Paul Getty è tornato a Roma Lungo interrogatorio (3 ore) di Francesco Santini

Paul Getty è tornato a Roma Lungo interrogatorio (3 ore) Il play-boy rapito e liberato dopo sei mesi Paul Getty è tornato a Roma Lungo interrogatorio (3 ore) Ha accettato qualche domanda, ma non ha voluto dire che cosa gli hanno chiesto i magistrati - Vuol tornare a Innsbruck: " Lì si sta tranquilli. Non scio ma lavoro: dipingo, ho tante richieste " - Afferma di non aver mai visto in faccia i banditi - Alla domanda se è stato minacciato, dopo il rilascio, risponde: "Lasciamo stare" (Nostro servìzio particolare) Roma, 25 gennaio. Aristocratico e trasandato, Paul Getty è di nuovo l'hippy di sei mesi fa: il rapimento, il taglio dell'orecchio, le lunghe marce sui monti della Calabria non l'hanno cambiato. Affronta con distaccato snobismo giornalisti e fotografi. Accetta di rispondere a qualche domanda, mentre lascia il commissariato di Ponte Milvia, ma non vuol raccontare che cosa il procuratore della Repubblica di Lagonegro e il suo sostituto gli abbiano chiesto in tre ore di interrogatorio. «Sono stanco — dice aggiustandosi con il palmo della mano la chioma rossa e ricciuta che gli scende sulle gote — sono arrivato stanotte dall'Austria e voglio tornare a Innsbruck. Lì almeno sì sta tranquilli». «Ma perché non la smettono?», domanda seccato in inglese, indicando i fotografi che lo bersagliano con i flash a distanza ravvicinata. Gli risponde Philip Wolham, un giovane inglese che lo segue ormai da un mese. «E' il loro lavoro, lasciali stare e sorridi». «Anch'io lavoro — ci dice in fretta — a Innsbruck, non scio, dipingo: ho tante richieste. Sarò a Roma due giorni, poi di nuovo con i pennelli». Scende in fretta le scale del brutto edificio che ospita gli uffici di polizia e assieme alla madre e al ragazzo inglese sale su una vettura rossa della squadra mobile. «Dove andate?», domandano i cronisti mentre una ragazza della Rai si getta con il registratore all'interno della macchina. «Al ristorante», risponde Gail Harris dando una sculacciata alla giovane con il registratore. Alza la voce e sorridendo grida: «Ho fame, voglio tanti, tanti spaghetti. Lasciateci andare». Sale con loro l'avvocato Giovanni Jacovoni che fa, come sempre, una breve dichiarazione: «L'istruttoria è all'inizio — dice — non ci sono novità: Paul doveva puntualissare alcune cose. Lo ha fatto e lo farà di nuovo questo pomeriggio. L'appuntamento con i magistrati è per le 18,30: ora lasciateci andare a pranzo, basta con le foto, basta con le domande». Chiude di scatto lo sportello e la vettura della polizia parte a velocita sostenuta. Seguono strombazzanti le auto dei giornali, dei cineoperatori. Sono le due e trenta del pomeriggio e il corteo attraversa il Tevere, percorre la Flaminia, si immette per Villa Borghese chiusa al traffico, sulla corsia riservata agli autobus e ai taxi. I vìgili urbani fischiano sconcertati, ma nessuno si ferma. Ancora qualche minuto e la vettura si arresta nel cuore della vecchia Roma, in via dell'Anima, dove abita l'avvocato Jacovoni. Gail Harris dice al legale: «Voglio tanti spaghetti». Paul Getty accenna un passo di corsa, seguito dal giovane amico. Jacovoni li convince a fermarsi un momento. «Gail, rispondete per qualche minuto, qui nelle scale. Poi ci lasciano stare». — Se le mostrassero le fotografie dei rapitori, li riconoscerebbe? «No, non sarei in grado di farlo». — In sei mesi li avrà pur visti una volta. «No, mai visti in faccia». — Ha paura? «No, non ho paura". — E' stato minacciato? Paul Getty sembra esitare, volge rapido gli occhi verso l'avvocato che fa di no con la testa. Poi dice: «E' una domanda inutile: lasciamo stare». Si (riprende: «Ho avuto paura, molta paura in tanti momenti: quando mi hanno preso in piazza Farnese, poi dopo, tante volte, ogni giorno ». Gli domandiamo se è vero che mentre era prigioniero in Calabria aveva una radio. «Si, sentivo la radio». Ne ha annotato il numero di matricola? Sa che la radio è stata ritrovata ad Oppido Mamertina? Paul Getty sta per rispondere, ma interviene il legale: «Non fate domande che riguardano l'istruttoria. E' una cosa scorretta verso i magistrati ». — La famiglia Getty si costituirà parte civile contro i presunti rapitori qualora tutta la banda fosse individuata e arrestata? Paul Getty non sa che rispondere, «io penso a dipingere — dice — per queste cose c'è l'avvocato». Jacovoni dichiara: «Non ci costituiremo parte civile. Ma è prematuro per dirlo». Il colloquio s'interrompe. Ad affrontarne la conclusione c'è Gail Harris, che continua a dire: «Giovanni, ho fame. Voglio mangiare tanti, tanti spaghetti. Saliamo a casa». Un fotografo rincorre Paul Getty e gli chiede: «Solleva i capelli, ti faccio la foto all'orecchio». Il ragazzo appare contrariato, arrossisce e dice: «E' una foto di cattivo gusto, lasciami in pace». Poi, sottovoce, aggiunge: «Cafone». Sale di corsa le scale e scompare oltre il primo piano. A sera Paul Getty è tornato negli uffici di polizia. Lo interrogano sino a tardi il procuratore di Lagonegro Fanuele e il sostituto Rossi. Nella parentesi romana, l'istrutto¬ ria non sembra aver fatto molti passi avanti. I magistrati dal giovane Getty hanno voluto sapere se ha mai conosciuto Giuseppe La Manna, il trafficante di droga che per alcuni mesi ha fatto il «buttafuori» in un locale notturno della capitale che anche Paul aveva frequentato. In casa sua sono stati trovati venti milioni del riscatto, ma l'uo¬ mo si è difeso affermando che la somma gli era stata consegnata da due esponenti della malavita romana perché la cambiasse con soldi puliti. La Manna — secondo l'accusa — potrebbe essere un importante anello di congiunzione nella banda, ma non si sa quale sia stata la risposta di Paul. Francesco Santini