Ricoverato per lebbra un ortolano " Non c'è contagio" dicono i medici di Angelo Viziano

Ricoverato per lebbra un ortolano " Non c'è contagio" dicono i medici Timore a Nizza Monferrato, dove il caso è stato scoperto Ricoverato per lebbra un ortolano " Non c'è contagio" dicono i medici L'ammalato, un pensionato di 71 anni, è ora degente nel lebbrosario di Genova - Probabilmente ha contratto l'infezione in Argentina, dove lavorò per molto tempo - "Aveva strane lesioni alla faccia, soprattutto al naso" dicono gli amici (Dal nostro inviato speciale) Nizza Monferrato, 4 gennaio. Preoccupazione e qualche timore a Nizza Monferrato nell'Astigiano, dove alcuni giorni fa è stato accertato un caso di lebbra. Colpito è un uomo di 71 anni, il pensionato Ottavio Abate; prima che venisse scoperta la malattia abitava in corso Asti 111, alla periferia della città, faceva l'ortolano. Ora è ricoverato al reparto isolamento 3 dell'ospedale San Martino di Genova, uno dei quattro lebbrosari italiani. Gli altri sono in Puglia, in Sicilia e in Sardegna (complessivamente circa 200 ricoverati). Ottavio Abate è l'ultimo in ordine di tempo dei 33 ricoverati di Genova; qualche giorno prima di lui era stata ricoverata una donna originaria di Cuneo che da tempo abitava in provincia di Siena. «Abate aveva strane lesioni alla faccia — dice a Nizza chi conosce il pensionato — specialmente al naso, che stava deformandosi. Nessuno però aveva mai pensato alla lebbra». L'uomo, tuttavia, doveva avere in incubazione la malattia da molti anni. Nato a Nizza nel gennaio del 1903, l'Abate, ormai cinquantenne, era emigrato in Argentina per lavoro; nel paese sudamericano.dove faceva l'agricoltore in una zona dell'interno, si era fermato sino al 1960, i> ii era tornato nella sua città di origine. Molto probabilmente ha contratto la malattia in Argentina. «Sono stato a contatto con Ottavio per tutti questi anni, dice il proprietario della casa di corso Asti, Alessandro Onesti —, stava bene, non si è mai lamentato e io non ho alcuna paura di essere rimasto contagiato». Una tranquillità che non viene condivisa da molti altri, oggi che si è saputo del caso di lebbra. Sta di fatto che malgrado lo «sfogo» che deturpava sempre più viso e mani non sembra che il pensionato e i suoi parenti — a Nizza abita una nipote, insegnante, una sorella vive a Torino — si siano mai preoccupati di questa forma di malattia. Poi una ventina di gioni fa Ottavio Abate in seguito a una caduta dovette essere ricoverato in ospedale a Nizza. I medici notarono le lesioni cutanee, vennero decise delle analisi presso il reparto di dermatologia dell'ospedale di Alessandria e il primario professor Giovanni Bonu accertò che doveva trattarsi di una forma di lebbra. Il pensionato venne immediatamente internato al lebbrosario di Genova. Secondo quanto i familiari hanno appreso dai medici genovesi, le condizioni non sarebbero gravi; ci sarebbero state al contrario assicurazioni sulla possibilità di guari- gione. Si tratterebbe di una forma nodulare. Il caso veniva intanto denunciato al medico provinciale di Asti, che ha incaricato l'ufficiale sanitario di Nizza dottor Carnaleri di procedere alla disinfezione della casa dove il pensionato aveva abitato e del reparto dell'ospedale in cui era stato ricoverato prima dell'accertamento della malattia. Il dottor Gamaleri non ha ritenuto necessario avvertire del caso di lebbra l'amministrazione comunale. Il sindaco di Nizza, cavalier Manzino, ha appreso stamane da noi la notizia ed è apparso alquanto risentito. «E' assurdo che l'amministrazione comunale non venga messa al corrente di quanto accade in città» ha esclamato, indispettito. Il dottor Gamaleri però sminuisce l'allarme, e assicura che non vi è alcun pericolo. Comunque anche il professor Bonu sottolinea che il caso non deve destare allarme. «Non rappresenta assolutamente — afferma il dermatologo — un punto di inizio di un focolaio di lebbra». Sono affermazioni rassicuranti. Tuttavia a Nizza Monferrato non tutti sono disposti a prestarvi fede. La parola lebbra desta sempre timori. «Faceva l'ortolano — dicevano oggi — toccava la verdura che poi veniva consumata da molti di noi». Ma il contagio è possibile solo per contatto diretto molto prolungato. L'impressione resta, anche per il fatto che l'incubazione della malattia è molto lenta, sino a 20 anni. Franco Marchiare gnificativo, per cancellare una psicosi che risale al passato, è il fatto che l'Organizzazione mondiale della sanità (cui si deve una proficua lotta a fondo nei Paesi ove il male è endemico) ha depennato il nome di lebbra sostituendolo semplicemente con quello di « morbo di Hansen ». Naturalmente non può essere trascurato il relativo problema igienico-sanitario. In Italia i ricoverati sono circa duecento, mentre altre centinaia perfettamente resi privi di contagiosità sono stati dimessi dai lebbrosari. Si parìa di lebbra, ma i quadri clinici che la malattia può presentare sono svariatissimi. Basta ricordare che classicamente se ne distingue una forma cutanea ed una nervosa. Cutanea nodosa o tuberosa, che comporta la presenza di tanti noduletti cutanei o sottocutanei o mucosi, di varia grandezza. Talora arrivano a volumi consistenti. Sono il risultato di una abnorme proliferazione del tessuto connettivale sotto 10 stimolo irritativo-infiammatorio dei bacilli e delle loro tossine. Nella loro evoluzione possono ulcerarsi. Nella forma nervosa prevale la lesione di nervi periferici della sensibilità e del trofismo (nutrizione) dei vari tessuti organici; si ha una lenta e progressiva anestesia termica, dolorifica, tattile. Bisogna dire che di fronte ai casi di lebbra tanto gravi descritti nei trattati figurano anche forme molto lievi, diremmo benigne o attenuate e sono quelle che di tanto in tanto si scoprono da noi. Non va d'altronde sottaciuto che a lato di fasi « aperte » del male, in cui cioè i bacilli sono attivi e trasmissibili, vi sono forme (tipo tubercoloide) senza più bacilli con acquisita immunità nei suoi riguardi. Che cos'è che ha segnato 11 grande progresso nella terapia della malattia di Hansen? La scoperta dei solfoni. I primi risultati dei loro benefici effetti ebbi la ventura di conoscerli in un mio so pralluogo in uno dei meglio attrezzati lebbrosari dell'India, nei pressi di Madras. Mol ti anni sono passati da allora e i perfezionamenti si sono succeduti. Ora si impiega il cosidetto solfone-madre o il diaminodimetilsolfone. Ma il fatto interessante è che tale terapìa poteva talora dar luogo a brusche reazioni di tipo allergico (per la uccisione — diciamo pur così — tumultuosa dei bacilli) con un acutizzarsi di certe manifestazioni cutanee; attualmente tali reazioni sono bloccate con l'impiego della talidomide, proprio quel farmaco di triste memoria, che somministrato a donne incinte provocò la nascita di tanti bimbi focomelici. Angelo Viziano