La lira sui mercati mondiali deprezzata di un altro 3,5% di Giulio Mazzocchi

La lira sui mercati mondiali deprezzata di un altro 3,5% Per gli effetti delle ultime vicende monetarie La lira sui mercati mondiali deprezzata di un altro 3,5% La nostra moneta sembra essersi staccata dal dollaro, fluttua in basso insieme col franco francese - Le conseguenze: le esportazioni restano competitive, lievitano i prezzi delle importazioni (Nostro servizio particolare) J Roma, 22 gennaio. I mercati valutari di tutto il mondo si sono stamane riaperti, tranne quello giapponese. In ritardo s'è riaperto anche quello spagnolo, le cui autorità hanno oggi ufficialmente sganciato la peseta dalla parità col dollaro. Alla fine di questa giornata valutaria la lira commerciale internazionale risulta aver perso 3 punti e mezzo rispetto alla precedente seduta di venerdì. Stasera, cioè, la nostra moneta utilizzata per l'acquisto di merci e servizi esteri vale in media mondiale il 17,85 per cento in meno di quanto valeva il 9 febbraio dell'anno scorso, ultimo giorno della sua difesa obbligata. C'è stato un peggior momento: il « giovedì nero » del giugno scorso quando cadde a —21,75 per cento (secondo l'indice del 24 ore). Ma s'era poi ripresa oscillando tra —11 e il —14,37 per cento di venerdì scorso. [A Londra la quotazione dell'oro è scesa ieri a 137 dollari per oncia, rispetto a 141 di lunedì. A Francoforte il marco ha guadagnato sul dollaro: è stata la « sorpresa » della riapertura del mercato valutario. A Zurigo flessione del dollaro e dell'oro. (Servizi dei nostri corrispondenti apag. 11)]. La nuova caduta della lira è la conseguenza dello spostamento effettuato ieri dal franco francese dall'accordo monetario europeo alla libera fluttuazione. A parte il franco svizzero, eh'è sempre stato libero da vincoli internazionali, fluttuano ormai isolatamente i dollari Usa e canadese, la sterlina, la lira, lo yen giapponese, il franco francese, la peseta spagnola. Sono tra di loro legate (fluttuando congiuntamente verso tutte le altre monete) le divise di Germania, Benelux, Danimarca, Norvegia e Svezia. Quest'ultimo « sistema » da oggi si denomina « superserpente ». Fra ieri e oggi la lira sembra essersi staccata dal dollaro ed essersi legata al franco francese. Tra venerdì e oggi per acquistare un dollaro commerciale non occorrono più 643 bensì 671 lire: oltre il 4 per cento dì nuova svalutazione, quasi quanto quella subita dalla moneta francese. La nostra perdita è di poco minore verso la sterlina e il blocco del « super-serpente ». A parte le conseguenze po litiche, vi sono due immediate conseguenze economiche (prescindendo dalle nuove difficoltà che si creano al Mercato comune agricolo) La prima è che le nostre merci d'esportazione mantengono nel mondo la competitività relativa di cui godevano rispetto alle francesi. Per le esportazioni non vi sono quindi grandi mutamenti. Più rilevante è la seconda conseguenza: tutto ciò che si paga in dollari, cioè quasi tutte le materie prime di cui difettiamo, costa da oggi circa il 4,5 per cento in più di quanto costasse ancora venerdì scorso. In un anno si sono accavallati fondamentali sconvolgimenti nei nostri rapporti valutari col resto del mondo. Nel mondo è cresciuto di quattro volte il prezzo del petrolio (ma ieri il ministro delle Finanze saudita Yamani ha detto che anche maggiori rincari hanno subito il grano e il cemento, che il suo Paese importa). E' cresciuto (dal febbraio scorso a oggi) del 141 per cento il prezzo in dollari del grano tenero americano, del 123 per cento il prezzo in dollari del cotone, dell'82 per cento il rame, del 76 per cento lo stagno, del 251 per cento lo zinco. Ma mentre sono cresciuti i prezzi in dollari, è anche cresciuto il prezzo in lire dei dollari. Cosicché in Italia il grano tenero Usa non è aumentato solo del 141 per cento, bensì del 184; il cotone non del 123 ma del 161, il rame del 90, lo stagno dell'84 e lo zinco del 267 per cento. In tale situazione, per non far fallire le imprese produttrici, sarà tra breve necessario che il governo riconosca molti aumenti dei prezzi di vendita. Stasera, per l'appunto, i salumifici del Modenese hanno chiuso i reparti e cessato di vendere: ci rimettono, e al ministero dell'Industria s'afferma che è vero. I suini, dopo il rincaro dei mangimi che s'importano dagli Usa, sono infatti fortemente aumentati di prezzo. Per riconoscere gli aumenti, che saranno comunque diluiti ai fini di non far «esplodere» la scala mobile, il governo attende ormai soltanto d'adempiere a due doveri che gli sono chiesti: esporre la nuova situazione al Parlamento (venerdì) e poi ai sindacati. Ma se gli aumenti di prezzo di vendita metteranno « a posto » i bilanci aziendali resta sempre arduo il problema di come pagare all'estero il molto maggior prezzo che ci è domandato per tutte le materie prime. Giulio Mazzocchi

Persone citate: Yamani