L'Italia degli esclusi di Lorenzo Mondo

L'Italia degli esclusi La "scienza infelice,, del museo Lombroso L'Italia degli esclusi Un repertorio di "casi strani": non solo delinquenti e pazzi, ma anche piccoli profeti, dissidenti, emarginati Che cosa sopravvive oggi di Cesare Lombroso? Intorno allo scienziato che in Italia passò per l'incarnazione stessa del Positivismo, contribuendo più di ogni altro — idolo e fantoccio — al suo trionfo e alla sua caduta, si è riacceso un interesse non occasionale. Prima c'è stata un'ampia biografia critica di Luigi Bulferetti (.Lombroso, Utet, 1975), piena di simpatia umana e tendente, fin dove possibile, al recupero dello studioso: del quale si mettono in luce la devozione per la scienza, la capacità di confrontarsi con le piaghe sociali dell'Italia mal unita, l'impostazione multidisciplinare della ricerca, la sostituzione del concetto di colpa con quello di malattia. Tutta una serie di germi fecondi messi in ombra e come inariditi dalla dura reazione idealistica. Ma un ritratto più problematico, più fortemente chiaroscurato emerge da un libro singolare di Giorgio Colombo che sta per uscire nelle edizioni Boringhieri. S'intitola suggestivamente La scienza infelice e batte sulla semplicistica, rozza antropologia lombrosiana, quale risulta dall'Uomo delinquerne. Lombroso innesta cioè sul processo evoluzionistico darwiniano il meccanismo della degenerazione. All'uomo normale, che si sviluppa secondo determinate leggi, si oppone il deviante per fattori ereditari o esogeni, che sull'albero dell'evoluzione dà luogo a filamenti maligni, a drupe mostruose. Questo arresto dello sviluppo individuale fissa la persona negli stati primitivi della specie. 11 delinquente, che presenta alterazioni fisiche e psichiche simili a quelle del pazzo, è un selvaggio, di questo ripete l'amoralità e l'ottusa violenza. Non occorre essere seguaci dello strutturalismo di LéviStrauss per afferrare l'inconsistenza di una tale costruzione, che fa torto al buon selvaggio ma anche ai suoi eredi che popolano l'umile Italia delle campagne e le periferie delle nascenti città industriali. Nel suo furore definitorio e sistematizzante, Lombroso giunge ad attribuire caratteri degenerativi alla prostituzione e al genio, rivelando per lo meno una stupefacente capacità di appropriazione dei luoghi comuni, della proverbiante immaginazione popolaresca. Tutto ciò che è scarto dalla norma, anche se può esercitare qualche azione benefica, contrasta con il cammino lineare di un progresso che si vuole borghesemente misurato e paziente. Intendiamoci, in Lombroso c'è tutto e il contrario di tutto, Ferruccio Giacanelli, uno psichiatra di Parma che firma l'introduzione del libro, davvero esemplare per limpidezza d'intelligenza e di scrittura, rammenta come Lombroso sostenesse la necessità del manicomio criminale, del carcere modello, della polizia scientifica sovrannazionale, della pena di morte per i criminali incorreggibili, ma inserendo queste proposte in un disegno generale sicuramente riformatore, di moderato socialismo. Resta il suo sconvolgente candore, che gli fa mettere sullo stesso piano l'assassinio e la truffa, il brigantaggio e la speculazione bancaria illecita, lo stupro e la contravvenzione ai regolamenti urbani. Lombroso prende per buoni i giudizi corrpnti, « assume il delinquente come un dolo e finisce così per lavorare "di stadera" su un materiale precostituito... ». Le misurazioni e classificazioni in corpore vili valgono soltanto a confermare quello che la società ha già statuito. Affiorano a questo punto termini inequivocabili come emarginazione, repressione, razzismo. Tanto più quando si passi a esaminare la parte più impressionante e viva de La scienza infelice: la suite di fotografie scattate al Museo di antropologia criminale fondato dallo stesso Lombroso e inaugurato a Torino nel 1898. E' la scoperta di questo museo all'Istituto di medicina legale del Valentino che ha dato a Colombo l'idea di questo libro: la confusione, la manomissione, la polvere, l'abbandono dei materiali ne hanno fatto qualcosa di misterioso che chiedeva di essere decifrato, che esprimeva una oscura volontà di dire. C'è, in una stanza, una catasta di teschi scoperchiati, i cervelli sono conservati altrove, sotto spirito nei barattoli. Fanno pensare alla poesia di un delinquente trascritta da Lombroso, che allude alla sua proverbiale, un po' negromantica attività di raccoglitore e misuratore di crani: « Ombroso, Ombroso, io ti pavento, / Pensando alla tua collezion di teschi, / Che dalle buiose tu sempre accresci... ». Delinquente n. 141, si legge accanto alla maschera mortuaria di un carcerato, fisso nell'ultimo rigore. Tn una vetrina, stampi di orecchie vorrebbero dimostrare, in graduale progressione, l'affinità tra il pazzo e la scimmia. Altrove, stampe e fotografie, presumibilmente false, di uomini « quadrumani », il corpo ricoperto di fitto pelo. Un delinquente soprannominato Materia — quasi una sorta di inconscio, ironico omaggio al professore — esibisce complicati tatuaggi. Fotografie e disegni incollati su un album compongono un bestiario che accomuna profili di briganti a quelli di celebri attentatori, come il Passanante. Siamo in bilico tra la morgue e il baraccone. Lombroso raccoglie le sue abominevoli curiosità con il piacere, condiviso dal folto pubblico, con cui teneva il suo corso libero di antropologia criminale: usufruendo di criminali, nani, digiunatori, «mattoidi» di ogni specie che raccontavano la loro storia a beneficio della scienza, mostravano tatuaggi e anomalie. E' esatta l'intuizione di Giacanelli che certa passione lombrosiana per il tenebroso riflettesse quella del suo tempo per il feuilleton e il romanzo poliziesco. «L'Archivio del Lombroso è un repertorio inesauribile di "casi" strani che stanno tra il Conte Dracula e Rocambole, di invenzioni criminali sorprendenti, di misteri te- ratologici» che il professore affronta con l'ottimismo di Sherlock Holmes, con la sua ineffabile propensione a sbalordire il dottor Watson. Meno scostante, ma anche più angosciosa, la presenza di ceppi e catene, del patibolo che già si elevò sul torinese «Rondò dia Fórca». E poi le confessioni e gli sfoghi, brutali e toccanti, dei reclusi, degli ergastolani, dei condannati a morte. C'è il militare insubordinato che anticipa in un disegno la scena della sua fucilazione, con il cappellano accanto, e un palco di autorità e belle donne che sfumazzano. Ci sono i simboli della mafia e della camorra, riducibili più generalmente ai linguaggi criptici, al parlar furbesco che compare sugli orci in terracotta modellati e decorati dai prigionieri. La collezione è ricca, con spunti vivacissimi. Su una brocca vengono trascritti i sette peccati capitali, cos'i aggiornati: pulci, talponi, moschini, fino alla caplina, termine gergale per forca. Voci di allegria, di disperazione, di rivolta, di furore vendicativo e suicida. C'è chi si rallegra per l'occupazione di Roma e intorno alla data del 20 settembre 1870 disegna cannoni, stemmi sabaudi, bandiere. Un altro graffisce in inestricabile groviglio il mondo della «mala» di Porta Palazzo. Un veliero sormontato dalla parola Merica sembra esalare sogni di libertà oltremarina. Alcuni tra i reperti più conturbanti riguardano la figura di Davide Lazzaretti, il «profeta» disarmato del monte Amiata che viene brutalmente ucciso dalla polizia nell'agosto del 1878. Ci sono i suoi stendardi con il motto «La repubblica è il regno di Dio»; i paramenti con le due C, che rappresentano il Cristo primo e secondo, cioè lo stesso Lazzaretti; i bastoni pastorali che fanno pensare a viottoli agresti, a innocue cospi¬ razioni intorno al camino di pietra. Invano i superstiti fedeli della chiesa giurisdavidica hanno chiesto la restituzione dei cimeli, accusando di diffamazione il ministero della Pubblica Istruzione e l'Università di Torino. Hanno perso la causa: non è accaduto una volta, ncl'Ottocento, ma nel 1962. Lazzaretti continua a essere un «mattoide», come tanti altri ril'ormatori religiosi più noti e importanti di lui, perché così lo ha definito Lombroso. Licenziando questo libro, Giorgio Colombo invita a procedere oltre l'ironico monumento a una teoria fallita. Alla «scienza infelice» è possibile e doveroso contrapporre una «scienza degli infelici», di anime buie che esprimono una loro originalità, è l'Italia degli esclusi: «Esiste qui un campione di storia d'Italia che si esprime attraverso la scienza e attraverso le sue vittime; c'è una libertà di parola che si afferma proprio là dove la si voleva negare». Lombroso quasi non c'entra più, lasciando il suo scheletro al museo si è fuso in qualche modo con i «delinquenti», ha finito per solidarizzare con loro. C'entriamo noi, la scienza di oggi, le istituzioni di oggi. Il museo meriterebbe di essere salvato e conosciuto. Le testimonianze di una scienza ignorante e colpevole non vanno cancellate con il disprezzo ma rimediate con umiltà. C'è sempre tempo per l'errore e l'orrore. Lorenzo Mondo La morte di Davide Lazzaretti: uno dei fogli che illustrano la popolare vicenda Tatuaggi simbolici di un vogliono significare il suo carcerato: le spade sul petto continuo duello con la polizia

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