Duro processo all'onorevole di Paolo Vittorelli

Duro processo all'onorevole LEGGENDO IL LIBRO DEL PC LUCIANO RADI Duro processo all'onorevole Clientelismo, lacerazioni, stanchezza: ma non bisogna generalizzare, e nei tempi difficili si conoscono i migliori Si è parlato molto, in questi giorni, della nostra Costituzione. Ne hanno parlato alcuni dei personaggi più autorevoli della classe politica italiana. Si è discusso sul modo in cui la Costituzione funziona, sulle riforme o sui ritocchi di cui essa ha bisogno, su alcune amputazioni che una visione più audace potrebbe suggerire. Molte delle cose dette sono vere e sono giuste. Ma chi le ha dette ha sempre fatto intendere che l'attuale classe politica non avrà mai la forza e il coraggio di farle. E forse qui sta il nodo della questione, che valeva la pena di cominciare a sciogliere. Cos'è questa classe politica, come si compone, come si forma, come si entra a farne parte, su quale sistema di potere o di sottopotere essa poggia? hi punta di piedi E' un discorso che valeva la pena di cominciare. Si deve forse riconoscere all'on. Luciano Radi, democristiano, fanfaniano, amico di Forlani, deputato marchigiano come quest'ultimo, il merito di averlo aperto, anche se egli fa verso, è vero, di entrare in punta di piedi. Egli tratta, infatti, con riverente ossequio i grandi personaggi della de (da Taviani a Fanfani, da Forlani a Moro, da De Mita a Piccoli, da Piccioni ad Andreotti). Ma non li tratta tutti con lo stesso ossequio, traspaiono le sue preferenze e, alla fine, l'unico che si salvi veramente è Forlani. Ma, intendiamoci, l'autore di Buongiorno onorevole (Torino, Società Editrice Internazionale), presenta i suoi personaggi, l'ambiente nel quale si muovono, solo come una finzione. Egli dichiara nella premessa di non volere «riferirsi ad una esperienza di quaggiù », ma di volere solo riportare le « riflessioni di un uomo che ha avuto l'avventura di trasferirsi in un altro pianeta e di essere eletto in un parlamento extraterrestre ». Qui finisce però la finzione. Il quadro ci ricorda maledettamente un paese che ben conosciamo, in un'epoca a noi non meno nota. E l'esperienza ricavata dal deputato democristiano in seno alla de non è molto diversa da quella che si comincia a ricavare in seno a molti altri partiti italiani, in ogni parte d'Italia. Il quadro che ne scaturisce è spietato. Forse un po' troppo. «Elezioni! Elezioni.'», scrive Radi. «Si preparano gli schedari degli elettori che hanno avuto favori, coloro che hanno avuto anche una sola occasione di contatto con l'onorevole vengono censiti per essere sospinti nella mischia. Convincere cinquantamila cittadini a scrivere un nome sulla scheda è un compito diffìcile ». Non è proprio sempre così. Più un partito ha elettori, più degenera in organizzazione clientelare per la raccolta di voti di preferenza. Ma il rischio è grande: anche per partiti più piccoU; anche per quelli che riescono a imporre scelte di partito. Ne consegue la formazione di una classe politica che ha sempre di più tendenza a perdere ogni « carica ideale », a cessare di formarsi con l'apporto «di uomini capaci e preparati», proprio nel momento in cui «la realtà sociale del paese ha fatto un formidabile balzo in avanti». Dagli «steccati creati dai giochi di potere» è quindi conseguito « un grave elemento di crisi», che ha «determinato il graduale arretramento della nostra base interna rispetto alla realtà viva del paese », base di partito «formata da larghe rappresentanze di categorie, che pur assicurando un consistente numero dì voti, non svolgono ormai un ruolo traente nella società nazionale ». E qui il discorso potrebbe mutare secondo la base sociale di ciascun partito. Ma torna a presentare elementi di analogia non appena diventi di nuovo un discorso sul metodo di reclutamento di questa base, « base di comodo — afferma Radi — reclutata con operazioni di tesseramento controllate dalle oligarchie che ne sono al vertice ». Sicché, « il ricorso alle assemblee di base diventa una pura finzione'», proliferano le correnti, il discorso politico diventa solo una « foglia di fico che serve a coprire la aspirazione e i disegni personali », gli individui acquistano peso nel partito solo in base al « ruolo di sostegno che svolgono in favore dei personaggi che contano ». Ne consegue pertanto che i prescelti alle funzioni rappresentative lo sono in funzione « delle abilità manovratone e di mediazione dei gruppi » e non « di rappresentanza reale di valori » o di « doti creative e operative per tradurli in concrete linee politiche ». Diventa quindi deputato — secondo Radi — solo chi è capace di dispensare una « pioggia di favori », di provvedere ad una « assegnazione di incarichi», di esercitare « il controllo di una vasta rete di centri di potere», di accontentare tutti i propri uomini «secondo un preciso organigramma ». Mali contagiosi Anche questo è un ragionamento che si affievolisce nella misura in cui un partito è più lontano dal potere o dal potere nel potere. Ma il male è contagioso per tutti. Spesso una fetta piccola piccola di sottopotere lacera partiti e amministrazioni più di una grande battaglia politica o sociale. Tutto questo perché? Dopo quindici anni di queste amarezze, l'autore si domanda se non sia meglio tornare alla propria famiglia, alla piccola università di Camerino. Aule vuote, che si riempiono solo « quando c'è lo spettacolo pirotecnico dello scontro fra i capi », parlare alle sedie, congressi deserti: ne valeva la pena? A quel prezzo, forse no. Ma è proprio un prezzo che si deve sempre pagare? Nei tempi facili, spesso. E chi meno vale più è costretto a pagarlo. La professione del politicante è attraente per molti sfaccendati. Ma quanto durano? Mai più di una o due legislature. Poi passano. Come un vaiolo preso da bambini. La Repubblica ha avuto tuttavia una classe politica, che annovera anche uomini non inferiori per capacità e serietà alla maggior parte di coloro che ressero l'Italia dopo Cavour. Ma il difetto di questa classe politica è stato di non aver saputo espandersi, di non avere avuto la capacità di proliferare alla base, di non aver avuto il coraggio di fare appello a una larga partecipazione popolare. In parte ne ha colpa il sistema, che non prevedeva se non istituti rozzi o generici di partecipazione popolare, come il referendum. In parte, ma solo in parte, ne hanno colpa gli uomini che hanno retto il sistema, poiché ogni paese, tutto il paese, ha la classe dirigente che si merita e che finisce per esserne, bene o male, l'espressione. In tempi difficili come quelli che si preparano, però, la vocazione a dirigere il paese in crisi attrarrà meno proseliti. Sarà lo stesso paese in crisi ad essere più esigente. Allora forse diventerà di nuovo vero per tutta la classe politica quello che sentì il « partigiano Johnny » di Beppe Fenoglio quando partì in montagna. «JVeZ momento in cui partì, si sentì investito — nor death itself would nave been dìvestiture — in nome dell'autentico popolo d'Italia, ad opporsi in ogni modo al fascismo, a giudicare ed esegui¬ re, a decidere militarmente e civilmente. Era inebriante tanta somma di potere, ma infinitamente più inebriante la coscienza dell'uso legittimo che ne avrebbe fatto ». Paolo Vittorelli

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