Cauti con il femminismo di Vittorio Gorresio

Cauti con il femminismo INCHIESTA SUI COMUNISTI D'ITALIA Cauti con il femminismo Le donne lamentano talora che sul pei non si possa fare affidamento per le loro battaglie: sui temi della maternità e della famiglia il partito è tradizionalmente conservatore - Sembra inoltre che nelle sue prese di posizione eviti accuratamente di urtare la Chiesa - "La società capitalistica è la società maschilistica, e non si possono fare le riforme senza la rabbia femminile" Roma, gennaio. Dicevo un giorno che i cattolici italiani sono talvolta troppo severi nei confronti dei loro carissimi nemici comunisti, i quali a ben vedere sono anche i loro alleati più certi nei momenti politici difficili, anche soltanto per motivi di tatticismo partitico. Neppure Questi, in ogni modo, hanno carattere occasionale, fondati come sono sull'antico precetto leninista che le credenze religiose dei lavoratori devono essere rispettate: « Noi non rifiutiamo né dobbiamo rifiutare l'accesso al partito ai proletari che conservano tracce di vecchi pregiudizi (....) sarebbe una ristrettezza borghese dimenticare che il giogo della religione sull'umanità è soltanto un effetto ed un riflesso del giogo economico esistente entro la società ». Verso i cattolici Su questo punto Lenin non è stato disatteso. Una alleanza con le masse cattoliche fu difattì offerta dal segretario generale del Comintern Georgi Dimitrov mi 1934. ed approvata l'anno dopo dal VII congresso della III Internazionale. Nel 1936 il Comitato centrale del pei redasse dall'esilio straniero una « dichiarazione ai cattolici italiani » la quale tra l'altro diceva che « i milioni di cattolici italiani sono una delle forze sulle quali può e deve contare il nostro popolo », e pertanto invitava quei milioni a combattere insieme ai comunisti per il pane, la pace e la libertà. Erano gli anni — fra il '35 e il '36 — che in Francia si cercava di inaugurare una politica della «main tendue », la mano tesa per tentare l'unione fra comunisti e cattolici. Impartito l'ordine alle cellule perché in sede di propaganda fosse evitata ogni allusione alle questioni religiose, era prescritto di dare ai cattolici la assicurazione che nella lotta da condurre affiancati contro la disoccupazione, il fascismo e la guerra nulla sarebbe stato fatto che potesse offendere la loro fede. I francesi arrivarono allora a questa cortesia: il 10 giugno 1936, celebrando la Acjf (Association catholique jeunesse jrancaise) il proprio cinquantenario, due giovani comunisti si collocarono all'ingresso del Pare des Princes a Parigi dove i cattolici si adunavano a convegno, tenendo in alto uno striscione con su scritto: « I giovani comunisti salutano i giovani operai cattolici ». Si sfiorò il trascendente: L'a- vant-garde, organo dei giovani comunisti, invitò i giovani cattolici all'unione con i comunisti in nome del comandamento di Cristo: « Ama il prossimo tuo come te stesso ». Le cose vere Non c'è assolutamente nulla da eccepire fin tanto che si resta su tali piani a compiacersi di parole edificanti. Ma quando ci si scontra con i problemi concreti — il referendum, il divorzio, l'aborto, i diritti civili delle donne — sono le donne stesse a constatare che sul pei non si può fare assegnamento per le loro battaglie. Il movimento femminile — anche quello rappresentato dall'Udi (Unione donne italiane) che è ben lungi dall'essere una organizzazione femminista — ha fatto in questi anni, anche in Italia, grandi passi in avanti divergendo nettamente dalla linea del pei. Nel suo IX congresso, dal V al 3 novembre dell'anno scorso, si sono udite voci di altro suono, per esempio di donne socialiste come la milanese Elvira Badaracco, fattasi innanzi a denunciare: « Il pei ha un suo tatticismo partitico da seguire », disse la Badaracco amaramente. La comunista roma- na Maria Lisa Cinciari Rodano, già vicepresidente della Camera durante la quarta legislatura e senatrice nella quinta prima di essere giubilata, intese tagliar corto con le false dolcezze: « La società capitalistica è la società maschilistica, e non si possono fare riforme senza la rabbia delle donne ». Questa Maria Lisa è la moglie di Franco Rodano, già ispiratore del movimento dei cattolici comunisti e adesso ispiratore — a quanto dicono — della politica religiosa di Berlinguer. Poi ci fu anche la napoletana Lucianella Viviani, figlia del noto autore-attore vernacolo Raffaele, deputata del pei dalla prima alla quarta legislatura, che formalmente chiese la depenalizzazione dell'aborto — trauma o non trauma, a dispetto di Enrico Berlinguer e di Leonilde lotti — dichiarando: « La nostra voce di donne non deve coincidere meccanicamente con la voce delle forze politiche. Evitiamo il pericolo che le decisioni sieno prese ancora una volta sulla testa delle donne, chiamate solo a sostenere scelte già fatte da altri, dagli uomini ». Ne hanno fatta di strada, le nostre donne, e forse non è un caso che il pei, tradizionalmente conservatore sui temi appunto della donna, della maternità, della famiglia, sia arrivato ad emarginare dalla propria rappresentanza in Parlamento animose ribelli della stregua di Maria Lisa Cinciari Rodano e Lucianella Viviani. Non è neppure un caso, a mio parere, che dal pei sia uscita Luciana Castellina, che fu una volta, nel dicembre 1965, imprudentemente autorizzata dal partito a rispondere nella pagina dedicata dalÉTJnità ai colloqui con i lettori alla domanda di un gruppo di compagni di Milano, diretta a conoscere « con esattezza » quale fosse la posizione del pei in merito al divorzio. Contratto privato Rispondeva Luciana Castellina che ministri e giudici del divorzio debbono essere i coniugi, essi esclusivamente, mentre lo Stato con i propri magistrati altro non deve fare che « prendere atto di una disunione durevole, e cioè dichiarare sciolto il matrimonio di quei coniugi che siano separati legalmente (o di fatto) da più di cinque anni ». Il matrimonio, in altri termini, sarebbe stato ridotto ad un contratto di puro diritto privato, denunciabile con preavviso di cinque anni. Lo Stato ne registrava l'annullamento a guisa di testificazione notarile, e al più si riservava il compito « di intervenire attivamente per garantire gli interessi dei figli e di estendere le sue funzioni nel campo dell'educazione e dell'assistenza ». Quali forze politiche avrebbero potuto sostenere una proposta come questa? Secondo Luciana Castellina, « una parte almeno delle forze cattoliche » perché sarebbe tolto allo Stato un potere specifico, anzi un diritto di giudizio morale sulla liceità o no del divorzio. Un poco sottilmente e con modesta furberia Luciana Castellina affermava che se i cattolici riconoscessero allo Stato la facoltà dì sciogliere un rapporto coniugale, con j ciò farebbero una concessione di principio inammissibile dalla loro coscienza: lasciando invece agli individui l'intera responsabilità morale e sociale della decisione, lo Stato-notaio non pronuncerebbe avalli di alcun genere, né soprattutto sarebbe ammesso a proclamare un proprio criterio (concedendo o negando il divorzio a seconda dei casi) in contrasto od in concorrenza con il giudizio della Chiesa. In ogni modo è chiaro che perfino in Luciana Castellina la preoccupazione più vìva era quella di evitare che il partito nel quale allora onorevolmente militava recasse un dispiacere alla Chiesa. Tuttavia ciò non basta al pei: ha scritto il senatore del III Collegio di Roma Paolo Bufalini, che « quell'incontro di consensi tra gli sposi che dà vita alla famiglia non è un puro e semplice negozio giuridico privato: esso infatti dà vita ad una istituzione importante per la società e rilevante per lo Stato (...) ideologie, fedi religiose e leggi contribuiscono all'unità e alla stabilità della famiglia (...) resta però indiscutibile che l'unità coniugale, un convincimento ideale, una fede religiosa, non possono essere imposti (crediamo anche per una coscienza cattolica) dai carabinieri ». A questo punto il senatore Bufalini si poneva il problema, attualissimo oggi, di come vincere il referendum abrogativo del divorzio proposto dal professore Gabrio Lombardi, e giustamente ne vedeva la condizione in «una qualche confluenza delle masse popolari che seguono il partito comunista, il partito socialista e la democrazia cristiana ». Chi sa perché, attribuendomi una grossa dose di chi sa quale utopistico irrealismo, egli comunque proseguiva: « Ma, evidentemente, questo è un discorso troppo difficile per il signor Gorresio. Chissà, però, che anch'egli non arrivi a capire che, per vincerò la battaglia contro il referendum, il partito comunista è una forza non del tutto trascurabile? ». Il signor Gorresio lo capisce, ma ritiene che da vincere non sia la battaglia « contro » il referendum ma la battaglia « del » referendum, al punto in cui sono arrivate le cose; e per suo conto si duole che sul terreno di uno dei primari diritti civili l'impegno del pei non appaia tanto deciso quale egli avrebbe desiderato che fosse. Vittorio Gorresio Roma. Una delle animose ribelli: l'ex senatrice comunista Cinciari Rodano (Foto Team)

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