Argentina: i ribelli non cedono Isabelita teme anche i lealisti di Livio Zanotti

Argentina: i ribelli non cedono Isabelita teme anche i lealisti Ormai solo i sindacati difendono il governo Argentina: i ribelli non cedono Isabelita teme anche i lealisti Gli aerei continuano a mitragliare la base di Moron ma cercano di non colpire gli insorti (Dal nostro corrispondente) Buenos Aires, 21 dicembre. E' il «golpe» più lungo della storia sudamericana. Cominciato mercoledì notte, continua ancora. Il brigadiere generale Jesus Rolando Cappellini e i suoi «falangisti» della settima brigata aerea sono in rivolta ormai da 90 ore. Vogliono che Isabelita se ne vada. Non accettano vie di mezzo, convinti come sono che tenendo duro riusciranno prima o poi a tirarsi dietro la «maggioranza incerta». Nel nome di Cristo Redentore non cessano di tessere occulte ma concrete complicità e intanto respingono uno dietro l'altro i compromessi offerti dagli alti comandi delle forze armate. Così un pugno di uomini in divisa tiene sospese ad un filo le sorti dello Stato. Gli attacchi di intimidazione condotti ieri da una squadriglia di «Mirage» governativi contro il quartiere generale degli insorti a Moron, appena fuori della capitale, non hanno sortito effetti. «La mitraglia ci esalta», ha detto il commodoro Angel Rocha in un momento di pausa dell'offensiva. Gli aerei supersonici scendono in tuffo sulla base e aprono il fuoco con le mitragliere pesanti. Le raffiche arano la punta delle piste di atterraggio. Da terra, rispondono con qualche scarica di fucileria. Sembra un combattimento da laboratorio, quasi una esercitazione di «routine». La paura della morte appare remota, come tra gli spettatori di un film di guerra. Qualche radioamatore della zona intercetta i messaggi che si scambiano attaccanti e difensori. Nessuna delle due parti vuole spargere sansuc, almeno non quello dei militari. «Fratelli unitevi a noi, in nome di Cristo», invocano da terra. «Tra cinque minuti parte la nuova ondata, puntiamo soltanto alle installazioni», rispondono dagli aerei in volo. L'ordine di reprimere, dato dal comandante in capo dell'arma, brigadiere Agosti, viene sì compiuto, ma con un certo riguardo per le vite dei ribelli. Le incursioni cessano senza preavviso. Sono le cinque del pomeriggio. Gli aerei attaccanti prendono adesso a volteggiare alti nel limpido cielo estivo. Dagli edifici della zona escono gli abitanti che vi avevano cercato rifugio e si riversano a far provviste nei pochi negozi rimasti aperti. Si capisce che i militari hanno ripreso le trattative. «Abbiate pazienza, in questo momento non è possibile, sono molto occupato, non posso dire niente a nessuno», fa rispondere il brigadiere Cappellini ai giornalisti che gli vogliono parlare. Giunge un'automobile scortata da altre ed è costretta ad arrestarsi qualche attimo davanti all'ingresso principale della base prima che gli avieri di guardia rimuovano gli ostacoli che lo proteggono. «C'è a bordo Ongania», gridano i fotografi che riescono a corrergli incontro. E' proprio lui; il tenente generale a riposo Juan Carlos Ongania, ex presidente della Repubblica «de facto», la mente del colpo di Stato che nel giugno 1966 rovesciò l'allora capo costituzionale dello Stato, il radicale Arturo Illia. «Viene in missione di pace», sussurra uno dei numerosi ufficiali in borghese, ma con la pistola alla cintura, che passa tra la folla dei curiosi. Con il buio calano anche le tensioni. Nella notte, portavoce governativi fanno sapere che l'accordo è fatto. Effettivamente il brigadiere Cappellini è uscito da Moron, trasferendosi all'edificio Condor, di fronte al porto, dove ha sede il comando generale dell'arma. Gli offrono una resa onorevole: «Il mio onore è la vittoria della causa», sembra che risponda sibillino. Un rimpasto governativo sarebbe la nuova base della trattativa; tutto avverrebbe però dopo che i rivoltosi abbiano deposto le armi e riconosciuto i legittimi poteri. La legalità ha le sue esigenze. Cappellini cede alle richieste del suo comandante, o almeno così intende quest'ultimo. Alle ore 23 il comando dell'Aeronautica informa che la controversia è stata felicemente superata e l'indomani gli insorti evacueranno Moron. Invece non accade niente. A quasi 24 ore dal presunto accordo, la situazione resta la stessa. I generali stanno riuniti. Il governo anche. Stavolta minacciano gli insorti di iniziare il bombardamento. Questi tuttavia non si scompongono, né sembrano prendere molto sul serio l'ultimatum. Anzi, fanno sapere che se saranno costretti a farlo non esiteranno a contrattaccare. Sanno che dall'altra parte sono divisi. Delle due tesi che si affrontano, nessuna è in realtà per la difesa ad oltranza del governo. I sediziosi vogliono farla finita con Isabel, il peronismo, i partiti, il Congres¬ z so in una sola volta. Sono na- [ zionalisti di estrema destra, > allievi del filosofo clerico-fa-1 seista Jordan Bruno Genta, |ucciso dalla guerriglia poco più di un anno addietro. Man-1 cano di leaders e programmi politici. La crociata anticomunista è la loro unica bandiera. Rivendicano all'aviazione l'o- nore di avere per la prima volta nelle vicende golpiste argentine, preceduto le altrArmi nell'iniziativa. Gli altri dissentono sui tem pi e sulle misure, soltanto inparte sui principi. Più politiced esperti dei rivoltosi, non ignorano la difficoltà della situazione, la profonda crisi po litica, sociale ed economica che sta vivendo il Paese. Dubitano di poterla condurre in porto in tempo relativamente breve e temono le conseguenze di un prolungarsi di tale situazione. Il peso dell'insuccesso registrato al termine dei sette anni di governo diretto, esercitato tra il 1966 e il 1973, non è stato ancora poi del tutto cancellato. Né il Paese guarda ai militari come alla soluzione ideale. Gli alti ufficiali delle Forze Armate vogliono quindi condizionare il processo politico, spingere in qualche modo la signora Perdn a tirarsi indietro e lasciare posto al presidente del Senato, il giustizialista Italo Luder, grazie al quale il paese potrebbe lentamente — secondo il pensiero dei militari — riprendersi. La facciata istituzionale però deve restare tale e quale. Questa è la condizione sine qua non che gli alti capi delle forze armate vogliono imporre. La fretta mostrata dagli aviatori ribelli complica questi piani e rischia di precipitarli verso soluzioni incontrollabili. Il pericolo numero uno per le I forze armate resta la guerriglia, che nella loro concettualizzazione estendono fino alle fabbriche, dove gli operai protestano per la crescente riduzione del potere d'acquisto dei salari. Si spiega quindi come Isabelita, più che ai propri ministri di governo, si rivolga ai capi sindacali che le sono fedeli. Ancora stasera, quando l'insurrezione militare non ac| cenna a rientrare, la signora Perón è in riunione nella Casa Rosada con il segretario generale della Confederazione | generale del lavoro, Basilio Herrera, e il capo riconosciuto e massimo sostenitore del governo Lorenzo Miguel, rappresentante delle «sessantadue organizzazioni» sindacali peroniste. E' a loro che Isabelita chiede in ultima istanza qual è la soluzione da adottare: sono 1 soli che potrebbero fornirle | l'ipotetico appoggio di massa grazie al quale la vedova di Perón sarebbe in grado di affrontare almeno teoricamente i militari. Livio Zanotti I | | |

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