I molti interrogativi di Andrea Barbato

I molti interrogativi I molti interrogativi Pessimismo ed ottimismo si alternano così rapidamente nelle trattative fra Egitto e Israele, con la tenace mediazione di Henry Kissìnger, che la cronaca stenta a registrarli, a fermarli nell'istantanea di una diagnosi. Non meno di quanto sia difficile tenere il conto degli spostamenti dei segretario di Stato americano, ormai al suo terzo viaggio ad Assuan in cinque giorni, e avendo già in programma — mentre scriviamo — un terzo ritorno a Gerusalemme. Ore ed ore di colloqui anche notturni, mezze frasi, dichiarazioni contrastanti, sorrisi e scetticismi, non servono certo a chiarire il quadro. Kissìnger stesso non azzarda più pronostici come quello sulla «pace a portata di mano» che gli costò tante critiche all'epoca del negoziato per il Vietnam. E' difficile dire se siamo oggi più vicini o più lontani dall'accordo sulla separazione degli eserciti e in generate dalla pace, ma sappiamo che questa è forse l'ultima occasione. Si può immaginare un Kissìnger prigioniero della sua stessa logica, e condannato come Sisifo a una perenne altalena fra due rivali inconciliabili? E si può immaginare che la trattativa resista, se dovesse fallire il capo della diplomazia americana? Kissìnger viaggia ora, verso Est e verso Ovest, con un progetto che porta il numero tre, dopo che il numero uno e il numero due sono stati respinti da una parte o datt'altra. Sebbene egli abbia rifiutato di mettervi mano, e non abbia preparato nessun piano scritto americano per non urtare la suscettibilità dei due governi interessati, è difficile pensare che si limiti ad un ruolo di portavoce. Da una parte e dall'altra gli si riconosce un'energia che ha messo alla prova perfino la resistenza fisica degli interlocutori. Tutto questo ha consentito senza dubbio di «erodere progressivamente» le differenze fra le due posizioni contrapposte, ed oggi le mappe di Sadat e Gamassi non sono tanto diverse da quelle di Goìda Meir e di Dayan. Ma il fatto è che, accanto agli ostacoli tecnici e strategici, che ancora rimangono, si sono ora aggiunti quelli politici. Fra due Paesi divisi da un così lungo ed ostile silenzio, ora ogni parola ha un peso imprevisto. Si è capito adesso perché i colloqui sotto la tenda del chilometro 101, e più tardi anche le sedute delle commissioni militari a Ginevra, fossero destinati ad arenarsi: perché non ci può essere neppure un inizio di pace senza un progetto di pace completa e totale. E' questo forse l'ostacolo maggiore che il pragmatico ed empirico Kissìnger sta incontrando: in un certo senso, questa è una trattativa che dev'essere cominciata dal tetto, invece che dalle fondamenta. Lo si vede in queste ore, quando nuovi problemi di fondo e di principio rallentano un accordo che, sul terreno, sarebbe già possibile. Su tre punti, tutti legati più al futuro che al presente, sembra revstere un divario che gli sforzi di Kissìnger tentano di colmare. Il primo interrogativo è se firmare o no un documento congiunto, e se accompagnarlo ad un impegno di non belligeranza: cioè se intavolare un rapporto nuovo, e riconoscere implicitamente lo Stato di Israele. Il secondo interrogativo è se legare o meno il primo ritiro ad un calendario di successivi abbandoni delle terre occupate dalle truppe di Israele dal 1967, e cioè se cercare fin da ora un assetto stabile e definitivo della zona. Il terzo interrogativo è se legare o no l'accordo del Sinai con intese che riguardino anche la Siria, in modo da impedire una spaccatura del fronte arabo ed evitare una pace separata. In un certo senso, la presenza di Kissìnger, e la sensazione che l'opportunità sia irripetibile, dilatano i problemi, ampliano la discussione e la rendono inevitabilmente più difficile. Occorrerà capire, nelle prossime ore, se israeliani ed egiziani st sono entrambi convinti che il «rischio della pace» è ancora il pericolo minore, pur se accompagnato da contraccolpi interni. Se Kissìnger dovesse ripartire a mani vuote, non resterebbe che l'intervento della diplomazia sovietica, ma sarebbe anch'esso incerto e costoso. Poi, più nulla potrebbe impedire ai due eserciti di tentare di risolvere la partita col fuoco. Non solo Sadat, ma anche la Meir non avrebbe alternative. Ecco perché Kissìnger non vuole lasciarsi sfuggire il momento, e pzrché fra tante voci discordi occorre puntare ancora sull'unico ottimismo che non sia mai venuto meno, che è proprio il suo. Andrea Barbato

Persone citate: Dayan, Henry Kissìnger, Meir, Sadat

Luoghi citati: Assuan, Egitto, Gerusalemme, Ginevra, Israele, Siria, Vietnam