Quelli che sentono la giacca stretta di Alberto Ronchey

Quelli che sentono la giacca stretta RITORNO NELL'URSS Quelli che sentono la giacca stretta (Dal nostro inviato speciale) Mosca, gennaio. Il commissario e il magistrato identificano subito il germe della disobbedienza. Basta una conversazione, condotta in quel tono didascalico e paterno, che attira allo scoperto i giovani insofferenti perché li esaspera. Infatti i giovani, a differenza degli anziani, credono d'avere qualche diritto. Il primo incidente giudiziario del giovane Amal'rik ebbe inizio nel maggio del '65 con un dialogo sulla pittura, nel quale non riuscì a sorvegliarsi del tutto dinanzi al procuratore Jakovlev, che negli uffici del distretto Frunze di Mosca l'interrogava sulle sue attività nei traffici d'arte non ufficiale. « Conoscete un solo artista che sia stato riconosciuto all'estero e non in patria? ». « Rauschenberg, per esempio ». « Parlo dei russi ». « Kandinskij, Chagall, Soutine, Arcipenko, Malevic, quasi tutti ». «Ma per chi hanno dipinto questi pittori? ». « La questione è complicata ». « Conoscerete la galleria Tret'jakovskaja, chi ha dipinto il quadro Vita dovunque?». « Jarosenko, nel secolo scorso ». « Quello sì era un artista, ha dipinto per il popolo. Non si deve dipingere per pochi, ma per il popolo ». « Per quella parte del popolo che s'interessa di pittura, non tutti hanno gli stessi interessi. Ma fra queste due parti non devono interferire capi ignoranti ». Chi risponde così è identificato, avvertirà presto la sensazione d'avere « la giacca stretta »; e gli adolescenti rispondono spesso cosi. Le traversie degl'indocili cominciano sempre con piccoli episodi; poi l'apertura d'una pratica punitiva li spinge verso l'indignazione, l'avversione profonda, le « frange matte » déH'iritelligencija, alimenta quel po' di spirito riottoso e ne fa un dissidente intrattabile. E dai tempi dostoevskijani, coloro che « vanno sempre all'ultimo limite passano sempre il limite ». ★ ★ Andrej Amal'rik era già stato espulso dall'Università e attribuiva tale sanzione a un suo lavoro storico su I normanni e la Russia di Kiev; si guadagnava da vivere facendo vari mestieri, ma sarebbe stato recuperabile se non avesse conosciuto l'ambiente dei pittori vessati dall'autorità incompetente e il dispotismo precettizio d'un procuratore capo. Nel '65 fu accusato in base aWukaz contro i « parassiti », una legge che oltre a sgombrare le città dai chuligani e dagli alcolizzati, raccogliendo manodopera per lontane regioni minerarie, consente di far giustizia sommaria degl'intellettuali inquieti. Ma fu condannato poi come autore di scritti « antisovietici e pornografici », e deportato presso Tomsk in Siberia « con l'obbligo del lavoro manuale ». Dopo il suo ritorno a Mosca scrisse Nezbelannoe puteshestvie v Sibir, il celebre Viaggio involontario in Siberia, un libro molto diffuso nel « sottosuolo » dell'Urss, che narra come gl'ingranaggi del potere addentano un dissidente, per quali prigioni deve passare, come si vive in un kolchoz destinato al lavoro coatto, là dove gli stessi contadini non possono muoversi oltre il territorio dell'azienda e ignorano tutto del mondo esterno e vivono come « anime » legate a poche verste di steppa in una rinnovata « servitù della gleba ». Questo gli valse nel novembre 1970 la seconda condanna, il lavoro forzato nei peggiori Lager come Kolyma e Magadan. La sua opposizione divenne apocalittica; scrisse un violento pamphlet politico, tradotto poi in molte lingue, con il titolo Sopravviverà l'Urss fino al 1984? Scontata la pena, nell'estate del '73 fu ancora condannato e trattenuto a Magadan; in seguito, la terza detenzione è stata commutata in confino perché è molto malato. « Le condizioni che provocarono la prima e la seconda rivoluzione russa — scriveva Amal'rik ormai politicizzato in quel suo pamphlet — esistono anche oggi: gruppi di caste inamovibili, sclerosi d'un sistema statale entrato radicalmente in conflitto con le necessità dello sviluppo economico, contraddizioni nazionali in seno a uno Stato plurinazionale e situazione privilegiata d'alcune nazionalità... ». Il potere può riversare all'esterno le sue contraddizioni, inseguendo quei diversivi che alimentano il culto della potenza e grandezza dell'Urss; ma tale logica si può ribaltare, un conflitto esterno può essere anche il detonatore delle contraddizioni interne. Il detonatore, prevede Amai' rik, scoppierà all'Est, quando l'Urss dovrà fronteggiare una guerriglia con la Cina lungo settemila chilometri. Quelle regioni di frontiera sono spopolate, o popolate da nazionalità non slave: l'Asia centrale turchestana, la Siberia meridionale fino al Bajchal, l'Amur e l'Ussuri. Ma se l'Urss dovrà trasferire le sue forze all'Est, quale affidamento potrà fare su alleati come la Cecoslovacchia, l'Ungheria, la Polonia, la Romania, la Germania di Pankow? Un tempo Leopoli e Vilna erano polacche, la Bessarabia era rumena, Vyborg e Pecenga erano finniche, la Transcarpatia era ungherese, Kaliningrad era la tedesca Konigsberg di Kant, come in Asia Sachalin e le Kurili erano giapponesi. E allora, dopo l'esplosione, anche dal fondo stesso dell'Urss emergeranno tutti i nazionalismi, dal Baltico al Caucaso, dal Turchestan all'Ucraina e alle sedici regioni autonome abitate da popoli non russi nella stessa Repubblica federativa di Russia, come baskiri, mongoli buriati, daghestani, kabardino - balkari, calmucchi, careliani, mordovi, tartari, udmurti, ciuvasci. Poiché ha evocato simili « mostri e demoni », Amal'rik è giudicato come il nigilist più pericoloso fra quanti formano le schiere dell'opposizione che non viene a patti. Lo stesso germe della disobbedienza in età verde è all'origine delle traversie di Vladimir Bukovskij, ancor più giovane di Amal'rik. Ha già trascorso nove dei suoi trent'anni fra prigioni, manicomi e Lager; l'ultima condanna, a dodici anni, è del 1972, dopo che aveva scritto e trasmesso all'estero Una nuova malattia mentale nell'Urss, l'opposizione. La sua prima colpa, nel 1960, fu d'irrequietezza; espulso dalla scuola superiore 59 di Mosca, reagì dedicandosi al « samizdat ». Nel maggio '63 fu arrestato dal « Kgb », tradotto all'istituto Serbskij e dichiarato infermo di mente, poi recluso nel manicomio criminale di Leningrado per « quindici mesi d'inferno ». « Nel manicomio — disse in un'intervista alla Washington Post nel maggio '70 — c'erano un migliaio di uomini, prigionieri politici e pazzi assassini. Il malato delirava, il sano soffriva. Avevo due compagni di cella: un vecchio nazionalista ucraino, ricoverato da sedici anni, e uno che aveva ucciso i figli e s'era poi mozzato le orecchie. L'ucraino passava il giorno intero a parlare dell'indipendenza ucraina, l'assassino stava seduto là e sorrideva ». Fu liberato nel '65, ventiduenne, sofferente di cuore e di reumatismi, (« Ma per il resto stavo bene, ero ancora sano di mente »). A Mosca, ritornò fra i dissidenti e i cronisti stranieri. « Bisogna avere molti amici — spiegò alla Washington Post — quando si fa questo lavoro. Il "Kgb" ti sorveglia sempre e spesso ti ferma per l'interrogatorio. Se nessuno lo sa, scompari dalla circolazione e basta. Se invece gli amici lo sanno puoi considerarti più sicuro, perché ne informano altri, assistono al processo, conoscono i termini della condanna. Le autorità non vogliono grossi scandali ». Nel '67 fu arrestato per una manifestazione di protesta, processato e condannato a tre anni nel Lager di Bor, presso Voronez. « Non m'importa quello che decidete — disse al giudice —, io sono libero dentro di me, rifarò le stesse cose appena potrò ». Nel campo di Bor, i cartelli ammoniscono: « Il lavoro duro è la sola via per tornare a casa ». Nella baracca di Bukovskij, gli uomini del gulag avevano affisso il ritratto d'una donna in lacrime con la didascalia: « Lavora figlio mio per la tua libertà ». Ma Bukovskij, appena fuori, s'è dedicato imperturbabile a rifare « le stesse cose »; ora ne avrà di Lager fino al 1984, l'anno apocalittico atteso da Amal'rik. ★ ★ Fra gli oppositori che hanno ceduto, il più celebre ormai è Pjotr Jakir, figlio del generale Jona Jakir fucilato nel '37 per ordine di Stalin sotto l'accusa di tradimento e riabilitato nel 1954. Ma il caso di Jakir figlio, con quel che ha detto in processo, è giudicato solo doloroso nei commenti del « sottosuolo »: viveva nel timore dall'infanzia, angosciato, persino alcolizzato. Il « Kgb » asseriva che fosse tra i compilatori del periodico clandestino Cronaca degli avvenimenti correnti, ma l'ha usato come il più vulnerabile capro espiatorio per screditare la dissidenza di fondo duro. Nato nel 1923 e imprigionato dall'età di' quattordici anni fra un Lager e l'altro, era stato liberato solo nel '54, diciassette anni dopo. Nel suo diario incompiuto Infanzia in prigione si legge: « Uno sconosciuto in abiti civili mi avvertì che sarei stato sorvegliato, che se diffondevo notizie sui Lager sarei stato incriminato secondo l'articolo 121, che sarei stato chiamato periodicamente a colloqui ». Nella libertà condizionata, si dedicò agli studi storici come ricercatore presso l'Accademia delle Scienze; ma venne coinvolto nelle agitazioni dei dissidenti a favore di Sinjavskij e Daniel', Ginzburg, Galanskov, Chaustov, Marcenko, Bukovskij, ebrei e tartari. Nel giugno '72, dopo la visita di Nixon a Mosca, Pjotr Jakir fu arrestato dal « Kgb ». L'istruttoria, in cui era associato a Viktor Krasin, è durata un anno e s'è conclusa nell'agosto '73 con un processo a porte chiuse. Gli imputati, confessi « colpevoli e pentiti », sono stati condannati solo a tre anni secondo l'articolo 70, pena ridotta in appello per il « buon comportamento », e persino esibiti a una conferenza stampa in veste d'accusatori di se stessi. L'ultima sua confidenza, pochi giorni prima d'essere arrestato, l'aveva fatta al corrispondente del Times David Bona via, che poi fu espulso dall'Urss per averla pubblicata: «Ho passato nell'angoscia la vita intera, l'idea delle torture e del dolore fisico mi atterrisce. Se mi prenderanno e parlerò, sappiate che non sarò io a parlare ». ★ ★ Il processo Jakir è stato l'ultimo finora; la gran serie dei giudizi penali post-chrusceviani contro Yintelligencija critica ebbe inizio fra il '65 e il '66, con l'arresto e le condanne a sette e cinque anni di Andrej Sinjavskij e Julij Daniel'. Sotto gli pseudonimi di Terc e Arzak erano autori di novelle fantastiche, cariche di simboli e invettive (« Ululava alla luna, Lenin, concentrato e metodico, ululava Il'ic alla morte », scrisse Terc in Ljubimov). Al processo, Andrej Sinjavskij osò proclamarsi non marxista, e si difese dalle imputazioni di « propaganda e agitazione » (art. 70) dichiarando: « Mi accusano d'aver messo alcuni personaggi del mio romanzo in un Lager. Sembra che non esistano più questi Lager; ma allora dove andrò a finire io uscendo da qui? ». Era stato il critico letterario migliore della nuova generazione, autore d'un saggio famoso sul «realismo socialista». Scontata la pena, da pochi mesi ha accettato un passaporto con il visto per Parigi senza diritto al ritorno; ora insegna letteratura russa al Grand Palais. Il potere ha voluto ridurre la pressione del dissenso interno, in parte ha vinto su Sinjavskij come su Brod skij, Esenin-Volpin, Zhores Medvedev, Chalidze. Ma dalla cattedra parigina, Sinjavskij potrà offrire un'eco all'opposizione interna; ha già pubblicato in volume a Londra le sue lettere dal carcere. E non pochi a Mosca ricordano che lascia dietro di sé la polemica più penetrante sulla crisi dell'ideologia dopo Stalin: « La forza d'un sistema teologico risiede nella sua costanza e ordinata armonia; una volta ammesso che Dio abbia spensieratamente peccato con Eva, e divenuto geloso di Adamo l'abbia cacciato a dissodare la terra, cadrebbe l'intera teoria della creazione e sarebbe impossibile ristabilire la fede... ». Alberto Ronchey p Sinjavskij, di Levine (Copyright N.Y. Rcvlew of Books. Opera Mundi c per ritolta La Stampa)