La sua Germania di Lorenzo Mondo

La sua Germania Un curioso, inedito Borges La sua Germania Jorge Luis Borges e Maria Esther Vàzquez: «Brume, Dei, Eroi», Ed. F.M. Ricci, pag. 242, 20 ili., Lire 15.000. E' che un Borges minore, quello abbiamo appena letto, e con un titolo mistificante per quanto azzeccato. L'originale, che è del 1965, si presenta più dimessamente come « Letterature germaniche medievali », come un compendio scrìtto in collaborazione per fini anche scolastici e divulgativi; un anche che ci permette di restituire al testo buona parte di quello che, per amor di esattezza, abbiamo rischiato di togliergli: il fascino di una cultura arcaica rivisitata con la paziente umiltà di un monaco consanguineo, che mortifica nella glossa la nettezza del giudizio e la felicità dell'invenzione. Se poi il monaco, come Borges, ha scritto storie sue, che rameggiano dalla biblioteca universale, che sono animate dal genio del comparatismo e dell'eclettismo, allora si tocca il piacere più raro di una lettura a rifrazioni e barbagli. 11 libro racconta le origini di tre letterature, nate da una stessa radice, ma separate infine, come le lingue in cui furono espresse, da complicate vicende storiche, guerre, migrazioni, fusioni. In principio c'è quel complesso di popoli che Tacito chiamò Germania, ma bisognerà attendere il vescovo dei Goti Ulfila, Lupacchiotto, perché i canti guerreschi e le narrazioni del bivacco trovino un alfabeto libero dalle servitù del metallo e della pietra. Eppure, proprio il ramo orientale della lingua germanica, che ebbe il privilegio di adornare la Bibbia ulfilana, è destinato ad estinguersi in Occidente con le avventure dei principi visigoti di Spagna. E' un capriccio della storia che Borges, cultore di labirintiche geometrie, di evanescenze restìe, sottolinea mentre si accinge a narrare della letteratura dell'Inghilterra sassone, e poi della tedesca e della scandinava. Sono molte le occasioni di indugio offerte da Borges tra l'onesto riassunto di una saga e l'accenno a una controversia filologica: può essere il lampo di una citazione, il rimando sottile ad un autore moderno, la scoperta, perfino, di « imprestiti» degli antichi bardi dallo stesso Borges. Si mette in dubbio l'ispirazione onirica di Caedmon: ma Coleridge compose in sogno un poema ispirato al palazzo di Kublai Khan secondo la descrizione fattane da Marco Polo; e si apprese poi, da una cronaca inedita, che l'imperatore aveva ricevuto in sogno il piano del suo palazzo. Si lamentano gli squilibri, il valore disuguale, delle opere dell'Inglii 1 terra sassone; ma tutto quello che rimane, è contenuto in quattro codici, uno dei quali, il « Vercelli », fu dimenticato in un monastero dell'Italia settentrionale da un gruppo di pellegrini inglesi che scendevano a Roma. Le pagine più attraenti di Borges sono riservate alla letteratura scandinava, che raggiunge la sua pienezza « col favore della libertà, dell'esilio e della nostalgia ». Quando si gettano alla conquista, i terribili vichinghi finiscono col perdere la loro identità, col dimenticare perfino la loro lingua. Devastano le coste dell'Europa (« A furore Normannorum, libera nos »), fondano regni in Irlanda, Inghilterra, Normandia, Sicilia e Russia, lasciando soltanto qualche runa sulla pietra, qualche nome di fiume. Ma nell'Islanda la loro civiltà fiorisce mirabilmente, nell'Ultima Thule dei romani trova salvezza l'antica cultura pagana. Eppure uno strano destino è su di loro. Per il resto del mondo, l'Islanda, le sue guerre, i suoi libri è come se non fossero mai esistiti, come se tutto « fosse accaduto in sogno o in una dì quelle bocce di cristallo in cui guardano i veggenti ». Secondo Borges, nel XII secolo gli islandesi scoprono il romanzo, anticipano Cer¬ vantes e Flaubert, ma uno strano maelstrom li isola e nasconde, rende sterile la stessa scoperta dell'America. C'è un passo, tuttavia, ancora più rivelatore su questa « Germania » di Borges: là dove si descrive la curva della metafora, dalle sue origini incrostate di salsedine agli oziosi concettismi della decadenza. Sembra davvero che lo scrittore argentino, soffermandosi su questa letteratura di gesta fragorose, di elementari passioni, voglia indulgere nostalgicamente alla parte vitalistica di se stesso, quella « gaucha », che del resto informa buona parte della sua opera. Un'ora di perplessità, di ripensamento sulla segreta e sempre rinnovata tensione tra vita e letteratura, tra libro e natura, che presiede alle opere grandi. L'intelligente curatore, Giovanni Mariotti, cita a proposito due versi bellissimi di Borges: « E il tempo irreversibile che ci ferisce e fugge / acqua, è soltanto una delle lue metafore ». Lorenzo Mondo (Copyright N.Y. Rcvlcw of Books. Opera Mundi e per l'Italia La Stampa) Borges, di Levine