Un'archeologia quasi "gialla" di Francesco Rosso

Un'archeologia quasi "gialla" INDAGINE SULL'ITALIA SOTTERRANEA: SICILIA Un'archeologia quasi "gialla" Non è tale soltanto per le vicende avventurose che accompagnano spesso le scoperte; ma anche per le beghe, le connivenze, i crimini che proliferano intorno alla ricchezza prima del nostro sottosuolo - "Abbiamo trovato appena il dieci per cento dei tesori nascosti": il resto, mancando un serio intervento dello Stato, lo tirano fuori i tombaroli e le ruspe devastatrici - La generosa lotta dei soprintendenti contro speculazione e indifferenza (Dal nostro inviato speciale) Palermo, gennaio. L'Italia sotterranea, cioè quel patrimonio invisibile, magari ignorato, che sta nel sottosuolo; questa era l'idea iniziale dell'indagine, ma è venuta alla luce anche quell'altra Italia sotterranea, con le trame, le beghe, le connivenze, anche i crimini, che tessono una ragnatela sotto cui si celano stoltezze e loschi interessi, dabbenaggini ed astuzie volpine. Prendiamo l'archeologìa, la ricchezza prima del nostro sottosuolo. Si pensa che templi, teatri, monumenti, necropoli, città dissepolte, siano il frutto di una ricerca scientifica condotta esclusivamente da studiosi, cioè dagli archeologi; invece, attorno a quei ruderi già tornati alla luce, o in attesa di tornare, si aggroviglia un po' di tutto, dai furti alla speculazione edilizia, alla palese omertà di chi dovrebbe intervenire a difesa di quel patrimonio che non è soltanto un fatto culturale, ma rende fior di miliardi col turismo. Templi e teatri Il discorso, che all'inizio pareva abbastanza facile, si è così fatto complesso per le molte componenti che si sono intromesse via via, e bisognerà forzatamente dividere la materia in capitoli, anche per non fare troppa confusione. Dicevo che il più cospicuo patrimonio sotterraneo d'Italia è quello archeologico e l'ho constatato direttamente in Sicilia di cui è stato scritto che «per la fowna triangolare è degna di essere ammessa fra le stelle » e ancora, che « è piena di cave e metalli e di ogni altro minerale ». La più cospicua ricchezza del proprio sottosuolo la Sicilia la possiede nell'archeologia; se l'isola è celebre in tutto il mondo deve ringraziare, oltre la mafia e le arance, i templi di Agrigento, Selinunte, Segesta, i teatri di Siracusa, Taormina, Palazzolo Acreide che attirano ogni anno milioni di visitatori. Ma tale ricchezza consiste esclusivamente in ciò che già sì vede, o sottoterra c'è ancora qualcosa di celato che l'archeologo ha localizzato, ma non ancora scoperto? E' la domanda che ho rivolto ai tre soprintendenti alle Antichità di Palermo, Agrigento e Siracusa che controllano tutta l'archeologia dell'isola. Le risposte sono queste. Vincenzo Tusa, Palermo: «Sepolto nel terreno, ed ancora ignorato, c'è almeno il novantacinque per cento; a Segesta, ad esempio, che conosciamo abbastanza bene, non abbiamo ancora localizzato la necropoli. Ed è una fortuna che sia così, almeno questa volta arriveremo prima noi dei tombaroli ». Ernesto De Mira, Agrigento: « Abbiamo scoperto forse il dieci per cento di quello che c'è sotto terra. Di tanto in tanto ubichiamo antichi insediamenti, qualche volta casualmente. Pensi a Morgantina, poco lontano da Piazza. Armerina; continuiamo a scavare e troviamo sempre sorprese ». Paola Pelagatti, Siracusa: « Ci siamo appena accostati al mistero archeologico della Sicilia; si conoscono i grandi centri perché hanno conservato grandiose vestigia del passato rimaste visibili nei millenni, ma nella Sicilia interna, fra le aspre montagne vi sono città e agglomerati urbani che le fonti storiche non citano e che attendono di essere scoperti da un caso fortuito ». Mirabili mosaici Il caso fortuito, sovente, risulta catastrofico; o sono i tombaroli a scoprire e saccheggiare le necropoli, o sono le ruspe a sconvolgere i resti di una città greca o romana. E' accaduto nelle vicinanze di Patti, durante la costruzione dell'autostrada Palermo Messina. La ruspa ha smosso dei ruderi, ed avrebbe continuato nel suo lavoro distruttivo se qualcuno non avesse telefonato alla Soprintendenza di Siracusa. Accorse il dott. Voza e ordinò l'alt. Vennero fuori mosaici di una villa romana dinanzi ai quali impallidiscono anche quelli di Piazza Armerina, celebri per le donnine in bikini. La scoperta creò un vespaio di guai. Intanto, bisognava rifare il tracciato della strada, ed erano centinaia di milioni che se ne andavano in fumo; tutto per delle pietre colorate, disse qualcuno. Stanno ancora studiando per trovare una soluzione. I mosaici sono salvi, ma chi può prevedere che cosa accadrà in futuro? Un certo signore intendeva costmirsi una villa poco lontano da. Tindari, ed incominciò gli scavi arbitrariamente senza chiedere la licenza edilizia. Anche in quel caso arrivò al dott. Voza una telefonata provvidenziale. Accorse immediatamente, bloccò gli scavi e trovò un altro, favoloso mosaico, pavimento di una villa romana. « Oltre al significato artistico, queste scoperte ne hanno anche uno sociale, — mi dice il dott. Voza —; significa che la "Villa del Casale" di Piazza Armerina non è un fenomeno isolato; è evidente che molti ricchi romani venivano a trascorrere le vacanze in Sicilia e si costruivano le sontuose ville che conosciamo. Quante ve ne sono ancora da scoprire? Proprio non le saprei rispondere ». Il caso del riccone attuale che voleva costruirsi la villa sui ruderi di quella del patrizio romano, ha avuto fasi drammatiche, con minacce epistolari e telefoniche al dott. Voza, ma per fortuna senza conseguenze. Più drammatici sono stati gli scontri fra la Soprintendenza ed il clero siracusano. Quando incominciarono i lavori per la costruzione del ciclopico santuario che doveva ospitare il simulacro in gesso policromo della Madonna che nel 1953 pianse alcune volte tra il 29 agosto ed il 1° di settembre, vennero alla luce i resti di una costruzione greca e alcuni bellissimi mosaici romani. La prof. Pelagatti e il dott. Voza imposero la sospensione dei lavori, il santuario doveva essere costruito in un altro luogo. Ma dove, se non solo a Siracusa, ma in tutta la Sicilia, appena gratti un po' il terreno vien fuori qualcosa degno di essere conservato? Il dott. Voza ricevette prima lusinghiere proposte, poi minacce aperte, lo svegliavano la notte per gridargli al telefono insulti e promesse di morte, entrarono nel suo garage e gli sfasciarono l'automobile. Risultato: la Soprintendenza dovette asportare i mosaici, lasciandone alcuni frammenti che non toccavano le fondamenta della chiesa. I ruderi dell'antica costruzione, invece, sono stati inglobati nell'interno del santuario, ed i fedeli pregano addossati a quelle vestigia, forse di un tempio pagano. Case e industrie I soprintendenti sono sempre alle prese con qualcuno che si oppone alla loro attività di scopritori e conservatori, e spesso arrivano sul posto quando già è accaduto l'irreparabile. A Naxos, ad esempio, vicino a Taormina, le ruspe che scavavano per la costruzione di un condominio rivoltarono con meccanica noncuranza una necropoli di quattromila anni fa, rovinando così materiale dì inestimabile valore non soltanto per i «bei pezzi» da sistemare in museo, ma per le deduzioni che avrebbe potuto trarre lo studioso sui primi abitanti della Sicilia. Lì non fu possibile fermare la ruspa se non quando le fondamenta del palazzo furono gettate; per fortuna non tutta la necropoli fu devastata, se ne salvò una parte. Ancor più dura fu la lotta contro le industrie che invadevano il litorale fra Augusta e Siracusa. Sorsero i giganti della petrolchimica e dei fertilizzanti a Priolo, avvolsero la celebre e splendida Megara Hìblea, soffocarono Tapsos. Non bastava ancora, a Tapsos uno stabilimento decise d'ingrandirsi costruendo nuovi capannoni su zona di alto interesse archeologico. La Soprintendenza bloccò il progetto, ma provocando una imprevedibile reazione; la società interessata disse duramente: «Se non riusciremo a costruire, dovremo licenziare parte delle maestranze». Licenziarono infatti, ottanta operai che, istruiti a dovere, andarono ogni giorno a protestare sotto le finestre della soprintendente. Assediati, minacciati, insultati, la prof. Pelagatti ed il dott. Voza trovarono una via d'uscita per placare quelle ire; cercarono loro stessi lavoro agli ottanta operai. E sì che fanno il loro mestiere di cani da guardia, oltre che di gente di cultura, con abnegazione, talvolta rimettendo qualcosa del proprio stipendio. Lo Stato li lascia in condizioni che dire d'indigenza è poco. In Sicilia di miliardi per la ricerca archeologica ve ne sono, Stato, Regione e Cassa per il Mezzogiorno stanziano capitali più che cospicui, ma è tutta l'organizzazione che traballa. Nei luoghi ritenuti d'interesse archeologico, le Soprintendenze hanno degli « assuntori di custodia », che lo Stato retribuisce con undicimila lire al mese lorde; costoro, se devono telefonare al soprintendente che qualcosa non funziona, pagano in proprio la telefonata. « Ora non si fanno più assunzioni nuove, quelli che ci sono continueranno fino ad esaurimento, mi dice Vincenzo Tusa, ma non è che lo Stato si sia vergognato al punto da aumentare quell'offensiva paga ». Il malumore è la nota dominante nelle Soprintendenze, e non solo siciliane. La legge sulle dirigenze, che ha invogliato cen¬ tinaia di grossi burocrati, e anche di soprintendenti, a dimettersi con pensioni di molto superiori allo stipendio ed un bel gruzzolo di buona uscita, ha squinternato le Soprintendenze, e le sta distruggendo con cervellotici trasferimenti. Vincenzo Tusa dovrebbe andare ad Agrigento cambiando il posto con Ernesto De Mira che dovrebbe andare a Palermo. Paola Pelagatti è stata trasferita a Torino, ed a Siracusa, probabilmente, nomineranno Voza, il solo che non ci rimetterebbe. Tutti hanno avviato lavori importantissimi, che vorrebbero completare. Invece, niente, devono andarsene. Mario Napoli, ad esempio, dovrebbe lasciare il recupero delle tombe greche scoperte a Paestum, i soli esempi di pittura greca al mondo, per andare a Taranto. Ha detto che non si muoverà, nemmeno coi carabinieri. Pare che lo abbiano deferito al consiglio di disciplina. Francesco Rosso Tindari. Un angolo suggestivo della Sicilia greca: turisti tra le rovine del Ginnasio (Telefoto)