Fine di un'epoca?
Fine di un'epoca? Fine di un'epoca? L'accordo fra Egitto e Israe-| le per il disimpegno militare nel Sinai, raggiunto stanotte dopo una maratona diplomatica senza precedenti, consente l'ottimismo. Esso non mette fine soltanto alla guerra che era scoppiata il 6 ottobre, che era stata interrotta da tregue precarie il 22 e il 24 dello stesso mese, ma che in pratica continuava nell'assedio degli eserciti, nelle città contese e nel quotidiano ripetersi degli scontri. E' ora possibile sperare che quel patto costituisca davvero l'atto finale di un'epoca che si aprì il 14 maggio del 1948, quando la proclamazione dello Stato di Israele fu accompagnata dalla simultanea invasione degli eserciti arabi. Il documento che verrà firmato domattina sulla strada Cairo-Suez è il primo vero gesto d'intesa fra lo Stato ebraico e la maggiore nazione araba confinante, dopo quattro guerre e un'ininterrotta ostilità. E' una prova di moderazione e di realismo da entrambe le parti, che finirà per contagiare positivamente anche gli altri Stati arabi, o almeno una parte di essi, dimostrando che la strada delle trattative è l'unica praticabile. Le guerre sono ormai impossibili e non decisive, scuotono gli equilibri fra le grandi potenze, costituiscono un grandioso spreco umano, consumano gli arsenali e le economie ad una velocità che nessuna nazione può sostenere. Non c'è dubbio che una congiuntura favorevole abbia consentito ciò che fino a ieri era impossibile. Prima di tutto, una guerra senza vincitori né vinti, che aveva provocato gravi contraccolpi interni nelle due società in conflitto, aveva lasciato i due eserciti avvinghiati in posizioni esposte, e s'era fermata quando due profondi cunei erano ancora scavati nei rispettivi territori strategici. Ma le ragioni di fondo sono ancora più importanti, nella cornice della distensione fra le due superpotenze: in Egitto, ai tempi dell'acceso nazionalismo nasseriano è seguita l'epoca del prudente Sadat, che ha saputo scegliere il moment d della guerra ma anche quello della pace; in Israele, l'era dei trionfi militari e della superiorità tecnologica è tramontata in poche ore, nel giorno del Kippur. L'Egitto aveva visto risarcito il suo orgoglio di guerra, ma aveva i soldati avversari alle porte di casa; Israele aveva respinto l'assalto, ma ormai la mobilitazione permanente paralizzava la sua economia. Entrambe le nazioni avevano potuto capire l'inutilità della soluzione militare: l'Egitto non può sconfiggere Israele, Israele non può trovare la sicurezza trincerando i suoi confini. I particolari dell'accordo non sono ancora noti, stanotte. Certamente non contengono il toccasana di tutti i problemi che dividono gli egiziani dagli israeliani. Altre tregue, nel passato, si sono rivelate fragili. E tuttavia stavolta la solennità e la sostanza dell'impegno autorizzano a pensare che si apra un periodo nuovo. L'esistenza stessa di un documento colma un assurdo vuoto politico, perché significa il riconoscimento di fatto dell'esistenza dello Stato di Israele. Inoltre, anche questi primi spostamenti di truppe dimostrano che nessun irrigidimento di principio è insuperabile, e che si possono conciliare le « due ragioni » di cui Kissinger parlava a Ginevra. Gli israeliani possono avere confini sicuri e difendibili, gli egiziani possono ritornare sul loro territorio perduto. Il diritto alla sopravvivenza dello Stato ebraico non contrasta con la piena sovranità dell'Egitto. Dinanzi a questa difficile miscela di concessioni e di vantaggi, cadono due fanatismi: quello nazionalista di chi non voleva cedere « neppure un palmo » del territorio israeliano, e quello di chi si illudeva di cancellare una nazione dalla carta geografica. Tra poco conosceremo i ter¬ mnetvse mini e i limiti dell'intesa, che non potrà che essere parziale e temporanea. Ma già si può tracciare una mappa del « nuovo Medio Oriente » che sta nascendo in queste ore. I due eserciti non saranno più a portata di armi da fuoco, e missili e cannoni di grosso calibro arretreranno fino alle retrovie. Le due sponde del Canale tornano all'Egitto, che può così riaprire il corridoio navigabile e riportare le popolazioni civili nelle città rivierasche. I ventimila uomini della terza armata del Cairo, prigionieri dal 22 ottobre in una sacca, riforniti avaramente, potranno da domani muoversi liberamente. II principio delle « zone cuscinetto » e del pattugliamento dell'Orai è accettato, i contingenti saranno ridotti, le strade riaperte. Già da oggi, vigilia d'accordo, gli incidenti e le violazioni sono in netta diminuzione. Sono tutti risultati importanti, ed altri se ne aggiungeranno quando i dettagli saranno noti. Ma nessuno è più importante della rimozione degli ostacoli politici e psicologici che fino ad oggi avevano frenato il dialogo dei due rivali. Se lo sforzo di Kissinger va elogiato, esso sarebbe stato vano senza un atto finale di coraggio da parte dei due gruppi dirigenti, e delle due società
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