Non è più azzurro il mare della Versilia Lo "avvelenano" gli scarichi delle cave di Omero Marraccini

Non è più azzurro il mare della Versilia Lo "avvelenano" gli scarichi delle cave Documento di Italia Nostra sulle coste della Toscana Non è più azzurro il mare della Versilia Lo "avvelenano" gli scarichi delle cave La situazione è grave lungo le spiagge di Massa e Carrara - Rifiuti nel Iago che fu caro a Puccini - L'Arno e il Serchio : grandi cloache Preoccupanti fenomeni di "conurbazione" sul litorale livornese - Si salva la Maremma, ma fino a quando? - II problema dei fanghi rossi (Dal nostro inviato speciale) Viareggio, gennaio. La vicenda dei «fanghi rossi» di Scarlino, che ha fatto discutere tecnici ed esperti di ecologia marina tutta la scorsa estate, è un esempio di come si « affrontino » da noi certi problemi lasciandoli irrisolti: è ripresa (e non poteva essere altrimenti, per il gioco di interessi e le pressioni di forti gruppi e la spinta sindacale legittimamente preoccupate di mantenere il posto di lavoro a cinquecento addetti) l'attività dello stabilimento del biossido di titanio della Montedison e con essa lo scarico del magma residuo di lavorazione. Sono state adottate, è vero, delle limitazioni, ma di fatto i pericoli denunciati in passato non sono scomparsi. Inoltre, con lo scalpore che ha suscitato anche all'estero, il « caso » dei fanghi di Scarlino ha fatto passare in secondo piano tutta una serie di altrettanto gravissime situazioni maturate negli ultimi anni lungo i 587 chilometri della costa toscana, dalla foce del Magra al tombolo di Burano, « congelando » la discussione sulle condizioni del mare della Toscana. Alla fine della stagione balneare, il pretore di Massa, Li¬ no Monteverde, ha messo sotto processo il sindaco de della città apuana, Ennio Fialdini, l'ufficiale sanitario, dottor Alessandro Panconi, ed il medico provinciale, per «omissione di atti di ufficio », cioè per non aver vietato i bagni sulle coste della zona. Si apprende così soltanto oggi, grazie all'iniziativa di un pretore, che tutti coloro, adulti e bambini, che hanno fatto il bagno nella zona di Marina di Massa e limitrofe, potevano incorrere in pericolose malattie. Zone, anche vaste, ad alto tasso di inquinamento si ritrovano un po' lungo la costa toscana in corrispondenza delle foci dei fiumi e dei torrenti, che recano al mare gli scarichi delle città e delle attività dell'entroterra; di fronte alle fasce che presentano più gravi ed estesi fenomeni di conurbazione e di quelle adibite a campeggio, dove generalmente mancano gli impianti igienici. Un libretto, la cui lettura dovrebbe essere particolarmente raccomandata agli amministratori è stato pubblicato da «Italia Nostra» per conto delle sezioni Apuo-Lunense, della Versilia, di Pisa, Livorno e Grosseto. Si tratta di un'analisi seria e ricca di dati sui fenomeni più gravi riscontrabi- li dal punto di vista ecologico lungo il malconcio litorale toscano. Un documento, spiega l'avvocato Marcello Susini di Massa che ne è stato uno degli estensori, «che più che agli effetti, di per sé gravissimi ed evidenti, guarda alle cause del fenomeno di degradazione dell'ambiente costiero». «Il nostro impegno — spiega Susini — è stato di raccogliere quanto i colleghi delle altre province sapevano. Elaborare i dati con l'aiuto di esperti e studiosi, fra gli altri i professori Giancarlo Nuti e Boris Giannaccini di Viareggio». «La situazione è critica — afferma l'avvocato Giorgio Padovani, presidente della sezione di Italia Nostra, a Grosseto — per quanto riguarda la nostra provincia, dove esistono zone che presentano un alto tasso di inquinamento, come nel golfo di Follonica, compromesso dagli scarichi industriali di Piombino, da quelli della Montedison di Scarlino oltre a quelli, previsti, della centrale Enel di Torre del Sale, oppure per la riviera di Castiglione della Pescaia e della foce dell'Ombrone, dove agglomerati urbani per circa 20 mila presenze giornaliere, scaricano direttamente in mare i rifiuti, senza alcun valido trattamento. Ma la situazione è critica soprattutto per quanto riguarda l'ambiente che ci circonda». «Bisogna poi tener presente — soggiunge Padovani — che l'Ombrane è un fiume altamente inquinato nelle cui acque sono state riscontrate notevoli quantità di mercurio provenienti dai residui di lavorazione delle miniere del Monte Amiata». E' indubbio che la degradazione ecologica, lungo il litorale toscano, oltre che ai fenomeni di inurbamento intensivo, è dovuta, per la maggior parte, alle attività industriali dell'entroterra. Basterà pensare che circa 1500 industrie marmifere scaricano i loro residui nei tre fiumi apuani, insieme con le fognature di una città come Carrara. I residui maggiori e più pericolosi vengono dalla cartiera Toschi-Lorenzini-Vannacci che riversa nell'Ania (affluente del Serchio), acque reflue color giallo con solidi sospesi nella misura di gr 2,3 per litro, e dalla cartiera Ledoga, di Fornoli (180-200 metri cubi d'acqua residua con il 15 per mille di materiale solido in sospensione). Dice il dottor Burichetti, già direttore del laboratorio chimico di Lucca: «Il liquido non sedimenta, è gravemente nocivo per l'ittiofauna ed inquinante». Gli scarichi delle cave e segherie del marmo sono altrettanto pericolosi: nella lavorazione si usano degli olii che impastando la polvere di marmo la trattengono a lun¬ go, in sospensione, una volta giunta al mare. Su questa patina — che chiunque può rilevare nel tratto fra Carrara e Forte dei Marmi — si condensano poi i residui, portati dalle correnti, del petrolio e di altre sostanze non biodegradabili finite in mare. Il canale Burlamacca, che è il porto-canale di Viareggio, attraversa il lago di Massaciuccoli. E' in condizioni proibitive. Vi convergono gli scarichi industriali di Massarosa e di Vecchiano e le sue acque dilavano sempre e riportano alla capitale della Versilia, sulle rive del lago di Massaciuccoli, la spazzatura di Viareggio. Fenomeni di conurbazione intensiva creano seri problemi nel tratto Livorno-Castiglioncello, mentre poco a Sud, a Rosignano, la presenza dello stabilimento Solvay ripropone il pericolo del mercurio in mare, in seguito all'utilizzazione di questo elemento nella produzione elettrolitica del cloro: le vasche di reazione vengono svuotate periodicamente ed i residui, attraverso un canale, raggiungono le spiagge circonvicine. L'Arno, per la sua lunghezza e portata alla foce (53 me¬ tri cubi al secondo) riveste nel quadro ecologico generale una importanza preminente. Anche se sono in corso di realizzazione alcuni impianti di incenerimento per i rifiuti solidi (Comune di Pisa) intere città e paesi, nel Valdarno Superiore ed Inferiore, nella Val d'Era, da Firenze a Pisa compresa, non hanno adottato sinora alcuna misura efficace. Gli scarichi hanno provocato enonni danni all'ambiente naturale, inquinando le sponde e rendendo tossiche le acque. Nella zona di S. Croce, la lavorazione delle pelli, con l'uso del cromo, crea addirittura pericoli di riflessi nella catena alimentare. C'è poi l'industria tessile di Prato, che riversa tutti i suoi residui in Arno. Insomma il fiume della Toscana è un grande ammalato che contagia larghissimi tratti di costa. Le soluzioni? «Non se ne vedono a breve scadenza — dicono a Italia Nostra —. Si spera in una maggior presa di coscienza per questi problemi da parte di tutti, singoli cittadini, industriali, amministratori. Contiamo molto sulla politica che vorrà o potrà fare la Regione». Omero Marraccini