Tesi di economisti e realtà del Paese

Tesi di economisti e realtà del Paese Le "cronache,, di Nino Andreatta Tesi di economisti e realtà del Paese Gli economisti, quando scrivono di problemi non strettamente accademici, hanno una fiducia, almeno in parte giustificata, di poter influenzare le scelte di politica economica dei governi. John Maynard Keynes nella Teoria generale dell'occupazione, dell'interesse e della moneta osservava che i governi tendono ad essere inconsapevolmente dominati dall'influenza di qualche economista, magari superato nelle sue concezioni o scomparso da tempo. E la Teoria generale è il libro che ha esercitato da trent'anni a questa parte e tuttora esercita il maggior peso nella condotta economica dei Paesi industriali. In Italia, in questi anni, il dibattito fra gli economisti è stato assai vivace, ma si dà il caso, visti i risultati non certo brillanti, che nessuno si faccia volentieri avanti a reclamare la paternità degli indirizzi seguiti. Gli articoli di politica economica del prof. Nino Andreatta apparsi fra il 1969 e il 1973 e ora ripubblicati in volume — Nino Andreatta, Cronache di un'economia bloccata: 19691973, Bologna, Il Mulino — non sfuggono a questa regola. Il prof. Andreatta scrive come un commentatore, anzi un osservatori, estraneo al governo e del tutto privo d'influenza sulle sue decisioni. Questa è una prospettiva che va rettificata. Come consigliere di uomini di governo, come membro del Comitato tecnico scientifico della Programmazione e come professore universitario, le opinioni espresse in questi anni dal prof. Andreatta hanno contribuito a determinare le linee di politica economica dei governi che si sono succeduti nel nostro Paese. Per esempio, non c'è dubbio che la lunga battaglia contro il « tabù » dell'equilibrio del bilancio dello Stato, di cui esistono numerose tracce nel volume, abbia aperto la strada al l'accettazione degli imponenti deficit di bilancio di questi ul timi anni, o quella contro una troppo timida politica in materia di bilancia dei pagamenti e di gestione delle riserve valutarie abbia fornito la giustificazione per un certo disinteresse verso i problemi che si andavano accumulando in questo settore e che ora hanno raggiunto dimensioni preoccupanti. Proprio per questo peso, rileggere ciò che ha scritto Andreatta fra il 1969 e il 1973 non è inutile e consente di ripercorrere le tappe della più grave crisi dell'economia italiana nel secondo dopoguerra. Keynes Queste discussioni vertono da molto tempo su un punto centrale: l'applicabilità o meno all'economia italiana di alcune politiche economiche di derivazione keynesiana. Ciò che sorprende, rileggendo le «Cronache» del prof. Andreatta, è che in nessuno dei suoi articoli si nota lo sforzo di dimostrare tale applicabilità alla situazione italiana. C'è, invece, la sottovalutazione costante dell'opposto punto di vista, presentato come una specie di opinione per metà moralistica e per metà prescientifica. « Nel pieno di una recessione — scrive Andreatta — è un'abitudine inveterata nel nostro Paese cercare le cause profonde del malessere economico e sociale nelle distorsioni di una struttura economica che scopriamo im provvisamente debole e indifesa... Questi discorsi prescindono dai successi che in Italia altrove sono stati ottenuti da politiche che si fondano sulla concezione dell'economia come una grossa macchina cibernetica, di cui è possibile conoscere l'interna ingegneria, soggetta a incepparsi quando i suoi servomeccanismi non sono coordinati consapevolmente ». E' difficile che da una considerazione così pregiudiziale dei punti di vista diversi dal proprio possa trarre alimento un dibattito costruttivo. Tuttavia, al di là di queste asprezze polemiche, che detraggono molto alla complessiva lucidità delle analisi del prof. Andreatta dal libro emerge con chiarezza il disegno interpretativo della situazione economica italiana lo schema teorico costantemen te utilizzato in questi anni dall'autore per discutere o proporre obiettivi e misure di politica economica. Ci si rende conto così che Andreatta si colloca di fronte ai problemi dell'economia italiana, non tanto con l'ottica della teoria keynesiana cui egli esplicitamente si rifa (pag. 159), quanto con quella di una particolare corrente di pensiero derivata da quest'ulti¬ ma, che è quella degli economisti keynesiani americani degli Anni 50 — tipo Hansen o Klein per intenderci — preoccupati soprattutto dal problema della stabilizzazione del ciclo economico e quindi delle misure di politica economica capaci di aumentare o ridurre il volume della domanda aggregata, e convinti della possibilità di controllare il ciclo economico attraverso questi strumenti. Sia gli schemi interpretativi della situazione economica italiana, con l'insistenza sui problemi della domanda aggregata più che su quelli dell'offerta, nonostante le difficoltà concettuali di questa separazione, sia la preferenza e la fiducia nei risultati della politica di bilancio come strumento di politica economica, riflettono questa derivazione dal pensiero keynesiano americano rispetto non solo a concezioni non keynesiane, ma anche alla stessa formulazione originaria di Keynes, da cui certo non si trae questa stessa convinzione meccanica sulle possibilità della politica di bilancio. Basta pensare alla celebre frase di Keynes, secondo cui lo stato dell'economia dipende fondamentalmente, più che da ogni altra cosa, da quelli che Keynes chiamava gli animai spirits del mondo imprenditoriale. La posizione degli economisti keynesiani americani può e deve essere valutata con riferimento, in primo luogo, ai problemi e alle caratteristiche dell'economia americana negli Anni 50, così come l'opera di Keynes va riferita alle condizioni del mondo industriale fra le due guerre mondiali e dopo la crisi del 1929. L'applicabilità di queste, come di ogni altra teoria economica, alle condizioni proprie del nostro o di altri Paesi, va dimostrata volta per volta. Fragilità Da questo punto di vista, esistono molti dubbi che all'economia italiana siano applicabili i modelli e quindi gli strumenti di politica economica di derivazione keynesiana, come quelli che ha in mente il prof. Andreatta. In primo luogo, i problemi dell'economia italiana non sono problemi di stabilizzazione ciclica, ma problemi di crescita in un tessuto fortemente dualistico. In una situazione di questo genere, l'aumento della domanda aggregata genera effetti diversi a seconda del modo in cui si determina e può facilmente innescare, com'è avvenuto, fenomeni inflazionistici assai prima che si raggiunga la piena occupazione. In secondo luogo, in ciò che ha scritto nel corso di questi anni, il prof. Andreatta sembra sottovalutare il fatto che, a differenza dell'economia americana, il nostro sistema economico è strettamente integrato con Paesi industriali avanzati, cosicché il livello dell'oc¬ cupazione e del reddito dipende, oltreché dalla domanda interna, dalle condizioni di competitività dell'industria italiana. Le crescenti difficoltà della bilancia dei pagamenti italiana, ed oggi della bilancia commerciale, costantemente sottovalutate in questi anni, fino al punto che ancora qualche mese fa Andreatta formulava la previsione (pag. 352) di un rapido miglioramento della bilancia commerciale entro pochi mesi — miglioramento che non si è affatto verificato — confermano queste caratteristiche proprie della situazione italiana che non è facile ricondurre allo schema keynesiano di cui si è detto. Allo stesso modo, l'accendersi di fenomeni inflazionistici in piena stagnazione, ma in presenza di forti deficit dei bilanci pubblici, è un'indicazione delle conseguenze cui può condurre una politica di deficit spending in un contesto fragile come quello italiano. L'andamento dell'economia italiana, la sua crisi che si aggrava, la svalutazione della lira nonostante la politica di difesa delle quotazioni attuata per molto tempo dalle autorità monetarie, non costituiscono un bilancio del tutto favorevole per la « macchina cibernetica » del prof. Andreatta. Ma ciò non toglie che sia stimolante vedere ancora una volta riproporre questi argomenti con grande fiducia nella loro esattezza. Giorgio La Malfa

Luoghi citati: Bologna, Italia