Forse un unico "cervello" organizsa sequestri nell'Italia Settentrionale di Francesco Fornari

Forse un unico "cervello" organizsa sequestri nell'Italia Settentrionale Sette giorni; nessuna notizia sul rapito di Bergamo Forse un unico "cervello" organizsa sequestri nell'Italia Settentrionale Tutti i rapimenti sembrano avere una matrice comune - L'inchiesta si è spostata negli ambienti del contrabbando dove esistono organizzazioni capillari provviste di nascondigli sicuri, uomini e di molti mezzi (Dal nostro inviato speciale) Bergamo, 21 gennaio. Da sei giorni ormai, Pierangelo Bolis è prigioniero dei banditi che l'hanno rapito mercoledì mattina. Centoquarantaquattro ore d'angoscia impotente di fronte alla malvagità di chi ha organizzato questo ennesimo sequestro, che ha sconvolto la vita di una famiglia. E ancora non si sa nulla. In questi giorni sono state formulate molte ipotesi, sono state dette e scritte notizie sull'onda d'informazioni che non era possibile controllare perché nulla, in questi casi, può essere controllato. Nessuno parla. Non parlano i familiari della vittima, legati alla consegna del silenzio imposto dai rapitori, non parlano poliziotti e carabinieri, costretti a svolgere le indagini in una situazione estremamente difficile, senza una base, una traccia su cui lavorare. Dovendo fare un bilancio «reale» della vicenda a circa una settimana dall'inizio, dovremmo dire che l'unica cosa certa è che Pierangelo Bolis è stato rapito. Punto e basta. Ufficialmente è stato ribadito stamane che i banditi hanno telefonato una sola volta ai genitori dello studente, sei ore dopo il suo rapimento, quando ancora non c'era allarme, nessuno sospettava la tragedia. Hanno detto che Pierangelo «stava bene ed era con loro». Hanno ordinato alla madre, angosciata e ancora incredula, di «non parlare con i giornalisti, non informare ì carabinieri». Nei giorni scorsi si era diffusa la notizia che avessero fatto altre telefonate, tre o quattro, non dirette alla villa ma a qualcuno degli operai dello stabilimento, che doveva trasmettere i loro messaggi ai familiari di Pierangelo. Era stata rivelata anche la cifra del riscatto: un miliardo. Sembrava addirittura che i banditi avessero indicato ai Bolis il mezzo per mettere insieme questa somma: cento milioni per ognuno dei dieci fratelli. Tutto è sempre stato negato dai familiari del ragazzo. Come sempre, in questi casi è più facile avere in risposta delle smentite. Secondo gli inquirenti, che ammettono comunque che sarebbero gli ultimi a saperlo, poiché in questa delicata fase dell'operazione i banditi prendono sempre le maggiori precauzioni (assecondati dai parenti delle loro vittime), un nuovo contatto non c'è stato. L'esperienza insegna che i rapitori lasciano sempre trascorrere un certo periodo di tempo prima di farsi avanti con le loro richieste. Usando l'arma del silenzio, della snervante attesa, della paura, finiscono col fiaccare la resistenza dei familiari dei rapiti, che dopo tanti giorni d'angoscia sono disposti ad accettare tutte le richieste pur di farla finita al più presto e non mettere in pericolo la loro incolumità. D'altra parte, non è possibile smentire tutte le notizie che sono trapelate finora. Esiste la possibilità, neppure tanto remota, che i banditi abbiano già preso accordi con i Bolis. Anche se contraddittorie, certe voci non nascono dal nulla: il testo del messaggio rivolto da Luigi Bolis ai rapitori del figlio contiene dichiarazioni e precisazioni che potrebbero essere altrettante risposte a loro richieste dettate in precedenza. Ipotesi. Il capitano dei carabinieri Ferraris afferma che «sono tutte valide e tutte assurde. E' ancora troppo presto per potersi pronunciare». Lo stesso dice il dottor Sgarra della Criminalpol. Il questore di Bergamo, Campennì, ritiene che ci si trovi di fronte a una «delinquenza di nuovo tipo, che dispone di mezzi, persone, denaro». Secondo i funzionari, la maggior parte dei rapimenti avvenuti nell'Italia settentrionale rivelano «una matrice comune, un unico cervello che manovra diverse organizzazioni». Alle indagini partecipa anche la Guardia di Finanza. Come nel caso Tortelli di Vigevano e in quello di Mirko Panattoni, l'inchiesta sembra che si stia spostando nel settore del contrabbando. Nell'Italia settentrionale operano parecchie organizzazioni di contrabbandieri che fanno capo, secondo le ultime informazioni, a una o due centrali.Si tratta di organizzazioni capillari, provviste di nascondigli sicuri, uomini e mezzi. Da qualche tempo il contrabbando di sigarette non è più redditizio come in passato. A un aumento dei rischi è seguita una diminuzione dei profitti. Sono in molti a pensare che queste organizzazioni, spinte dalla necessità di procurarsi del denaro per fronteggiare le forti perdite riportate in quest'ultimo periodo, possano avere cambiato attività, iniziando una lunga serie di rapimenti. Il ragionamento poggia su basi valide: queste organizzazioni possono servirsi di un apparato gigantesco che ha diramazioni dappertutto. I contrabbandieri hanno la possibilità di cambiare rapidamente il denaro del riscatto (banconote che scottano), portandolo all'estero attraverso i loro «passaggi segreti» e convertendolo in merce (sigarette, droga o anche altra valuta straniera). Infine, queste organizzazioni fruiscono di una quantità di mezzi e di nascondigli infinita, nelle loro file lavorano uomini (gli spalloni) per i quali le zone di frontiera non presentano alcun segreto, e che sono in grado di custodire dei prigionieri per settimane o mesi senza dare nell'occhio. Dopo la liberazione di Mirko Panattoni, i carabinieri avevano esteso le indagini verso questo settore della criminalità. Ad avvalorare tale ipotesi, si erano aggiunti due elementi degni di nota: il luo- go in cui il bimbo era stato rilasciato, Pontida (città nota come rifugio di contrabbandieri), e la descrizione fornita da Mirko di uno dei locali in cui era stato tenuto prigioniero. Un locale che egli avrebbe «in parte» riconosciuto durante un sopralluogo segreto. Corrisponderebbe a uno dei nascondigli usati da un noto contrabbandiere della zona. Da quando si è sparsa la notizia del rapimento di Pierangelo Bolis, il padre di Mirko Panattoni continua a ripetere che ci sono molte analogie con quello di suo figlio. Alla luce di queste dichiarazioni, la bomba esplosa mercoledì notte (poche ore dopo la scomparsa dello studente) sotto le finestre dell'abitazione del Panattoni assume un aspetto diverso. Allora non era stato fatto alcun collegamento tra i due episodi, adesso invece quell'attentato potrebbe essere interpretato come una minaccia, un avvertimento rivolto al Panattoni perché non si immischi nella vicenda. C'è un altro particolare comune nei due rapimenti: le indagini per trovare il nascondiglio in cui era tenuto prigioniero il piccolo Mirko si erano spostate, a un certo punto, in Liguria. Ieri, i carabinieri hanno fatto una grossa battuta nell'entroterra di Chiavari, pare su «segnalazioni anonime». Nella stessa località, altra analogia per lo meno curiosa, in cui era stato tenuto prigioniero in una tenda un altro sequestrato: Sergio Gadolla. Francesco Fornari Per estorsione, a Roma Bergamo. Gianna Biffi e Luigi Bolis, genitori dello studente diciassettenne rapito mercoledì scorso (Telefoto Ap)