Lo yen "fluttuante" ha perso quasi il 7%

Lo yen "fluttuante" ha perso quasi il 7% Tokio ha abbandonato la difesa Lo yen "fluttuante" ha perso quasi il 7% Il dollaro aveva aperto al cambio regolare di 280 yen, ma è salito immediatamente a 300 per chiudere a 299,50 (che equivale ad una svalutazione del 7 %•) - A "sei mesi" è quotato a 323,50 Tokio, 7 gennaio. (Ansa) La crisi del petrolio ed i suoi riflessi sull'economia giapponese hanno provocato oggi una netta caduta dello yen, svalutato virtualmente di quasi il sette per cento rispetto al dollaro sui mercati valutari a causa del mancato appoggio della Banca centrale. Stasera, in chiusura, il dollaro a pronto è stato quotato a 299,50 yen dopo aver aperto regolarmente a 280 mentre la quotazione a « sei mesi » è salita a 323,50, il livello più alto dal febbraio scorso quando lo yen fu lasciato fluttuare liberamente sul mercati valutari. Alla chiusura dei mercati, la scorsa settimana prima del weekend, la quotazione era di 280 yen per dollaro, livello al quale la Banca centrale aveva fissato il 13 novembre scorso il proprio punto di intervento. Oggi la Banca del Giappone ha preferito però non intervenire a sostegno della moneta lasciando così che le forze del mercato ne stabilissero la quotazione. L'attività è stata oggi moderata e il volume delle transazioni si è aggirato sui 66 milioni di dollari mentre venerdì era stato di 460 milioni. La richiesta di dollari è stata determinata da pessimistiche previsioni sull'andamento della bilancia dei pagamenti giapponese che verrebbe ulteriormente compromessa dalla impennata nel prezzo degli approvvigionamenti di carburante. Gli economisti giapponesi prevedono che il costo delle importazioni di grezzo in Giappone si raddoppierà, salendo a circa 14 miliardi di dollari, una somma superiore all'entità delle riserve del Paese che erano alla fine di dicembre di 12 miliardi 246 milioni di dollari. Al ministero delle Finanze il nuovo livello dello yen viene definito stasera come « il valore reale» della moneta giapponese che dovrebbe assestarsi, secondo le previsioni, a quota 300 rispetto al dollaro. Mentre il premier giapponese; Kakuei Tanaka, sta per compiere una serie di visite ai dirigenti dei Paesi del Sudest asiatico e viene firmato, secondo i crismi ufficiali, un accordo commerciale tra Tokio e Pechino, la Banca del Giappone ha sospeso all'improvviso i suoi interventi sul mercato valutario. Ne è risultata immediatamente una svalutazione «de facto» per lo yen del 7 per cento circa, il cui effetto è stato di accelerare il rialzo del dollaro sui mercati europei. Nello stesso tempo il governo di Tokio si sforza, finora senza successo, di frenare l'inflazione galoppante all'interno. Raramente si è assistito ad un rivolgimento così netto d'una situazione apparentemente brillante. Ancora nel febbraio dell'anno scorso, in tutte le conferenze economiche e monetarie, si puntava il dito sul Giappone, indicandolo come il principale responsabile della persistente debolezza della bilancia dei pagamenti americana. Erano i tempi in cui il Giappone accumulava ogni mese enormi surplus. Bisogna riconoscere, a merito delle autorità monetarie giapponesi, che esse non si lasciarono fuorviare dalla stabilità della moneta nazionale che sembrava allora la più forte del monde. Resistettero, fino a che poterono, alle pressioni per una seconda rivalutazione (dopo quella del 18 dicembre 1971, decisa in occasione dell'accordo di Washington). La loro resistenza, rimproverata al Giappone come mancanza di spirito di collaborazione, si basava anzitutto sui dubbi circa la forza intrinseca dello yen. L'evoluzione degli avvenimenti ha confermato sostanzialmente la loro diagnosi. All'indomani della svalutazione del dollaro del 12 febbraio 1973, la Banca del Giappone si rassegnò finalmente a lasciar fluttuare lo yen, ma dal mese di marzo dovette intervenire per difendere il nuovo corso, stabilizzato intorno a 265 yen per dollaro (contro la vecchia parità di 308 yen). La bilancia dei pagamenti, da allora, è sempre stata in deficit. Molti fattori sono entrati in gioco contemporaneamente: tra questi la politica del ministero dell'Industria e del Commercio internazionale intesa a favorire gl'investimenti all'estero — in Indonesia, in Australia, in Brasile — soprattutto per assicurarsi fonti d'approvvigionamento durevoli di materie prime. Si sono poi aggiunti gli effetti dell'aumento della domanda interna, alimentata dai rialzi dei salari, ad un ritmo, dal '71, del 20 per cento l'anno. Il movimento s'è accelerato a partire da ottobre, sotto la doppia influenza del rincaro dei prodotti petroliferi, che rappresentano P85 per cento dell'energia consumata in Giappone, e delle conseguenze di operazioni speculative antecedenti contro il dollaro. La Banca del Giappone ha rialzato a tre riprese il suo tasso d'intervento, fino al 2,80 per cento. Da qualche giorno, tuttavia, la difesa del corso attuale si rivelava così costosa da far prevedere che essa sarebbe stata abbandonata. Se in un certo senso il rincaro dei prodotti petroliferi permette finalmente al Giappone di raffreddare una crescita frenetica, il governo di Tokio dovrà un po' trascurare, nei prossimi mesi, i suoi obiettivi a lungo termine, per consacrare tutti i suoi sforzi al ristabilimento della situazione esterna, che appare compromessa. 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Persone citate: Kakuei Tanaka