Magistrati e polizia

Magistrati e polizia LA GIUSTIZIA OGGI Magistrati e polizia In « Per difendersi dal delitto » del 2 gennaio Conso scorge una garanzia in una polizia giudiziaria posta alla esclusiva dipendenza della magistratura, senza interferenze da parte dell'esecutivo, eccezione fatta per quelle concernenti l'organizzazione e il funzionamento, da demandare però al solo ministro della Giustizia. Che l'autorità giudiziaria disponga direttamente di tale polizia, è scritto all'art. 109 della Costituzione, e la norma è fuori discussione. Ma la pubblica sicurezza solo in piccola parte è impegnata nella repressione dei reati; un Commissariato di quartiere è molto preso da pratiche varie: licenze di porto d'arme, permessi di caccia, passaporti, le varie licenze per cui la legge prevede l'autorizzazione od il parere della pubblica sicurezza: compiti di conciliazione: liti familiari, l'affittacamere che vuol mettere fuori l'inquilino, o la domestica ad ore che viene a deplorare di non essere pagata; e poi le denunce che non hanno seguito, ragazze scappate di casa, ma che l'indomani ricompaiono, furti di biciclette, di automobili, e via dicendo. Attraverso quest'attività il Commissariato acquista un panorama del quartiere, che gli permette d'intravedere molte cose: le camere affittate ad ore per coppie clandestine, lo sfruttamento di prostitute, i ragazzi sospetti fornitori di droga, la gente che vive lussuosamente ma non paga chi la serve, e via dicendo; e credo che quando è commesso un delitto, la polizia giudiziaria non possa fare a meno di cominciare a chiedere al Commissariato di quartiere. Separare le due polizie? Nessuno vi pensa: già si deplora il dualismo carabinieri e pubblica sicurezza. Porre tutta la polizia alle dipendenze del ministero della Giustizia? Se questo fosse ancora l'organismo burocratico ch'era al principio del secolo, non vi vedrei difficoltà (per quanto sia arduo separare del tutto polizia e funzione politica, che non può non fare capo alla Presidenza del Consiglio ed al ministero dell'Interno, che sarebbe bene avessero sempre un unico titolare; ma oggi il ministero è costituito per intero da magistrati e cancellieri, che di solito vi arrivano dopo vari anni di servizio presso uffici giudiziari. E mi chiedo sempre se abbia ancora una ragion d'essere quel ministero, una volta affidate al Consiglio superiore della magistratura promozioni e destinazioni dei giudici. Un ministero per le carceri, i concorsi a notaio, mansioni di alta sorveglianza sullo stato civile, su alcuni ordini professionali, per sottoporre al Capo dello Stato i decreti di grazia e di riconoscimento, dopo sciolto il matrimonio, di figli adulterini (ma questa figura dell'adulterino confido scompaia presto)? Un ministero in cui il ministro non può rispondere che dell'operato del personale delle carceri, perché in fatto non ha altri dipendenti. Comunque non so quanto il magistrato sia atto a dirigere la polizia giudiziaria. Il magistrato per un arcaismo della legislazione è legato al cancelliere: non può procedere a nulla senza il cancelliere ed i provvedimenti li adotta per scritto, nella sua sede: ciò che significa legato ad un orario di ufficio, che i palazzi di giustizia ad una certa ora chiudono le porte. Il ritmo del magistrato è necessariamente non rapido, anche se nel caso l'uomo sia solerte; guai se esso s'imprimesse anche alla polizia. E poi, diciamo la verità: la diffidenza per la polizia e la fiducia nel magistrato sono legate a un abito mentale che siamo in molti a non condì videre (perciò ho gradito le parole del messaggio di Leone che ricordavano le benemerenze delle forze di polizia, che spesso lasciano vittime sul terreno); non ha consistenza la visione del magistrato impassibile, mai annebbiato da preconcetti, e quella del poliziotto che ha la voluttà di colpire, di vedere in ogni persona che interroga un colpevole. Uomini troppo sicuri di sé, del loro intuito, della prima impressione, ed uomini esitanti e dubbiosi; uomini non disposti a riconoscere di avere preso una via errata ed uomini troppo presto propensi ad abbandonare una traccia, uomini inclini alla pietà ed uomini duri; si trovano in tutti i ranghi. Ed altresì uomini che guardano con nostalgia al passato ed uomini che lo aborrono; nessuno oggi si sentirebbe di affermare che la ma¬ gistratura non sia più accessibile alle correnti politiche. Polizia a disposizione dei giudici, sì; ma che serbi una sua libertà di azione, non sia troppo burocratizzata, possa assumere iniziative, se la si vuole arma contro il delitto. Conso parla della presenza del difensore ad ogni interrogatorio, ormai consacrata. So che non si torna indietro; ma non ne sono entusiasta, specie rispetto al primo incontro tra giudice (o polizia) ed indiziato. Enrico Ferri insegnava in argomento ai suoi allievi che vi sono regioni d'Italia in cui si parla con la bocca ed altre in cui si parla con le mani. E' proprio certo che l'avvocato difenda soltanto l'interrogato dalle insidie del giudice, e non lo avverta, anche nel modo più corretto, con una obiezione mossa al giudice circa la domanda posta, sul come deve rispondere? C'è un romanzo di Arpino, Un delitto d'onore, che è la storia di una vicenda realmente avvenuta: e chi difendeva l'imputato era un parlamentare illustre, ch'ebbe anche cariche di governo, ed uomo integerrimo, la cui memoria è da tutti giustamente onorata; eppure rimando a quel romanzo a mostrare come, anche nelle sfere più alte, il penalista non possa che suggerire all'imputato, pur se sicuro autore del delitto (in quel caso, orrendo), la via della sua salvezza. A r> , | A. C. Jemolo

Persone citate: A. C. Jemolo, Conso, Enrico Ferri, Magistrati

Luoghi citati: Arpino, Italia