Una paura antica di Guido Ceronetti

Una paura antica LA MORTE APPARENTE Una paura antica Un fatto di cronaca (ieri a Torino un vecchio si è risvegliato mentre lo deponevano nella bara) ha riproposto all'attenzione il tema della morte apparente. Sull'argomento abbiamo chiesto un articolo a Guido Ceronetti, scrittore curioso d'inquietanti stranezze. Ci sotto temi che presentano moltissimo interesse, ma sono troppo orribili per rispondere agli scopi di una narrazione onesta. Edgar Allan Poe comincia cosi il suo racconto II seppellimento prematuro, che tratta uno di questi argomenti, la morte apparente, con grandi cautele, senza però nascondere la verità: Non c'è nulla di altrettanto tormentoso sulla terra; non riusciamo ad immaginare niente di così ripugnante nei regni dell'inferno più profondo... Per non angosciare troppo i suoi lettori, Poe li rallegra nel finale: si conclude bene il caso di Edward Stapleton, morto di tifoide nel 1831, sepolto, trafugato di notte da ladri di cadaveri per conto dei medici, sottoposto a incisioni e a scariche galvaniche per piacere scientifico e, dalla sala anatomica, dove si era risvegliato, restituito alla salute e agli amici, mentre un malato di catalessi, attraverso una crisi più lunga e crudele delle precedenti, durante una gita in Virginia, in cui si crede e si sente sepolto vivo, riconquista eroicamente la pace e l'equilibrio fisico. La morale sembra essere che, a farlo ammalare, erano stati i libri di medicina. Invece lady Madeline, nella Caduta della casa Usher, adagiata freddissima dal fratello in uno scantinato irrespirabile, e dentro bara ben chiusa, ne emerge con fracasso sette giorni dopo, durante un temporale, per trascinare con sé nel sepolcro, vendicativamente, il fratello amato e delirante. Poe, scrittore amico della morte (cosi lo celebra, in un superbo sonetto, Mallarmé), è molto utile per iniziare ai suoi misteri i bambini e gli adolescenti. A lettori maturi non dice molto, ma è un'ottima guida tanatologica per l'infanzia. La morte, nell'età tenera, interessa e piace enormemente, e bisogna approfittarne per far viaggiare presto nei suoi magici regni le molli immaginazioni. ★ ★ Nei diari di Kafka, tra le annotazioni del suo viaggio per l'Europa in compagnia di Max Brod (agosto-settembre 1911), il ricordo di una conversazione a un tavolino di caffè in piazza del Duomo a Milano, sulla morte apparente e la puntura al cuore: Anche Mahler ha chiesto la puntura al cuore. Mahler era morto il 18 maggio di quell'anno; forse il pensiero della verifica medica sul suo corpo prima dell'inumazione gli avrà reso meno amari i sudori della morte. Sempre aveva sofferto di terrori della morte, riempito d'immagini funebri la sua musica. Queìl'anche di Kafka è significativo. Un nero velo di orrore per la morte apparente copriva l'Europa da quando la medicina si era data a divulgarne con grande allarme i fenomeni, e l'iniezione intracardiaca (di efedrina, di adrenalina) era frequente nella classe colta in quegli anni, per chi rifiutava la cremazione. Tra le carte kafkiane sequestrate dalla Gestapo a Berlino, c'è anche un frammento, ritrovato in Germania, sulla morte apparente, che chiude il volume mondadoriano di confessioni e diari curato da Pocar. All'esperienza del morto apparente, che riprende a vivere, Kafka accosta quella di Mose sul Sinai: il morto e Mose ritornano da qualche cosa di cui non possono dire niente. Ma tra la morte mistica e la morte apparente c'è una voragine. In Teresa di Avila, che ha sperimentato l'una e l'altra, sono rigorosamente distinte. Nel secolo XIX, buttandosi all'aria per i nuovi piani urbanistici gli antichi cimiteri, si scoprirono quantità di scheletri contorti, formanti un arco con la spina dorsale, in atto di forzare il coperchio, con ciocche di capelli tra le dita. Molto a proposito un proverbio di Parigi sul più antico cimitero della città, il Carnaio degli Innocenti, diceva che le ossa degli Innocenti non ridono, perché lì vennero fatte le scoperte più agghiaccianti. Allora nei parlamenti e sui giornali d'Europa s'invocarono misure legali per prevenire i rischi di risveglio nella bara. Durante un dibattito al Senato francese, nel 1866, l'arcivescovo di Bordeaux, Donnet, raccontò la storia di un giovane prete, che quarant'anni prima, svenuto durante una predica (è comprensibile) e subito dichiarato morto, stava per essere bravamente seppellito il giorno dopo. Il morto sentiva tutto, ma non poteva emettere nessun suono. Ritrovò la parola sentendo piangere un amico d'infanzia. Con perfetto senso dello spettacolo, il prelato concludeva, davanti all'assemblea sconcertata: — Oggi, signori, quel prete è qui, davanti a voi... Un caso analogo a quello dell'arcivescovo raccontava il dottor Johnson di St. Charles (Illinois): da ragazzo era stato esaminato e dichiarato morto da quattordici grandi medici, ma il padre si ostinava a non volerlo far seppellire. Quando la resistenza paterna era ormai esausta, dopo due settimane, sbucò dalla tenebra, indenne. Il 27 luglio 1907, a Budapest, un morto steso sul tavolo anatomico, mentre si stava per procedere — anzi, procedendo — alla sua autopsia, saltò alla gola del dissettore. Sono pochi, purtroppo, a potersi prendere di queste soddisfazioni! ★ ★ La bibliografia, dalla metà del secolo XVIII alla guerra mondiale, è ricca di titoli appassionanti: è del 1742 la denuncia di Winslow, in Danimarca, di casi di morti apparenti, ripresa clamorosamente in Francia da Bruhier d'Ablaincourt; a Strasburgo, nel 1780, esce la Memoria sull'abuso della sepoltura dei morti del Durande; nel 1824, ad Halle, il grande Hufeland pubblica il suo trattato Sull'incertezza dei segni della morte; Pietro Manni scrive un Manuale pratico per la cura degli apparentemente morti (Roma 1833); classico è il trattato di Icard, di Marsiglia: La mort réelle et la mort apparente (Parigi 1897), a cui segue, nel 1905, un saggio sul pericolo di morte apparente sui campi di battaglia, una delle facce più occulte e spaventose della guerra, in cui è di regola il seppellimento affrettato, sotto calce, nelle fosse comuni. A Weimar, nel 1791, entrò in funzione la prima camera mortuaria sorvegliata {dubiae vitae asylum) dove, al più piccolo movimento dei morti, si agitavano campanelli salvatori. (Chierici: I sepolti vivi e le camere mortuarie di osservazione, Roma 1888). AU'incirca le prime apprensioni mediche sulla morte apparente si svegliano in corrispondenza con le grandi cronache settecentesche dei morti sanguisughi e delle epidemie vampiriche. Il Rapporto medico sui Vampiri di Van Swieten è del 1781, trentanni dopo il fondamentale trattato sui vampiri dell'Ungheria e della Moravia di Calmet. Si dubita contemporaneamente dell'immortalità e della morte... Tuttavia non precipiterei la saldatura tra vampirismo e morte apparente, perché se l'apparenza di questa è accertabile, l'irrealtà di quello non risulta assolutamente provata. A Roma, nel 1913, uscì La tortura sepolcrale (sottotitolo eccitante: // nostro pericolo più spaventoso) di Augusto Agabiti, con prefazione del conte Michele di Karnice-Karnicky, Ciambellano dell'Imperatore di Russia, inventore di un apparecchio di salvataggio per gli inumati vivi. Questo Karnice, ricco filantropo che dedicò la sua vita alla morte (apparente), fabbricò da sé i modelli del suo apparecchio, in legno e in cartone, e lavorò per mesi nelle officine meccaniche Lindner di Berlino per costruirlo. L'apparecchio si applicava sulla tomba, ed era in comunicazione col defunto per mezzo di un tubo, terminante in una palla di vetro sospesa sullo sterno immobile e chiuso all'esterno da un otturatore. Verificandosi un movimento all'interno della cassa, una potente suoneria echeggiava nel cimitero (e se di notte?) mentre aria fresca arrivava velocemente all'inquilino dal tubo sturato e gli accorsi, applicando l'orecchio, ne ascoltavano le impressioni. Il Karnice ebbe voga nei migliori cimiteri; in Italia, costava trecento lire. Non sto parlando soltanto di un passato. Il passato è sempre un morto apparente, dei più apparenti e dei meno morti, e la morte resta per tutti un'apparenza che non si trasforma mai in realtà assoluta, e la morte apparente un problema tremendo e magnifico. Tutti abbiamo paura che quel coperchio si chiuda sopra qualcosa di noi, o tutto, non definitivamente, non sicuramente spento. Parecchi casi di risvegli accadono ogni anno, nelle case e negli ospedali: ma quelli che le cronache macabre ignorano, nascosti dalla terra? Perché non aspettare, quando mancano, che appaiano segni sicuri, inequivocabili, di morte? Perché questo furore, questa indomabile fretta di sbarazzarsi al più presto dei morti? Perché non chiedere una più scrupolosa cautela legale — quarantottore per le morti improvvise sono poche! — prima di consegnare un cittadino alla terra? Possiamo permetterci di credere più alla natura che a disumani strumenti clinici di accertamento? Dobbiamo credere più fortunati i morti in solitudine, che aspettano tre o quattro settimane, prima che qualcuno capiti nella stanza silenziosa? Quel che c'è di più materno nelle amanti, di più preservante nell'amicizia, perché così sovente si oscura nel momento del commiato, al punto da negare alla figura di vento che si è amata una piccola dilazione che assicurerebbe a chi la concede la gratitudine infinita dei Mani? La storia della morte (cioè la vera storia dell'uomo) grida con forza che non bisogna mai mai mai mai essere, in fatto di sepolture, precipitosi. Guido Ceronetti