Andreotti risponde a Montanelli

Andreotti risponde a Montanelli TRIBUNA LIBERA; UN INTERVENTO PC SUL REFERENDUM Andreotti risponde a Montanelli Sul referendum antidivorzista, come su altri problemi d'attualità, La Stampa non è chiusa a voci autorevoli che pure dissentono dalla linea del giornale. Qualche anno fa un celebre pittore fu invitato ad Assisi per visitare la grandiosa raccolta di arte sacra contemporanea colà allestita sul tema « Gesù lavoratore ». Durante il viaggio in macchina chiese, incuriosito, perché mai avessero scelto un titolo così strano. Chi lo accompagnava parlò a lungo della famiglia di artigiani, della scelta dei collaboratori tra rumile gente della pesca ecc. E il pittore, stupito, disse: « Ma perché queste cose non le fate conoscere? ». L'episodio mi è tornato in mente — sì licet parva componere magnis — domenica leggendo il duro articolo di Montanelli sul referendum. Molti dei quesiti che egli pone non li avrebbe affacciati se avesse dato uno sguardo, oltre che agli atti del lungo e civilissimo dibattito parlamentare, alle conferenze stampa dei comitati antidivorzisti formati da persone non meno laiche di Fortuna e di Baslini, e alle dichiarazioni delle Giuriste democratiche che sono estranee sia ai «cattolici del boia » che ai « cattolici della coscienza». Montanelli cade in un primo errore vedendo solo cattolici tra i contrari al divorzio. Questo non è vero. Non solo personalità inequivocabilmente non cattoliche si sono dichiarate antidivorziste, ma in alcuni centri a maggioranza assoluta comunista e socialista le firme alla richiesta del referendum hanno superato la maggioranza degli elettori. E non è irrilevante che, per venti anni e più, nessun gruppo politico avesse preso iniziative per introdurre il divorzio. Le proposte isolate del povero onorevole Sansone erano disattese dallo stesso partito socialista. Non si può quindi — né prò né contro — esaltare l'argomento come indice di civiltà. Se, inoltre, non si è prigionieri della bizzarra bipartizione dei cattolici raccolta da Montanelli, si vedrà che il cammino del cattolico democratico è volto in senso tutto diverso. Difendendo la irrevocabilità dell'impegno matrimoniale ci si è allontanati dalla anacronistica concezione del matrimonio solo civile visto come concubinato, per chiedere un rispetto globale del vincolo, quale che sia il modo di esprimerlo. Ferma questa mia convinzione personale, nel 1971 partecipai ad un tentativo serio di superamento della controversia, proponendo di studiare il riconoscimento statale — a richiesta degli interessati — di ogni matrimonio religioso (cattolico, israelita, mussulmano ecc.) garantendo, ai cittadini che scegliessero quella forma, il crisma della validità giuridica degli impegni assunti. Sì obiettò che con ciò si sarebbe violato il principio dell'uguaglianza dei cittadini: ma dove sta scritto, se l'ipotesi era che fossero proprio essi a chiedere allo Stato « quella » regolamentazione matrimoniale? Si evitava inoltre il divorzio senza il consenso dell'altro coniuge, ma era norma che si sarebbe dovuta estendere anche al matrimonio civile, dove la scomparsa anche dell'elemento della « colpevolezza » ha creato ve¬ ramente la dittatura di uno dei due sposi. Comunque non spettava a me andar oltre e vidi sempre con pena e scetticismo i tentativi di eludere... all'italiana il referendum. Ma i referendum — dice Montanelli — dovrebbero riferirsi solo a leggi che impongono obblighi non a quelle che danno solo facoltà. Anche qui c'è un equivoco. Il matrimonio non può essere visto come un fatto riguardante un singolo cittadino (e neppure tutti e due i contraenti) ma interessa direttamente i figli e indirettamente l'intera società. Possiamo qui introdurre il concetto che anche alcuni favorevoli al divorzio sono contrari al modo con cui lo hanno fatto approvare Fortuna e Rasimi. Furono infatti respinti tutti gli emendamenti che offrivano qualche garanzia, non solo da noi reputata essenziale: stabilire, ad esemplo, che il giudice possa sospendere la procedura se ne venga un danno grave all'altro coniuge o ai figli. E fissare obblighi seri di provvedere alle esigenze finanziarie del coniuge ripudiato: la disciplina degli alimenti, estesa dalle separazioni al divorzio, è insufficiente e lo si sa benissimo. Non si dica che è materialistico occuparsi di questo lato. Negli Stati Uniti vige un meccanismo tanto rigoroso che un mio conoscente dovette lasciare anni fa un incarico di governo e tornare alla libera professione perché lo stipendio dello Stato non gli consentiva di pagare ogni mese mille dollari a testa alle tre mogli precedenti (o aveva un fascino unico o era sfortunato, perché nessuna si era risposata). A questo riguardo mi si perdonerà l'autooitazione di un mio libro modesto ma non inutile se ha contribuito a far superare l'iniqua norma che lo Stato dovesse accogliere le sentenze ecclesiastiche di nullità senza assicurarsi la regolamentazione finanziaria. Sentenziare che un matrimonio dichiarato nullo ex tunc non sia mai esistito, è infatti, civilmente parlando, un'assurdità. Gli italiani, si osserva, hanno fatto un « parco uso » del divorzio. L'argomento è a doppio taglio. I molti milioni di italiani in attesa, di cui ci parlavano i divorzisti, non esistevano. Ma l'innocuità o il danno di una legge del genere non si possono misurare a breve termine. Il timore è che l'esistenza del divorzio indebolisca la serietà della scelta matrimoniale, minando la coscienza dei giovani, già tanto frastornata da molti altri impulsi sconvolgenti. Non a caso il filone neofreudiano che guida queste campagne nel mondo pone, come successivi al divorzio, gli obiettivi del libero aborto, del diritto alla droga e perfino del cosiddetto matrimonio fra « omogenei » (nel Benelux è dovuto intervenire il vescovo perché un parroco non benedicesse una unione del genere, per di più con una ripresa televisiva). Il divorzio può risolvere casi penosi, è vero; ma se vi è tanta sproporzione tra il male di una famiglia e quello potenziale e perenne di migliaia di famiglie non è ingiusto che la società possa pretendere un sacrificio. La formula odierna del matrimonio cattolico, identica al vecchio rituale protestante, parla non a caso di unione « nella buona e nella cattiva fortuna ». C'è in effetti il pericolo che la preparazione del referendum degeneri in una rissa degradante. Ma se le forze politiche manterranno — e perché non dovrebbero? — lo stesso civile linguaggio tenuto alla Camera e al Senato questo non accadrà. Bisogna però (lo consenta Montanelli) che tutti contribuiscano al tono giusto. Con il suo articolo di domenica egli ha fatto un po' come quegli zelanti che, volendo por termine ad una gazzarra appena iniziata, si mettono ad invitare gli altri a star zitti, con voce cosi alta da moltiplicare la confusione. Non penso davvero di aver esaurito quanto si può dire sul tema. Ma non mancheranno occasioni. Chiudo con un ricordo storico. Nell'immediato dopoguerra Benedetto Croce scrisse che sarebbe stata una vergogna avere un cattolico ministro della Pubblica Istruzione. Pochissimi anni dopo, conoscendo meglio i cattolici democratici, Croce fu con Einaudi, Saragat, Romita, La Malfa, Sforza, Pacciardi e tanti altri a combattere insieme a De Gasperi e alla democrazia cristiana, la battaglia del 1948 all'insegna del superamento di ogni storico steccato. L'apocalisse — cioè la vittoria del fronte popolare — non ci fu proprio per questa reciproca grande impostazione prima ancora culturale che politica. E bene ha detto Montanelli che quella volta le trombe di allarme e di raccolta « non erano del tutto fuori posto ». Giulio Andreotti

Luoghi citati: Assisi, Stati Uniti