Il disgelo con la Prussia di Ennio Caretto

Il disgelo con la Prussia INCHIESTA SULL'ALTRO COMUNISMO: POLONIA Il disgelo con la Prussia Tra le varie aperture dei polacchi verso l'Ovest, la più impressionante riguarda la Germania federale - Essa rimuove antiche paure, consente di sperare in una pace durevole - Gierek tranquillizza i russi adottando la tattica dei "binari paralleli": dimostra cordialità a Pankow e, mentre chiede lo smantellamento delle basi missilistiche, invoca la presenza dell'Armata rossa (Dal nostro inviato speciale) Varsavia, gennaio. Per la prima volta in più di un secolo, i polacchi credono in una pace duratura. Negli ultimi quattro anni, ne hanno eretto abilmente le strutture politiche, così come hanno gettato le fondamenta della propria ripresa economica e civile. Favoriti dal disgelo, sulla scia dell'Urss, essi hanno prima firmato un patto di non aggressione e poi allacciato i rapporti diplomatici con la Germania federale; si sono riavvicinati agli Stati Uniti dopo la visita di Nixon; e hanno ristabilito con la Francia, dove Gierek si formò negli Anni Trenta, l'intesa sviluppata in passato sulla base di comuni interessi culturali e spirituali. Tutto ciò, mantenendo almeno formalmente i ferrei impegni col Patto di Varsavia: « Perché non si deve dimenticare che siamo il catenaccio del blocco militare sovietico in Europa », mi dice sorridendo Wojcieh Multan, dell'Istituto di ricerche internazionali. Gli ex- nemici E' impressionante soprattutto il mutamento nei confronti dell'ex-nemico tedesco. E' scomparsa l'atavica «paura della Prussia». Dopo il suggello della linea Oder-Neisse, nessuno teme più un'eventuale riunificazione delle due Germanie. Con Bonn, c'è un clima di buon vicinato e di collaborazione. Operai polacchi ci vanno periodicamente a lavorare, e le popolazioni di origine germanica possono emigrarvi. Varsavia è piena di turisti, commercianti e tecnici tedesco-occidentali, si studia la lingua un tempo odiata. « Forse noi vecchi non riusciremo mai a dimenticare gli orrori del nazismo » osserva Multan. « Ma un giorno i giovani dei nostri due Paesi, la prima generazione senza guerra, diverranno amici ». Chiedo alla gente che cosa l'ha colpita innanzitutto nell'Ostpolitik di Brandt, e mi risponde: « La sua, umiltà, quando si è inginocchiato sulla tomba del Mìlite Ignoto qui a Varsavia, e ha pianto ad Auschwitz, nei campi di sterminio degli ebrei ». Più di qualsiasi altro Paese, la Polonia riflette le speranze nella distensione dell'Europa orientale. Sicurezza e disarmo non sono per essa degli slogan, ma una realtà, o una prospettiva confortante. Nei rigidi limiti imposti dall'Urss, tenta di accelerare le grandi trattative in corso. « La soluzione del problema tedesco », afferma Multan, « ci offre una occasione storica, se non di eliminare i blocchi, almeno di colmarne il divario. Il rinvio o la rinuncia ai negoziati avrebbe conseguenze disastrose ». La Polonia considera gli accordi sulla riduzione delle forze e il controverso « terzo cestino » (la diffusione delle idee) un confine nel cui ambito le varie « vie nazionali al socialismo» agirebbero autonomamente. « Voi occidentali sbagliereste a mostrarvi inflessibili coi russi », sostiene Multan. « Fareste il nostro danno, quello dell'Ungheria, della Cecoslovacchia. Non dimenticate che Mosca misura la Realpolitik e la vita dello spirito con un meìro assai diverso da quello mitteleuropeo». Non importa solo ciò che essa fa in casa — dicono a Varsavia — ma anche ciò che lascia fare al di fuori. Con l'eccezione dei romeni, fino a pochi anni fa erano esclusivamente gli ungheresi a muoversi con disinvoltura all'interno del mondo comunista. Adesso, accertatisi delle benevole intenzioni della Germania federale, sono i polacchi ad assumere le più interessanti iniziative. La nuova realtà internazionale consente una diplomazia più sfumata. Riferiscono gli storici che Gomulka sognava di essere Ceausescu. Con maggiore realismo, Gierek bada a procurarsi i margini di manovra tanto saltuari quanto indispensabili. Aquila bianca / sovietici hanno sempre diffidato dei polacchi. Agiubei, il genero di Kruscev, sosteneva che « non c'è molto da aspettarsi da un Paese il cui emblema, l'aquila bianca, guarda ad Occidente ». Però Gierek li rassicura con la sua tecnica dei binari paralleli. Accetta investimenti da Bonn, ma apre al tempo stesso le frontiere con Pankow; discute sullo smantellamento delle basi missilistiche, ma insiste per la permanenza dell'armata rossa nella Slesia. « Non siamo più il ventre molle dell'Europa », commenta Multan. « E tuttavia il nostro destino è legato a quello della Russia ». Afferma una battuta che « la Polonia cambierebbe volentieri la sua sovranità poco usata con una diversa posizione geografica ». In realtà, per il regime l'attuale equilibrio è soddisfacen- te. Mentre l'Vrss accarezza il progetto di un'«unione socialista » dall'Elba al Mare di Bering, che comprenda anche gli eredi di Tito in Jugoslavia, esso propone un'integrazione a tre con la Germania Orientale e la Cecoslovacchia — «il triangolo di ferro » — che ipotizzi una certa indipendenza dal colosso. « Ma il regime non pensa certamente a isolarsi dall'alleanza », mi dice un funzionario del ministero degli Esteri, Stanawiz Dabrowa. « Il sistema si evolverà nella sua interezza ». Positiva, a tale fine, è giudicata l'espansione della Cee in Occidente, « un nuovo punto di riferimento per tutti, una svolta dialettica nel bipolarismo »: l'altra faccia dell'Europa a trentanni da Yalta e dalla scomparsa dì Hitler. La maturità nazionale è l'unico obiettivo dell'apertura polacca? Gli esponenti del governo e dell'opposizione a cui ho parlato affermano di no. Gierek cerca nell'« amico tedesco », come 10 chiama ironicamente qualcuno, e nelle altre nazioni occidentali, la tecnologia e 11 capitale di cui ha bisogno. « Disgelo », mi spiega Lucien Ciamaga, il direttore dell'Istituto del commercio estero, « per noi equivale a prestiti e know-how ». Sono giunti a Varsavia da New York David Rockefeller e la Chase Manhattan Bank; ditte svedesi vi stanno costruendo alberghi; l'Eni porterà a Danzica grandi raffinerie e un porto petrolifero. E, dappertutto s'incontrano Fiat: dopo la «Polski 125», viene prodotta a Bìelsko Biala la «126», e si preparano le catene di montaggio per la «127» e la «132». Ammonisce uno slogan molto popolare: « Attenti compagni, l'un per cento di risparmio di materie prime nell'industria automobilistica significa 390 Fiat in più all'anno ». Gierek è cauto, ma nota con fiducia che la Polonia « è all'inizio del boom più spettacolare della sua storia: perché frenarne lo slancio? ». 11 re carbone La crisi del petrolio non ha allarmato il paese. Le forniture sovietiche sono garantite fino al 1980, e le riserve di « re carbone » sono ingenti. Quarti produttori e secondi esportatori al mondo dopo gli Usa, i polacchi vengono adesso corteggiati dal resto dell'Europa- « Ci servirà a raddrizzare la bilancia commerciale», commenta Ciamaga. Si prevede che nel piano quinquennale in corso, '71-'75, raddoppino gli scambi con l'Occidente; ma finora le importazioni sono cresciute più in fretta delle esportazioni. « Il gioco vale la candela», prosegue Ciamaga. «Sotto Gomulka, il Paese sembrava in preda all'avarizia e alla depressione. Quasi metà del prodotto nazionale lordo risultava inutilizzabile. Settori essenziali venivano privati arbitrariamente degli investimenti. Mancavano persino i trasporti. Adesso ci ispiriamo ad un diverso modello di sviluppo sociale ed economico: mentre al¬ l'interno ci battiamo per i consumi e la partecipazione operaia, all'esterno acquistiamo brevetti e macchinari da chi è più efficiente, senza guardare all'ideologia: la nostra Westpolitik è questa ». Il linguaggio dei nuovi polacchi è simile a quello dei tecnocrati francesi o americani (un confronto che spiace al regime). Simili sono anche le preoccupazioni: la smonetizzazione dell'oro, la liberalizzazione dei commerci e così vìa. « Noi però — precisa Ciamaga — abbiamo limiti ben definiti. Nelle economie socialiste, il connubio tra piano e moneta è problematico, né godiamo dei vantaggi della convertibilità. Per di più, i nostri scambi col Comecon rappresentano i due terzi del totale, quelli con voi appena un quarto: le industrie dei Paesi membri sono in via di integrazione, ci stiamo tutti sempre più specializzando. E' nell'interesse della Polonia avere buone relazioni col sistema capitalistico, ma restarne fuori. Non rivendichiamo il monopolio della saggezza, ma abbiamo imparato a non fare errori ». Dicono a Varsavia con orgoglio: « Una volta i pessimisti studiavano il tedesco e gli ottimisti il russo. Adesso, tutti ritornano al polacco ». Anche in politica estera, la Polonia sembra essere venuta a patti con se stessa. Grazie all'intesa sorta tra Breznev e Nixon, sente mer.j il giogo sovietico: talvolta, di rado, può avere flnanco l'illusione di una parziale autonomia. Con pragmatismo, tirate le somme, ha constatato che questo è il periodo più fertile e sereno del suo dopoguerra, e intende sfruttarlo fino in fondo. Ennio Caretto