L'onorevole anti - mafia di Paolo Lingua

L'onorevole anti - mafia I de genovesi sono alla ricerca di se stessi L'onorevole anti - mafia Dopo Taviani e Lucifredi, Cattanei potrebbe essere l'uomo del nuovo corso in Liguria - Su di lui pesano tuttavia le ombre delle inchieste parlamentari su "Cosa nostra" e i petrolieri (Nostro servìzio particolare) Genova, dicembre. «Cattanei è sempre dietro l'angolo»; la battuta, coniata da don Gianni Baget Bozzo, nel ristretto cenacolo d'un gruppo di amici, divenne la «parola d'ordine» d'un tumultuoso congresso provinciale -iella de genovese, nel 1970. In quella occasione, Francesco «Checco» Cattanei, avvocato, classe 1932, già presidente della Provincia di Genova (carica alla quale era stato eletto a soli 29 anni), deputato alla prima legislatura (con oltre 60 mila preferenze), presidente della commissione Antimafia, perse una clamorosa occasione per assumere, in prima persona, la «leadership» locale democristiana. Gli mancarono i voti della sinistra e d'una parte dei «fedelissimi», risucchiati all'ultimo momento dal potente «clan» tavianeo, che fece lega con la destra «centrista» (in quel tempo Taviani era fieramente critico nei confronti dei socialisti e strizzava l'occhio ai liberali). Cominciò da allora un lieve, ma deciso declino del «golden boy» della politica genovese e ligure, che pareva invece destinato a traguardi prestigiosi: la sua figura, da carismatica, si sbiadì alla luce della sconfitta congressuale, sino ad attraversare momenti, per la verità più «nazionali» che «locali», tutt'altro che rosei. «Cattanei a quarant'anni è già un notabile»; «Cercherà un seggio al Senato»; «Può fare solo il sottosegretario a vita», questi i commenti, e neppure i più feroci, che giravano in quell'ambiente tipicamente «generoso» che è la de. Eppure, proprio a Genova, la stella di Francesco Cattanei è tornata a brillare. Il declino di Taviani, le incertezze delle sinistre, pendolari eterne tra «rifondazioni» e la tradizionale accidia, la rozzezza delle destre, retrocesse all'era dei comitati civici e del «culturame» di scelbiana memoria, hanno riportato alla ribalta il taciturno e introverso «delfino». Nella rissa che è per il momento in corso, Cattanei ha buone «chances» per emergere nel ruolo che gli è, in fondo, il più congeniale, cioè quello del mediatore e del «ragazzo di buon senso» che non commette mai atti irresponsabili. Sino a che punto è esatta questa diagnosi? Sarà davvero Cattanei, nel volgere d'un lustro, l'arbitro della de ligure e l'interlocutore privilegiato dei comunisti, l'uomo della riscossa che riporterà lo scheggiato scudo crociato a riconquistare le amministrazioni perdute tra la Roja e la Magra? Sarà lui, nel prossimo governo, il «ministro fisso» della Liguria? «Checco» Cattanei nasce da una tradizionale famiglia borghese ligure, originaria di Sestrì Levante, con precise radici, professionali, nel capoluogo. Suo zio materno e «padre putativo» è Giorgio Bo, ordinario di diritto civile all'ateneo genovese e poi deputato e per dieci anni ministro delle Partecipazioni statali; suo cugino è Carlo Bo. noto critico letterario. Lo zio ministro, che negli Anni Sessanta ha dato una mano decisiva a Taviani per varare a Genova la prima amministrazione comunale di centro-sinistra d'Italia, con accordo «organico», gli spiana la strada. Taviani apprezza subito questo giovane serio, che assomiglia fisicamente a Richard Nixon. obbediente e perfetto «animale politico». Il ruvido ex comandante partigiano dell'Appennino guida il partito con lo spirito pratico e spregiudicato che gli è consono («Ammiro troppo Cristoforo Colombo, che era un po' corsaro» si giustifica). Cattanei accetta in silenzio la lezione del «re di Bavari», e diventa l'idolo e la speranza della base del partito. Dopo che il cardinale Siri lo consacra «cavaliere del Sacro Sepolcro», Cattanei fa del suo seggio in provincia una sorta di tribuna dalla quale ammonisce e polemizza. Nel 1968 passa alla Camera, preceduto nelle preferenze soltanto dai due «costituenti» Taviani e Lucifredi. Sei mesi più tardi Pertini, che lo conosce e lo ammira, lo chiama alla presidenza dell'Antimafia. Sotto la sua regia sembra che la commissione che ha languito per decenni si scuota. Cattanei passa i giorni in aereo tra Roma, Genova e Palermo. La sua abitazione è costantemente piantonata da agenti in borghese che lo proteggono. Viaggia solo sotto scorta. Ma il documento finale della commissione è vago; anche Cattanei, in parole povere, partito come il «cavaliere senza macchia e senza paura» viene «digerito» non tanto dalla onorata società, quanto dalla logica morbida e «addormentante» di partito. Nel 1972 comunque ì risultati elettorali sono soddisfacenti: le preferenze salgono a 73 mila, a un soffio dal vecchio Lucifredi, mentre Ta¬ viani tocca il tetto delle 100 mila. Cattanei ottiene nella nuova legislatura la presidenza della commissione d'indagine sui reati commessi dai parlamentari. Nell'inverno del 1973 scoppia lo «scandalo dei petrolieri» e la commissione di Cattanei diventa un areopago delicatissimo. I giudizi sul suo operato si fanno discordi: all'interno della de e di altri partiti si dice che Cattanei ha dato prova dì saggezza ed equilibrio, dimostrandosi indifferente a pressioni d'ogni genere. Dall'altra, specie sulle pagine di molti giornali, il deputato ligure viene accusato di essere il ferreo «insabbiatore» dello scandalo e di avere costruito su una «sabbia a presa rapida» la sua nuova carriera. Fatto sta che, nel governo Moro-La Malfa, dal quale Fanfani, compiendo uno spietato «regolamento dei conti», esclude clamorosamente Taviani, Cattanei entra, per la prima volta, come sottosegretario agli Esteri. E' Flaminio Piccoli, suo nuovo «protettore», a imporlo. Delle cose di Genova, seguendo una vecchia tattica tavianea. da quando è al governo si è disinteressato: eppure tra il 1970 e il 1974 è stato segretario provinciale, consigliere provinciale, consigliere comunale (capolista) a Genova e a Sestri Levante. Ora trascorre tutta la settimana a Roma. Ammanta la sua attività di mistero: gli incontri politici sono fugaci e discreti. Evita le vecchie «piste» tavianee, ma non si conoscono (se ci sono) i suoi rapporti con i comunisti. Sembra aver rinunciato ad avere una corrente o sottocorrente «tutta sua» per puntare ad una «leadership» che abbia come comune denominatore l'unità della de ligure. Paolo Lingua