L'opera di Shakespeare al teatro Alfieri
L'opera di Shakespeare al teatro Alfieri L'opera di Shakespeare al teatro Alfieri L'Amleto più giovane intellettuale e politico Con lo Stabile di Bolzano, protagonista Pino Micol, regìa di Scaparro E' giunto finalmente anche a Torino, per la stagione in abbonamento del nostro Stabile, Z'Amleto allestito sin dal novembre 1972 dallo Stabile di Bolzano con attori giovani o giovanissimi, senza nomi di grande richiamo (anche se nel frattempo il protagonista, Pino Micol, un nome se l'è fatto e proprio con questa interpretazione), cosi da meritare ampiamente le definizioni di «Amleto giovane per i giovani» e di «Amleto senza divi» che da allora l'hanno accompagnato per tutta l'Italia, insieme a un'altra etichetta, «Amleto povero» a sottolineare l'intento dichiarato di presentare al pubblico anche dei centri più piccoli un testo popolarissimo, e tuttavia scarsamente rappresentato, in un'edizione di piana lettura, di agevole trasportabilità e di non alto costo. Naturalmente anche dignitosa. Ma l'impianto scenico di Roberto Francia è davvero di una nudità francescana: un fondale di lamiere arrugginite a pannelli scorrevoli, una piattaforma movibile ma così compatta che non si apre nemmeno per la fossa di Ofelia, niente arredi e, quasi, oggetti. «Poveri» anche i costumi, dello stesso Francia, di taglio semplicissimo e tinte sbiadite: dal rossiccio in varie sfumature per la corte, al verdolino dei comici e dei popolani. E Amleto veste bigi panni, senza spada e armatura, anche se in questa nuova edizione il regista Scaparro ha avuto l'idea non peregrina di buttargli addosso, per la gran scena con la madre, il manto rosso e la corona usati dai comici nella recita e di fargli impugnare la loro spada per infilzare Polonio. Questo Amleto, affidato a un attore che ha poco più dell'età del personaggio, è un giovanotto pallido e nervoso, più simile a uno studente (del resto, lo è), e magari a uno studente d'oggi, che a un principe d'altri tempi. Più che il problema di vendicare l'uccisione del padre, lo tormenta un'angoscia civile ed esistenziale per la mancanza di uno Stato giusto. Il che fa di lui un moderno intellettuale impegnato a trasformare la realtà che lo circonda e lo spinge ad agire. Perciò le parole dello spettro, che qui non compare, le dirà lui stesso quasi fossero proiezioni della sua coscienza inquieta. Un Amleto anche «polìtico» allora? Sì, sia pure con la dovuta discrezione. Nella sua agile e moderna versione. Angelo Dallagiacoma non esita a parlare qualche volta di «masse», e il regista ha cercato di dare un volto al popolo che rumoreggia alle porte del castello durante il tentativo di ribellione di Laerte o all'arrivo di Fortebraccio: i «comici» non rappresentano soltanto la celebre pantomima — «la trappola per i topi» — da¬ vsrntrmc vanti al re e alla regina, ma sono anche i becchini, e ancora i popolani, sia che accorrano a salutare Amleto che parte per l'Inghilterra, sia che irrompano alla fine nella sala della carneficina. Con alcuni piccoli mutamenti, specialmente nel secondo tempo, che complessivamente le giovano, quest'edizione di Amleto conferma l'impressione favorevole che aveva destato oltre un anno fa. I suoi meriti sono ancora quelli di affrontare un testo «sacro» senza patemi, ma anche senza arbitri, introducendo nella messinscena alcune innovazioni piuttosto interessanti, oltre che sensate. Per tutte, il famosissimo monolo¬ go: il protagonista lo dice standosene tranquillamente seduto alla ribalta e rivolgendosi direttamente agli spettatori, quasi per renderli partecipi, e complici, delle sue riflessioni, più che per incantarli con le immaginose metafore del testo scespiriano. Un altro merito, s'intende, è quello della recitazione, magari a volte un po' acerba come è preferibile che sia piuttosto che cadere nella maniera e nell'artificio come è malvezzo dei giovani. Punto di forza è ancora Pino Micol, un Amleto davvero straordinario per nettezza e rigore di dizione e di gesti, con alcune inflessioni ironiche affinate piuttosto che ispessite dalle repliche, e che tuttavia non prevarica sui colleghi né li mette in ombra. Sono questi, per la maggior parte, gli stessi della scorsa stagione. Si rivede così con piacere Fernando Pannullo, che stenta a fingere l'età di Polonio ma ne riproduce benissimo la melensaggine, o Giulio Pizzirani che è un autorevolissimo re. E danno buon rilievo alle loro parti Maurizio Guelì, Adalberto Rosseti, Vittorio Di Prina, Antonio Paiola, che guida la schiera dei comici, e gli altri ancora che lo spazio impedisce di citare. Più deboli, ed era già un difetto della prima edizione, le parti femminili affidate a Ornella Ghezzi che è un'Ofelia un po' scialba e ad Ada Maria Serra Zanetti che è una Gertrude non sempre persuasiva. Ma questa volta le incertezze sono minori, anche sotto questo aspetto, come in altri, Z'Amleto di Bolzano è migliorato e merita pienamente i calorosi applausi che gli ha tributato il folto pubblico dell'Alfieri. Alberto Blandi g
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