Poesie da cantare e gridare di Angela Bianchini

Poesie da cantare e gridare Poesie da cantare e gridare Mario de Andrade: « Io sono Trecento », di Giuliana Segre Giorgi, Ed. Einaudi, pag. 177, lire 1800. Mario de Andrade, nato nel 1893 e morto nel 1945, sempre a San Paolo, è uno degli scrittori più importanti del Novecento brasiliano e, certamente, il protagonista più famoso, insieme all'omonimo Oswald de Andrade, di quel grande movimento artistico che è il Modernismo. li' innovazione linguistica, contribuito personalissimo al desiderio di espressione libera che caratterizza tutto il movimento modernista, si esprime, per il De Andrade, attraverso la saggistica, la prosa, cioè il bellissimo romanzo Macunàima, e altre novelle, e soprattutto la lirica. Se le prime liriche, del 1917, poi in parte sconfessate, partecipano ancora del simbolismo e del parnassianesimo, nella raccolta seguente, Paulicea allucinata, la prefazione, pubblicata nel 1921, si propone come manifesto del movimento modernista. Si proclamava lì il vangelo di versi non da leggersi, ma da cantarsi e gridarsi. Si vantava la civiltà nuova di San Paolo, con la sua modernità impazzita, si faceva omaggio all'immigrante in opposizione alla borghesia imitatrice dell'Europa. Ma la grande epoca di De Andrade comincia più tardi, verso il 1925 e '26, in un verso libero, che già dà un senso inconfondibile del Brasile: « Brasile... I masticato nel caldo sapore delle arachidi... I Parlato in una lingua giovane I Di parole incerte modulate con garbo caramelloso e malinconico... I Che escono lente e fresche, triturate dai miei buoni denti... I E che mi inumidiscono le labbra che diffóndono baci / Per poi semitonare senza malizia le preghiere costumate... ». Poi, dal 1930 in poi, con la raccolta II culmine dei mali, comincia la grande epoca della maturità del De Andrade. Troviamo qui, rese dalla traduttrice con grande perizia, quelle straordinarie Poesie della Negra, di una malinconia davvero diversa dalla nostra, lontana e vicina per l'humus così singolare di cui si nutre: « C'è il motismo esaltato degli astri I Suono rotondo, enorme, che non tace mai. I La notte è bagnata di sangue dai duri vulcani, I Noi cerchiamo l'oblìo nei giochi del vento; / Perde le ultime foglie la jurema / Sul tumulo fresco di un morto. / Nel buio del mato. / Si direbbe che vaghino gli orsi...», la luce strana, antica e nuova, di un « mattino urbano »: « Un silenzio nordista molto limpido! I Le ombre stavano appese al fogliame degli alberi I Proprio come pesanti preguicas; / Il Sole sedeva sulle panche a fare il bagnodi-luce ». E poi, splendide, turgide di immagini' di fiumi e di città, di orizzonti vasti e di luoghi intimi, le Poesie all'amica, che tradusse anche Ungaretti: « I fiumi, o dolce amica, questi fiumi I Pieni di panorami, popolati di alberi e colline, / Per il Capibaribe si va sino a Recife, / Per il Tietè a Sào Paulo, sul Potengi a Natal, I Per il Tago a Lisbona, per la Senna a Parigi... ». E' opinione della critica brasiliana e anche della Segre Giorgi, che nella poesia 10 sono Trecento si trovi l'autoritratto maturo e cosciente, in apparenza contraddittorio e torturato, della personalità di questo grande poeta. Ma, per me, esiste anche altrove, e soprattutto là dove 11 sentimento d'amore ci rende vibrante e comprensibile la realtà di questo suo grande Paese. Angela Bianchini

Persone citate: De Andrade, Einaudi, Segre Giorgi, Ungaretti

Luoghi citati: Brasile, Europa, Lisbona, Natal, Parigi, San Paolo, Sào Paulo