L'umorista Mosca riabilita i classici di Giovanni Mosca

L'umorista Mosca riabilita i classici L'umorista Mosca riabilita i classici Giovanni Mosca: « Le Satire d'Orazio, I Dialoghi di Luciano, L'arte d'amare di Ovidio », Ed. Rizzoli, pagine 217, 214, 265, lire 8500. Erano gli ultimi anni della pace e i primi della guerra. Chi allora sgobbava sui Danchi del liceo o affrontava i primi ozi dell'università, ingannava i pomeriggi sfogliando un settimanale fitto di colonne e di disegni impiantato e continuato poi sempre, malgrado l'industria rizzoliana, con uno spirito tutto suo: svagato, barocco, lirico, beffardo. Quel giornale — il Bertoldo, 60 centesimi al numero — aveva creato uno stile e persino un costume cui ci si adeguava facilmente. E per quanto uno stile sia poi sempre retorica, questa contrastava per il suo umorismo riduttore, per le ironie, per il numero limitato e ben definito dei suoi adepti, quella imperante: era un'opposizione gergale alla mistica del regime. Di Mosca, il suo direttore, il Bertoldo segnalò ad un tratto, nel '39, l'uscita d'una traduzione delle satire di Orazio, 16.000 copie in 12 settimane. Una presa in giro? una bizzarria? una cosa seria? Certo per chi si rompeva l'anima sull'Eiegì monumènt'aére perénnius, sull' Alme Sòl currù nitido dièm qui aggravato dal Sé al Campidòglio non più la vèrgine, fu un godimento viceversa trovare l'aria dei suoi vent'anni nell' anticonformismo di un Orazio « facile, divertente, spiritoso, quale del resto Orazio è. O, meglio, dovrebbe essere »: senza le costruzioni latine, ma voltato nell'italiano corrente, sollecitato nei suoi motivi più vivi; tutto abbordabile senza note e commenti, lasciato solo al suo sorriso, e con le intrusioni che allora piacevano. C'erano « a pesca » per « accetto senz'altro », le variazioni di « al tramonto, quando l'aria è color viola »; c'era persino l'interpolazione dichiarata di: « Dalla finestra (della mia stanza) si vede una stellina... ». Seguirono più tardi le Epistole, pure assai belle, e poi ancora i Dialoghi di Luciano, con minor successo. Ora, nel ripubblicare con nuove vignette illustrative quelle versioni eseguite « con coscienza e serietà » e « col dovuto rispetto», Mosca ci fa anche la sorpresa di una sua nuova fatica (o divertimento): l'Arte d'amare di Ovidio, tradotta in questi ultimi tempi « per puntiglio », anzi « per inutile puntiglio », ci dice, e « in polemica con la pornografia trionfante ». Pare un'ennesima battuta di spirito, l'inizio di un raccontino paradossale. Ovidio, si sa, in fatto di materie di insegnamento non scherza; ma è pur vero che il metodo qui, nel parla" di sesso, ha « la stessa grazia che se parlasse di foglie, di fiori » (questo è il colmo della sua arte, o della sua corruzione). La levità che fa di quest'opera un capolavoro, trova in Mosca umorista — un certo umorista — l'ascoltatore più pronto, mentre il breve periodo strofico delle coppie di esr .metri si giova della sua pratica giornalistica, eliminatrice d'impacci e rapida di taglio. Il continuo ammicco letterario va inevitabilmente perduto; ma per un uso primo e immediato dell'operetta non a neppure ipotizzabile. Così, in ogni caso, la si legge con gusto, ammirando tutta la ricchezza della trova ta ovidiana e assecondando senza fatica l'inevitabile interesse di un ricettario amoroso, l'epica tecnica di una conquista dichiaratamente frivola. Se anche qui la grazia e la malizia faticano a supplire allo spirito del primo volume, quello d'Orazio, la colpa non è del traduttore — là, certo, anche lui più fresco — ma di Ovidio, che non è Orazio. O è colpa nostra, che non le avvertiamo, perché anche noi non siamo più quelli di allora. Carlo Carena

Persone citate: Carlo Carena

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