Una bomba contro la casa di Mirko - Sono gli stessi banditi?

Una bomba contro la casa di Mirko - Sono gli stessi banditi? Una bomba contro la casa di Mirko - Sono gli stessi banditi? (Dal nostro inviato speciale) Bergamo, 17 gennaio. Un altro nome si aggiunge al lungo elenco delle persone rapite: Pierangelo Bolis, 17 anni, figlio di un ricco industriale bergamasco. Il giovane è scomparso ieri mattina, mentre andava a scuola. Lo hanno rapito lungo la strada che conduce da casa sua alla stazione di Ponte San Pietro, piccolo centro a circa 7 chilometri dal capoluogo. Un tratto di strada lungo meno di trecento metri: percorso che lo studente ripeteva ogni mattina, pochi minuti prima delle 7,30. C'era nebbia ieri, a quell'ora: una foschia lattiginosa, non molto fitta ma fastidiosa. Nessuno ha visto o sentito: Pierangelo Bolis è svanito nella coltre biancastra con i suoi rapitori. Gente che era a conoscenza delle sue abitudini e ha agito a colpo sicuro, nel momento più favorevole. Quando le strade del paese sono ancora deserte, nelle case si accendono le prime luci, pochi freddolosi passanti si affrettano verso la stazione. Operai, commesse, altri studenti. Con loro, il Bolis si trovava sul treno ogni mattina: si scambiavano saluti, qualche battuta. A quell'ora si ha poca voglia di parlare, il corpo è ancora intorpidito dal sonno, ognuno si rincantuccia nel suo angolo. Pierangelo Bolis godeva di questi silenzi: per natura poco loquace, di lui si dice che sia molto educato, gentile, studioso. Di carattere introverso, ha tre grandi passioni: la musica, la fotografia e il motocross. Frequenta l'istituto tecnico industriale «Esperia» di Bergamo. Gli insegnanti dicono che «è i1. primo della classe», i compagni ne parlano con simpatia. Concordi, affermano che è un ottimo collega. Abita con i genitori e i fratelli in una elegante villa del quartiere «Villaggio» di Ponte San Pietro. Una costruzione moderna, circondata da un giardino all'inglese, che confina con la villa di alcuni zii. Tra le due costruzioni si trova lo stabilimento dell'industria di famiglia: un nastrificio che dà lavoro a 160 dipendenti, di cui è presidentessa l'anziana nonna del rapito, Ernestina, e nel quale lavorano i suoi dieci figli. Luigi, il padre di Pierangelo, è il più anziano di tutti: su di lui ricadono le maggiori responsabilità della conduzione dell'azienda, ma deve sempre risponderne alla madre. Donna energica ed attiva, Ernestina Bolis, subentrata nel 1967, dopo la morte del marito, alla presidenza, dirige con polso fermo l'attività dell'industria. Oggi gli ingressi dello stabilimento sono bloccati. Sbarrato anche il cancello della villa: da 24 ore, più nessuno è uscito. Luigi Bolis veglia, accanto al telefono, con la moglie Giovanna e gli altri tre figli: Luisa, di 13 anni, Franco di 11 e Ferdinando di 7. Al citofono risponde uno degli zii del rapito. Con voce cortese ma ferma, respinge ogni richiesta di colloquio, rifiuta di rispondere alle domande. Al giornalista che insiste, chiede ((comprensione in un momento così difficile e delicato». Ed è questa l'unica, indiretta ammissione che qualcosa di grave è accaduto. Perché di questo rapimento, «ufficialmente» non si sa nulla. Ai carabinieri di Ponte San Pietro non è stata fatta nessuna denuncia: l'hanno appreso dai discorsi degli abitanti, dalla rumorosa presenza degli inviati dei quotidiani e della televisione. Sembra incredibile: del rapimento parlano tutti, tutti hanno qualcosa da dire, tranne gli inquirenti. La notizia, ieri, è stata addirittura diffusa dal pulpito da don Locatelli, parroco della chiesa di Santa Maria, al termine della messa vespertina. Il sacerdote l'aveva appresa poco prima, quando era stato chiamato alla villa per confortare la madre del giovane. Con voce rotta dall'emozione, don Locatelli ha inviato i fedeli a pregare «per la salvezza di questo povero ragazzo». Soltanto stamane si è appreso dall'avvocato di famiglia. Cesare Zonca, che ieri alle 13, quando ancora nessuno si aspettava l'accaduto, quando non c'era allarme perché Pierangelo era atteso a casa verso sera, i genitori hanno ricevuto una telefonata dai rapitori. «State tranquilli, Pierangelo è con noi e sta bene. Per riaverlo, dovrete pagare una certa cifra. Vi faremo sapere. Occhio: niente scalpore, nessuna notizia ai giornali, silenzio con i carabinieri. Altrimenti al ragazzo potrebbe capitare qualcosa di brutto». E' facile immaginare quello che è accaduto dopo. Sono stati avvertiti gli zii che si trovavano ancora nello stabilimento, la voce si è diffusa fra gli operai. Quando è stato chiesto a tutti di non parlare, di non riferire, era già troppo tardi. Se ne discuteva nelle osterie, qualcuno telefonava ai carabinieri per chiedere conferma. Poi, alle 17,30, l'annuncio fatto dal parroco. La confusione aumentavan le notizie si contraddicevano: a tarda notte si diffondeva la voce che il riscatto fosse stato pia pagato. Stamattina, infine, la dichiarazione chiarificatrice del legale e poi il silenzio. «La famiglia non in¬ tende collaborare. Hanno paura. D'altra parte, bisogna comprendere», dicono i carabinieri. Per ora, gli inquirenti si sono limitati a cercare di ricostruire gli attimi del rapimento: hanno interrogato gli abitanti delle case lungo la strada, i viaggiatori che ieri mattina erano alla stazione. Nessun risultato: i banditi e la loro vittima sono scomparsi nel nulla, senza lasciar traccia. Nessuno li ha visti. Sono stati interrogati anche gli amici dello studente, quelli che viaggiavano ogni mattina in treno con lui. Non hanno potuto fornire alcun aiuto. «Abbiamo notato la sua assenza, abbiamo pensato che stesse male». Alla luce di episodi accaduti in altre città (il rapimento del dirigente Fiat Amerio, a Torino), si è analizzata la possibilità che il rapimento avesse un movente di natura sindacale. Ma anche questa ipotesi è caduta: proprio il giorno prima, nello stabilimento, era stato firmato il nuovo contratto di lavoro, con soddisfazione reciproca dei dipendenti e dei proprietari. Rapimento a scopo di estorsione, dunque. I banditi hanno vita facile in questi casi: dalla loro parte hanno la paura dei familiari del rapito, disposti a tutto purché al congiunto non venza torto un capello. Sanno che da quel lato non corrono rischi, sanno di poter contare sulla più completa, totale collaborazione dei parenti delle loro vittime. Questo tipo di delitto è il più vile: da una parte stanno i banditi che si servono del rapito per mercanteggiare, per dettare condizioni, per imporre i loro ordini. Dall'altra, un gruppo di persone terrorizzate, timorose di contraddirli, di fare un passo falso che possa provocare la loro ira. Parecchi in paese ricollegano questo rapimento con quello di Mirko Panattoni, figlio di un albergatore di Bergamo, rapito nel maggio scorso mentre tornava da scuola davanti agli occhi atterriti di decine di persone. Per il suo riscatto erano stati pagati ai banditi 300 milioni. Qualcuno ritiene che il rapimento del giovane Bolis possa essere opera della stessa banda. II capo della polizia, secondo un'informazione del ministero dell'Interno, ha inviato a Bergamo il capo della Criminalpol Li Donni per seguire le indagini sul rapimento dello studente Francesco Fornari Bergamo. Giornalisti e curiosi davanti alla casa della famiglia Bolis (Telefoto Ap)

Luoghi citati: Bergamo, Ponte San Pietro, Torino