L'anno del rilancio per l'economia Usa

L'anno del rilancio per l'economia Usa LE PROSPETTIVE DEL 1974 L'anno del rilancio per l'economia Usa La «buona salute» del dollaro, dopo due anni di gravi difficoltà, è esplosa nei giorni scorsi sui mercati valutari. La moneta Usa ha riguadagnato il terreno perduto ed ora la preoccupazione di tutti, americani ed europei, è quella di evitare un'eccessiva «rivalutazione», l'opposto di quanto accadeva ancora nella primavera scorsa. Allora erano soprattutto il marco tedesco e lo yen giapponese a preoccupare le autorità monetarie per il loro continuo rafforzamento nei cambi, mentre la debolezza persistente del dollaro denunciava un grave squilibrio nella bilancia dei pagamenti americana, in cronico e crescente deficit da anni. Ora YEconomist afferma: «Questo è Vanno del dollaro». Fu il segretario del Tesoro Usa, George Shultz, all'inizio dell'estate, ad affermare, tra il generale scetticismo, che la situazione stava cambiando. La massa di «dollari vaganti» rientrava rapidamente in patria, diceva Shultz, e ben presto la bilancia dei pagamenti statunitense si sarebbe riequilibrata. I fatti gli hanno dato ragione. Grazie anche ad un capovolgimento nell'andamento degli scambi con l'estero (che hanno segnato un attivo nei primi undici mesi del '73 di 775 milioni di dollari contro un passivo nello stesso periodo del '72 di circa 6 miliardi) la bilancia dei pagamenti Usa segnerà probabilmente, per l'intero anno scorso, un attivo di un miliardo di dollari. Ad accelerare questo processo è arrivata la crisi petrolifera, che ha colpito tutto l'Occidente e il Giappone, ma in misura nettamente inferiore rispetto agli altri gli Stati Uniti. Le previsioni delPOcse per il '74 danno, come risultato finale per le bilance dei pagamenti dei vari Paesi, un attivo di quasi 5 miliardi di dollari per gli Stati Uniti, di 300 milioni per il Canada e poi una serie di passivi, da 5,3 miliardi per il Giappone a 2,4 per la Germania federale, da 5,1 per la Gran Bretagna a 3,4 per l'Italia, da 3,5 per la Francia a cifre inferiori al mezzo miliardo per Belgio e Olanda. I motivi del minor impatto della crisi energetica sugli Stati Uniti sono noti (tra questi l'estesa diversificazione mondiale delle fonti di approvvigionamento del petrolio, con minor dipendenza dai Paesi arabi rispetto a Europa e Giappone e la dominanza americana nel «clan» delle sette sorelle, di cui cinque sono statunitensi). Su questo sfondo si colloca la maggior solidità dell'apparato produttivo degli Stati Uniti, che ha resistito ai violenti scossoni degli ultimi due anni. Le fragili strutture della Cee invece sembrano aver fatto naufragare in poco tempo il sogno europeo di una partnership economica mondiale con gli Stati Uniti. Anche se gli effetti della crisi energetica non saranno così disastrosi per l'Europa Occidentale, in termini di produzione e di occupazione, come si è letto in un documento di Bruxelles del novembre scorso, il '74 s'è aperto all'insegna della ripresa americana e della stasi europea. Alla vigilia del '74 una decisione di Washington, forse non sufficientemente avvertita, ha segnato la fine di un'era (quella che aveva fatto parlare d'un ritorno all'isolazionismo) ed ha riaperto la prospettiva d'una nuova, massiccia offensiva verso l'esterno dell'economia americana: sono state rimosse quasi del tutto le barriere che limitavano gl'investimenti di capitali all'estero. Riequilibrata la bilancia dei pagamenti, gli americani sono pronti a ripresentarsi anche in Europa. La notizia è stata sensibilmente avvertita soltanto dalla Borsa di Londra, che tra Natale e Capodanno ha vissuto un breve momento d'euforia, confermando la persistente propensione dell'economia inglese ad orientarsi sull'area atlantica piuttosto che su quella comunitaria. E' una rivincita postuma, in qualche misura, delle tesi golliste, e comunque una conferma della difficoltà per l'Inghilterra, con la sua economia disastrata, ad inserirsi nel quadro spesso contraddittorio e scoraggiante della Cee. Che la liberalizzazione dei capitali americani verso l'estero sia una delle componenti dell'espansione statunitense nel prossimo futuro è confermato dalla richiesta di Henry Reuss, presidente del subcomitato economico del Congresso, per una completa abolizione delle restrizioni in materia entro il '74. La sicurezza data dall'attivo negli scambi con l'estero ha spinto Reuss a chiedere anche l'abolizione delle direttive «Buy American», in vigore da oltre dodici anni per l'acquisto, esclusivamente negli Usa, di materiale per la difesa. Gli Stati Uniti sono preparati alle grandi sfide dell'energia e delle materie prime. Le grandi compagnie petrolifere hanno già varato ampi programmi per le ricerche petrolifere in mare aperto e in Alaska, e per il rilancio dei progetti elettronucleari, con investimenti enormi, possibili grazie agl'ingenti utili accumulati negli ultimi anni; per le materie prime s'intensifica la presenza americana nei Paesi produttori del Terzo Mondo, che necessitano di capitale e know-how tecnologico per lo sfruttamento delle risorse e lo sviluppo delle loro economie arretrate. E' la stessa politica che ha dato e, malgrado le apparen- ze, continuerà a dare i suoi frutti con i Paesi arabi produttori di petrolio. L'Europa cerca di «stare in corsa» come può, ma non come un insieme omogeneo, bensì ogni Paese per conto suo. Meglio d'ogni altra considerazione, vale in questo senso (se riferita alle iniziative francesi di questi giorni verso l'Arabia Saudita) l'affermazione dell'ex premier Michel Debré su Le Figaro: «Siamo entrati in una fase molti vivace della competizione economica mondiale. Né le amicizie, né le alleanze, né le affinità potranno impedire l'aggressività». In questa «competizione», con Europa e Giappone «in ginocchio» e il volano dell'economia americana che mostra una forte volontà di girare a pieno regime, non è tuttavia difficile prevedere chi spunterà i migliori risultati. Gianfranco Romanello

Persone citate: Buy, George Shultz, Gianfranco Romanello, Henry Reuss, Reuss, Shultz