Una "linguaccia,, al cabaret

Una "linguaccia,, al cabaretL'attrice Paola Borboni esordisce a 76 anni Una "linguaccia,, al cabaret A Milano distrugge, in uno show, vecchi miti e colleghi di teatro invidiosi (Dal nostro inviato speciale) Milano, 30 novembre. E' l'unica primattrice del teatro italiano che confessi subito la sua età. Anzi, spiega subito con civetteria di essere un'autentica figlia del nostro secolo: è nata il primo gennaio del 1900. A 76 anni Paola Borboni ha voluto provare il brivido di un nuovo esordio e si è cimentata a Milano nel «cabaret». Risultato: sala piena, divertimento assicurato e, in tutti, un vago senso di disagio a pensare che quella linguaccia avrebbe potuto cessare un istante dal distruggere i colleghi invidiosi e prendersela magari con uno dei presenti. Un'ora passa veloce. Basta tuttavia per mandare in pezzi il mito delle « divine », lo charme delle « fatalissime », il garbo dei « mattatori ». Un'ora passa veloce ma per un'attrice sola è un tormento vedere a distanza ravvicinata nel locale fumoso le persone che si distraggono, che commentano. Valeva la pena di affrontare un tale rischio e una tale fatica alla sua età? « Certo — prorompe la Borboni — era un'occasione unica ». Lo dicono sempre gli attori. « No, no. Era una occasione unica per dare una pedata a Rascel » e accompagna il proposito con un gran calcio nel vuoto della scarpina orlata di diamanti. Sembra che Rascel, forse annoiato dal «can-can» che si fa attorno a un'attrice che dopo tutto quando recitava con lui in Una ventina di zecchini d'oro non costituiva più un richiamo, si sia domandato ad alta voce che cosa vuole quella vecchia. « Vecchia ». La Borboni assapora la parola. Non ne ha paura né imbarazzo. « Io sono vecchia. Però sono stata, giovane e sono stata bella. Lui, alto, non è mai stato ». Da una battuta è nata dunque l'occasione per uno spettacolo all'insegna della cattiveria pura. La Borboni avrebbe la possibilità di rievocare i trionfi di oltre mezzo secolo di carriera, di sollecitare i consensi con un'adulazione alle rivali di ieri e di oggi. Invece niente, precede senza pietà. Neanche con se stessa la neodiva del « cabaret » è tenera. Eccola raccontare di una lontana tournée in Sudamerica con Armando Falconi e di un ricevimento nel palazzo del Presidente d'una repubblica piuttosto « caliente ». Gli attori si fanno in quattro per creare simpatia nei propri confronti e soprattutto per accumulare altre scritture. Invitano Paola Borboni a recitare una poesia dell'autore in voga, D'Annunzio, ma lei cede il passo a una sconosciuta. Ne dirà la parodia, di Folgore. Si entusiasma e, al verso conclusivo, quando ha già sfoderato il sorriso assassino per il presidente, le sfugge la papera: « Piove, governo ladro ». Non esplode alcuno scandalo, il presidente la fissa con serenità. Dovrà accettare quello che la decenza impone di chiamare un tè a palazzo e ripetere l'appun- tamento ogni venerdì, il giorno libero da spettacoli. Furono confermati per undici settimane. Quando l'attrice, a furia di sottintesi, strappa a uno spettatore la battuta che in undici settimane ci sono undici venerdì, il giuoco è fatto. Tutti applaudono e la Borboni può persino assumere l'aria della madre nobile che si sacrifica per i figlioli, in questo caso gli attori alla ventura nel Sud America. Veniamo ai tempi nostri. Recita con Luchino Visconti, regista severo ed esigente. Ne viene richiamata, non ne viene complimentata. Si crea un attrito di fronte all'intera compagnia mentre il regista continua a parlare. L'attrice non ne può più e lo interrompe con un grido infantile: « Abbasso il tamarindo ». Visconti è toccato. La « nemica » allude al matrimonio del suo nobile padre con l'ereditiera Erba, della casa iarmaceutica che produceva la bìbita allora in voga. Aristocrazìa e azioni dì banca. All'attrice non andavano giù. Nessun pudore per la vecchia abitudine di corteggiare le primedonne con preziosi regali. Un giorno Paola Borboni se li mette tutti — ma proprio tutti — indosso e aspetta i commenti. Una collega le si avvicina e sorride: « Sembri la Madonna di Loreto ». E subito: « Certo, cara. Sono grazie ricevute». E, ugualmente, nessun ritegno per il fatto di avere sposato un trentenne. Di Bruno Vilar la Borboni parla come del suo vedovo. Indica, mentre il marito scandisce ì versi di Garcia Lorca, il suo completo in nero. Dice che si allena al lutto e aspetta. Di colpo un semplice verbo si trasforma in una minaccia. « Aspetta » intima a lui e al tempo che passa. Piero Perona Paola Borboni con un sorriso riesce a dir male di tutti

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