Con i nuovi patrioti di Vittorio Gorresio

Con i nuovi patrioti INCHIESTA SUI COMUNISTI D'ITALIA Con i nuovi patrioti Nel giudizio corrente per tradizione di cronaca e di storia, antimilitarismo e pei fanno tutt'uno - In questi anni, tuttavia, il partito non ha perso occasione per raccomandare il rafforzamento dei "legami di reciproca fiducia tra il popolo italiano e le forze armate" - E sul tema della patria "oggi i comunisti — come dice Ignazio Silone — non si fanno più battere da nessuno" Roma, gennaio. Il 4 novembre dell'anno scorso, una domenica, ero in piazza Navona a passeggiare al sole, quando sul fare del mezzogiorno venne a schierarsi in quadrato la banda musicale della polizia a ridosso della fontana centrale, quella dei quattro fiumi del Bernini sormontata dall'obelisco dì Domiziano. Erano una quarantina di poliziotti monturati in uniformi con la doppia bottoniera lustra, arcuata come nell'Ottocento, coperti il capo da un kepi a pentolino guarnito di una soffice nappina bianca e rossa, quasi un piumino tondo per la cipria. Primi applausi Belli a vedere, incominciarono a suonare un repertorio degli inni patriottici, da quello di Mameli alla Canzone del Piave, il quale mormorava calmo e placido al passaggio dei primi fanti il ventiquattro maggio. Poi le ragazze di Trieste che cantan tutte con ardore « o Italia, o Italia del mio cuore, tu ci vieni a liberar »; «Addio mia bella, addio, l'armata se ne va », per ripetere infine l'inno di Mameli. Il capitano che dirigeva la banda si mise a questo punto sugli attenti, ferma la mano destra aperta tesa alla visiera in posa di saluto di ordinanza: e allora accanto a me due giovanotti, palesemente comunisti poiché tenevano l'Unità sporgente da una tasca delle loro giacchette, diedero il segnale degli applausi alla piccola folla che ascoltava, e che volonterosamente li seguì. Piazza Navona è un centro di ritrovo dei contestatori cittadini; è una vetrina di manifesti protestatari in permanenza affissi anche abusivamente sui muri dei suoi palazzi e delle sue chiese; a mezzogiorno di quel dì di festa vi era affluito popolino romanesco generalmente poco incline a trasporti di entusiasmo nazionale: tutto ciò nonostante, per un momento si ebbe il senso di assistere ad un rito patriottico. I comunisti riescono a ottenere questo ed altro, se ci si mettono. Ricorreva il 55° anniversario della nostra vittoria nella prima guerra mondiale — ora giornata che si dedica a onorare le forze armate della Repubblica — ed era quindi un'occasione per la Patria «tema sul quale — come dice Ignazio Silone — oggi i comunisti non si fanno battere da nessuno ». Quel giorno infatti lUnità era uscita con un inserto « speciale » di quattro pagine tutto riservato ai militari, aperto con un saluto della direzione del pei che raccomandava il rafforzamento dei « legami di reciproca fiducia tra il popolo italiano e le sue forze armate». Su manifesti murali ->er le strade il pei teneva ancora a ricordare la continuità ininterrotta fra il Risorgimento e la Resistenza attraverso le due guerre mondiali, e poi tra la Resistenza e la susseguente nostra Repubblica democratica: tutta una bellissima vicenda nazionale che ovviamente ha bisogno del presidio dei soldati di terra, mare ed aria. Quel giorno, ancora, è da ricordare per il « caldo incontro in tutta Italia tra le forze armate e il popolo », come scriveva lUnità del 5 novembre con un titolo su cinque colonne in prima pagina: « Esponenti e parlamentari del pei, delle Regioni, delle Province e dei Comuni si sono incontrati con gli ufficiali, i sottufficiali e i soldati all'interno del¬ le caserme (...) a Roma, Torino, Milano, Firenze, Genova, Bologna, e in molte altre città. Di particolare significato la cerimonia che si è svolta a Pisa nella caserma dei paracadutisti, dove è stata scoperta la lapide alla memoria del maggiore Gian Paolo Gamerra, medaglia d'oro della Resistenza, caduto combattendo contro i tedeschi invasori ». / comunisti erano andati in forze nella caserma Gamerra di Pisa, dove comanda un colonnello Salmi che assomiglia al più duro dei Massu, faccia ed assetto da para della più classica tipologia, che in altre occasioni l'Unità avrebbe descritto come l'incarnazione del militarismo sopraffattore. Stavolta, invece, Remo Cassigoli, corrispondente da Pisa del quotidiano comunista, gli ha attestato « il rispetto e la fraterna amicizia che i cittadini pisani hanno sempre avuto per i giovani che compiono il loro dovere di militari in questa città e per gli stessi ufficiali di carriera che vi risiedono ». Con i "para" Sono parole nuove, affatto insolite, che diremmo stonate rispetto al linguaggio tradizionale della sinistra: ma pare che i tempi siano cambiati. Concludeva difatti la cronaca pisana una formale declaratoria: « Non si possono condividere posizioni polemiche, ormai superate, di oltranzismo antimilitarista, dalle quali si fa discendere un giudizio politico errato sulle forze armate del nostro Paese ». .Reso omaggio ai para nella loro caserma di Pisa, a Roma è stata fatta una visita di cortesia anche agli ufficiali allievi della scuola di applicazione dei carabinieri in via Garibaldi 41, de- finita altre volte « la tana dei golpisti ». Vi è andato l'onorevole Ugo Vetere, capo del gruppo consiliare comunista in Campidoglio, a intrattenersi con quei signori ufficiali sui compiti di istituto dell'Arma benemerita, condividendone il disappunto per le ingrate condizioni in cui operano gli appartenenti alle stazioni periferiche: « Questa categoria di cittadini italiani — come ha riferito l'Unità — è costretta ad una giornata lavorativa estenuante che è fatta in media di 10-12 ore, e di una settimana di 60-70 ore, effettuate di giorno e di notte indistintamente »: gentili accoglienze all'onorevole Vetere da parte degli ufficiali dei carabinieri, anche se costoro erano forse un po' sorpresi dalla sua visita inaspettata. E' infatti certo che nel giudizio corrente antimilitarismo e pei fanno tutt'uno. Per tradizione di cronaca e di storia molti nostri ufficiali sono facilmente indotti a considerare le marce antimilitariste e le campagne per l'obbiezione di coscienza come una manovra del pei, ed a vedere in un Marco Pannella che le organizza una controfigura di Enrico Berlinguer; e quali comunisti di complemento i gruppettari di Avanguardia operaia, Lotta continua, Potop e Pdup, fino agli innocui intellettuali della «Lega del vento rosso » aderente alla Farp. Credono poco sincere le inesauste campagne del pei contro i gruppuscoli. Per loro, è inutile che Pajetta deprechi i giovani travolti a credere che sia buona politica imbrattare i muri di scritte contro l'esercito. Che Ingrao proclami il fallimento dell'antimilitarismo extraparlamentare, li trova sordi; essi non leggono i giornali degli estremisti di sinistra che bollano a fuoco la nuova passione del pei per le FF.AA. Esercito di popolo? si domandava difatti in quei giorni della patria Gino Vermicelli su il manifesto: « Smettiamola con questa retorica ridicola. Il popolo considera la chiamata di leva come un male ineluttabile, e il tempo della ferma come buttato via. E cosa contano i ragazzi del popolo nell'esercito, gregari sballottati qua e là da una istituzione nella quale non sono niente? ». Oggi, secondo il manifesto, l'esercito non è che l'ufficialità di origine piccolo-medio borghese e ideologicamente ne riflette la condizione: « Oggi, quando fare il militare sempre meno significa fare la guerra, va a fare il militare di carriera chi accetta un modello gerarchico-repressivo, una concezione monca della democrazia, la tesi del corpo separato, il militarismo come valore in sé ». Mettendo da parte le discussioni circa la sincerità del nuovo amore del pei per l'esercito, si può trovare strano che il quotidiano del partito continui ad ospitare argomentazioni affatto simili a quelle del gruppo del manifesto. Il giorno slesso della pubblicazione del patriottico inserto speciale sulle forze armate, l'Unità aveva, in una pagina accanto, una serie di lettere di « cittadini in uniforme» intese tutte a denunciare aspetti e fatti negativi della vita militare: il capitano feroce, il tenente autoritario e un po' sciocco, il rancio immangiabile nella caserma del 52° reggimento « Alpi » ad Attimis (Udine), l'arcaico e mortificante regolamento di disciplina, la necessità di un sindacato anche sotto le armi, e così via. Corpi separati Ma codesta è una prova che i gruppuscoli han torto, dato che il nuovo atteggiamento del pei verso le istituzioni militari quali esse esistono in Italia è piuttosto da intendere all'inglese come versus, vale a dire in un'accezione di ostilità. Quello che realmente vogliono i comunisti i quali hanno parlato con tanta commossa passione di esercito di popolo nel 55° anniversario di una nostra vittoria militare è una radicale riforma del più separato fra i corpi separati dello Stato. Tanto radicale dovrebbe essere che Lucio Lombardo Radice, professore di algebra nell'Università di Roma e membro del comitato centrale del pei, non si accontenterebbe di una semplice «democratizzazione» nel senso corrente di questo termine anche troppo facile: « Occorre affrontare il problema di un comando elettivo, civile, revocabile, dei corpi separati, se vogliamo davvero cambiare le cose nel profondo». Si tratta di impedire la chiusura in casta di un «corpo separato» che pur nella necessaria sua autonomia deve ispirarsi e obbedire ai dettami della Costituzione; di rendere operante il rapporto tra forze armate ed istituzioni, valorizzando il ruolo del Parlamento « in uno con la giusta collocazione del Consiglio supremo di Difesa », ha scritto l'Unità il 4 novembre. Ai comunisti non basta che ogni tanto venga fuori un sottosegretario alla Difesa — nella specie, l'onorevole Michele Pellicani, già comunista, poi socialdemocratico ed infine socialista — a farsi garante nella caserma dei para di Pisa « del più assoluto rispetto delle gerarchie militari verso le decisioni dell'autorità politica e nei confronti del Parlamento »: essi vogliono anche « forze nuove di presenza democratica, prese di contatto, udienze conoscitive, eccetera ». E' stato osservato che — alla lunga — per questa strada si potrebbe arrivare addirittura alla nomina di commissari politici ai vari livelli delle gerarchie, e la prospettiva ha destato tutto l'immaginabile spavento. E' stato però scritto che la paura ha colto invece i comunisti: « La paura, vogliamo dire, che le forze armate possano un giorno essere indotte a intervenire a trarre l'Italia dal caos» (efr. Il Tempo di Roma, 4-11-1973), e appunto simile terrore avrebbe spinto i comunisti « a blandire generali, ufficiali e soldati ». Lasciando stare adesso le paure, che sono un metodo di interpretazione sempre inattendibile, c'è piuttosto da dire che il nuovo corso del pei sul piano delle FF. AA., lungi dall'essere quella esplosione di conformismo patriottardo che i gruppuscoli vogliono vedervi, è parte organica di una riforma comunista dello Stato che per essere organica deve investirne tutte le componenti. Vittorio Gorresio Livorno. Selva di bandiere rosse a un Festival dell'Unità svoltosi di recente nella «città dei paracadutisti» (Foto Team)