perché il gioco dell'allarmismo coinvolge la classe politica, la polizia e la magistratura: due organismi che fino a prova contraria possiamo giudicare sani, ma che forse hanno sbagliato non isolando le pecore nere con sollecito rigore. Nell'attesa, o nella speranza, di conoscere dalle inchieste ufficiali tutta la verità, si possono raccogliere ipotesi, non esprimere certezze. Chi sa, non parla; chi conosce qualche frammento della storia e ne parla chiede di non essere nominato; anche personaggi ufficiali si perdo¬ no tra le voci; e taluni che potrebbero dire qualcosa sul mondo in cui è scoppiato lo scandalo preferiscono il silenzio: s'avverte una sorta d'inquietudine per possibili vendette, un vago timore di ritorsioni giudiziarie. Ma le notizie finora disponibili consentono almeno di smentire le paure della Congiura, e in certo modo d'isolare — senza prevenire l'ultima sentenza — il caso Spagnuolo. Non si vedono indizi che possano far sospettare un complotto di grande politica, un regolamento di conti tra i maggiori gruppi di potere. Le piste rosse o nere restano al di fuori, anche se certi intrighi avvenivano in stanze del Viminale. Lo scandalo non sembra investire, se non attraverso uomini e uffici quasi tutti individuati, organi dello Stato: qualche sanzione e poche misure di sicurezza potrebbero estirpare il loglio dal grano. Le grosse baronie dell'economia pubblica e semipubblica non appaiono coinvolte in modo diretto, anche se certi nomi compaiono tanto nello scandalo delle intercettazioni telefoniche quanto nel caso Spagnuolo. Se una forza occulta sta dietro questo affaire, osservazioni attendibili la indicano nella mafia: e non solo perché Frank Coppola si presenta come il personaggio centrale del dramma, il filo bianco che unisce gli uomini dell'a Onorata società » ai funzionari di polizia e ai magistrati sotto accusa, ed ai politici che sotto inchiesta per ora non sono (o forse non saranno mai). Chi vede in questo scandalo nazionale la proiezione d'una storia siciliana, sostiene la sua ipotesi con qualche dato non confutabile. Tutti i personaggi che si muovono nel dramma, o vengono citati nelle polemiche di queste settimane, sono isolani; quasi tutti si sono conosciuti o hanno lavorato insieme a Palermo: Spagnuolo e Vicari, Mangano e Greco, Vitalone e Beneforti. Alcuni si trovarono insieme per qualche anno nella squadra mobile di Roma o in altri uffici al ministero dell'Interno; la destinazione ad incarichi diversi non spezzò la rete di conoscenze, professionali o no, stretta in Sicilia tra innocenti e colpevoli delZ'affaire: Coppola, Rimi, Liggio... Il tentato assassinio di Mangano, la manovra di Mangano contro Spagnuolo, il contrattacco del procuratore e le sue accuse contro uffici del Viminale hanno un chiaro fondo isolano. Su questi dati certi è facile costruire ipotesi incerte: far entrare nell'intrigo i misteri Scaglione e De Mauro, ricordare le risposte insoddisfacenti sulla morte dì Matteì, ricercare ì politici che della mafia si servono e perciò proteggono ì mafiosi, tentando d'individuare chi muova Mangano e per quali oscuri giochi di potere, quali in¬ teressi occulti ci siano dietro una faida personale che getta fango su magistratura e polizia. Forse la verità è meno complicata e romanzesca; forse Mangano difende soltanto se stesso con alleati ambigui, le rivelazioni sono le mosse di un duello, e certe grandi minacce sanno di modesto ricatto. Ma la cautela, necessaria davanti alle voci senza prove ed ai racconti che sfiorano la fantapolitica, non può indurre al l'eccesso opposto di sottovalutare le pieghe non decifrate dello scandalo. Su tre fatti non esistono dubbi: un fondo autentico di marcio alla radice delle accuse lanciate soprattutto da Spagnuolo, la presenza di elementi indesiderabili nell'apparato giudiziario e poliziesco, la complicità almeno di sottogoverno tra uomini politici e uffici dello Stato. Che fatti simili avvengano, sorprende soltanto gl'ingenui: ogni Paese conosce i suoi casi Watergate; sarebbe tragico se rimanessero impuniti e senza riparo. Al di là dei risultati delle inchieste, e delle misure che il governo potrà prendere, ancora una volta s'impongono due problemi generali: quello dell'inquinamento politico nell'amministrazione, e l'altro non meno serio dell'autogoverno della magistratura. Il Consiglio superiore, sinora un po' inerte, si trova di fronte a una prova decisiva. Carlo Casalegno

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