La parola al parroco del Tiepolo rubato

La parola al parroco del Tiepolo rubato Come difendere le opere d'arte? La parola al parroco del Tiepolo rubato "Per difendere i quadri in chiesa ho rifatto tutte le porte in legno massiccio, ho messo buone serrature, ma cosa posso fare di più? La Sovrintendenza invia soltanto circolari e minacce. Non è giusto" (Dal nostro inviato speciale) Venezia, 2 gennaio. La nicchia, al di sopra del primo altare di destra, nella chiesa parrocchiale di Mirano, è vuota. Si vedono i mattoni nudi e le sbavature di calce. La grande «pala» del Tiepolo, il Miracolo di Sant'Antonio, non c'è: dopo la sua brutta avventura è stata trattenuta alla Sovrintendenza alle Gallerie e alle Opere d'arte di Venezia per alcuni restauri di cui già in precedenza abbisognava, poi sarà ricollocata al suo posto. Rubata nella notte del 21 dicembre scorso, è stata trovata, arrotolata e indenne, sei giorni dopo, nella mangiatoia di un cascinale abbandonato, sempre qui, in provincia di Venezia. Qualcuno aveva forse segnalato la sua presenza agli inquirenti? E' probabile. Si sa che questi dipinti famosi e di valore inestimabile (500 milioni, 700?) vengono rubati anche a scopo di riscatto: i ladri propongono patti, la restituzione contro il pagamento di una certa cifra. Un po' come un sequestro di persona. Il patrimonio artistico italiano è esposto a ogni sorta di pericoli, dall'incuria degli uomini agli attacchi degli elementi atmosferici e a quelli dei delinquenti (ladri, rapinatori, ricattatori) che sempre più di frequente lo bersagliano. Per la «pala» tiepolesca si dice che non sia stata pagata alcuna tangente. E perché, allora, è stata rubata? Mistero; a Mirano corre una voce: che il pagamento sia avvenuto egualmente, anche se non in denaro; per ottenere la restituzione, qualcuno avrebbe concesso una certa contropartita. Che cosa e a chi non si sa (forse si tratta di un rapporto con la malavita?). Voci; comunque, se c'è qualcosa di vero, significa che il patrimonio artistico diventa sempre più merce in balìa di ogni sorta di offesa e vilipendio. Monsignor Marcello Conte, parroco di San Gabriele Arcangelo, la parrocchia di Mirano, si passa la mano sul volto rotondo in un gesto di preoccupazione. La sua chiesa è molto bella, la mostra con orgogliosa soddisfazione. Ma arte e bellezza, valori e capolavori non stanno disgiunti da pericoli e ansietà. «C'è di che avere i sonni turbati», dica. il sacerdote. Protende il braccio a indicare l'altare maggiore. Certo, è un'opera eccezionale, definita dai critici il capolavoro di Giuseppe Toretto, trevisano, morto nel 1743, maestro del Canova. Il ciborio del tabernacolo è a forma di tempio: marmi e bronzi, colori e forme armoniose, slancio e grazia. Ai lati due statue pregevolissime, quasi a misura d'uomo, San Michele Arcangelo e l'Angelo della Resurrezione. La chiesa fu ultimata nel 1691, ma via via fu poi arricchita con successive opere d'arte, come questo altare maggiore, che è del 1724, e come l'enorme affresco del soffitto, opera di Giovanni Demin, dipinto tra il 1846 e il 1848. La «pala» del Tiepolo, eseguita fra il 1754 e il 1760, non era nata per questa chiesa; vi fu portata successivamente e per inserirla nella nicchia, che era più ampia, fu allargata con tre fette di tela, ai due lati e in fondo. Sono proprio queste aggiunte, che adesso, nella fase di restauro, la Sovrintendenza provvederà a far eliminare. C'è anche un'altra «pala» di gran pregio, quella che raffigura San Girolamo, e che, per lungo tempo attribuita al Tiepolo, è stata recentemente riconosciuta come opera di Paolo M Fiammingo, un pittore d'Ol* talpe formatosi alla scuola del Tintoretto. «Tutte opere di grande valore, che bisogna proteggere dalle mani malvage — dice il prete —. Ma come? Io da tempo, di mia iniziativa, ho latto rifare tutte le porte della chiesa, in noce massiccio, enormi, pesantissime, e le ho assicurate con buone serrature. E' quello che ritenevo di dover fare, in coscienza. Dobbiamo considerare che, qualsiasi cosa si faccia, non si può tener testa all'astuzia e alla capacità delinquenziale dei ladri. Se vogliono rubare rubano, riescono a tagliare con la fiamma ossidrica anche grosse sbarre di ferro e a neutralizzare astrusi impianti d'allarme». Nel dicembre '72 il parroco di Mirano riceve una lettera circolare spedita dal sovrintendente alle Gallerie e alle Opere d'arte di Venezia a tutti i parroci delle province di Venezia, Belluno, Padova, Rovigo, Treviso e Vicenza, e a un lungo elenco di autorità regionali e nazionali. L'oggetto riguarda la «tutela del patrimonio artistico». Nel testo si fa riferimento al trafugamento della «pala» del Giorgione, avvenuta cinque giorni prima nella chiesa di Castelfranco Veneto. Si afferma che spesso i furti sono facilitati dalla mancanza delle più elementari mi¬ szndp sure di sicurezza e sorveglianza e si chiede di «potenziare i normali sistemi di sicurezza, dando precise istruzioni al personale di custodia affinché non siano omesse le più elementari garanzie di chiusura dei possibili accessi all'edificio, di aumentare i controlli sia nelle ore diurne che in quelle notturne, e di installare efficaci sistemi di allarme». «Io — dice il parroco — avevo già rifatto le porte, mi sentivo tranquillo, ero comunque pronto a esaminare con qualcuno della Sovrintendenza, o qualcuna delle autorità che pure avevano ricevuto la lettera, la situazione che riguardava la mia chiesa. Invece qui non si presentò mai nessuno, sebbene in quello scritto si desse tempo un mese per attuare le precauzioni in mancanza delle quali la Sovrintendenza avrebbe prelevato le cose mobili non sufficientemente tutelate e le avrebbe trasportate nei musei, in base a una legge del 1939 ». Monsignor Conte non sa ta cere la propria critica a questo comportamento. «Non si può pretendere di cavarsela con una lettera sola, senza più occuparsi di come stanno le cose. E non è giusto che si diano degli ordini e si minacci di portare via le nostre opere d'arte. Di queste cose siamo proprietari noi, sono state offerte dagli abitanti del luogo, sono testimonianza di fede e devono servire a incrementarla. Dopo quella lettera del dicembre 72 si doveva venire qui a parlare, a discutere su quello che si poteva eventualmente fare per assicurare una maggiore protezione». Le opere d'arte sono di proprietà della parrocchia, ma sottoposte al vincolo della Sovrintendenza alle Gallerie. «D'accordo: sono beni dei quali tutti hanno diritto di godere, ma appunto per questo ci devono venire incontro e aiutare a custodirle». Come parroco, monsignor Conte riceve dallo Stato una congrua di 420 mila lire all'anno, che non gli bastano per vivere. E la conduzione della chiesa è costosa, le offerte dei fedeli stentano a provvedere a tutte le necessità. Ad esempio, il riscaldamento, quando funziona, consuma cinquemila lire all'ora, e la domenica l'impianto viene acceso alle cinque del mattino. Dopo il clamoroso furto della tela del Tiepolo si sono presentati al parroco i rappresentanti di numerose ditte che costruiscono impianti di allarme, hanno fatto preventivi che s: aggirano sul milione e mezzo di lire. Conclude monsignor Conte: «Ci pensino un po' i laici a queste cose inateriali, mentre noi preti ppnsiemo a quelle dello spiriRemo Lugli