Hassan: "Tutti a casa" Si tratta per il Sahara di Francesco Rosso

Hassan: "Tutti a casa" Si tratta per il Sahara Bloccata la "marcia,, dei marocchini nel deserto Hassan: "Tutti a casa" Si tratta per il Sahara L'annuncio dato dal sovrano: "Abbiamo raggiunto il nostro scopo, dobbiamo risolvere pacificamente i nostri problemi con la Spagna. Continueremo i negoziati" (Dal nostro inviato speciale) Agadir, 9 novembre. Un discorso di quattro-minuti, forse duecento parole, ed ecco finita la «guerra dei fosfati», «la marcia verde», il pellegrinaggio di pace. Mai re Hassan è stato così laconico; anche se non comprendevamo una parola di quanto diceva, poiché parlava in arabo, si sentiva nella sua voce l'amarezza per la decisione presa di ordinare ai suoi pellegrini di tornare a casa. «La nostra marcia ha raggiunto i suoi scopi — ha detto all'incirca Hassan —. Ora dobbiamo risolvere i nostri problemi pacificamente. Le nostre reiasioni con la Spagna, umica e vicina, devono essere impostate su basi chiare. Domani, io torno a MarraJcech, per continuare i negoziati. 1 volontari devono tornare alle loro case. Ringrazio le delegazioni straniere, i re e i capi di Stato che ci hanno sorretto con la loro solidarietà». Ecco la fine di un'avventura che non aveva sbocchi: o tornare indietro o la guerra. Il Marocco non poteva correre il rischio di gettarsi in una avventura bellica che si sarebbe risolta in una carneficina; le navi da guerra alla fonda nel porto di Las Palmas, nelle Canarie, dimostravano la volontà della Spagna di resistere ad ogni invasione, anche pacifica. E ieri, quando il ministro Martinez Carro ha detto al Marocco di fermarsi ed ha gridato: «Ma che volete fare, guerra?», i marocchini hanno capito che non potevano tirare di più la corda. Hanno cercato un compromesso, e pare lo abbiano trovato. La Spagna ritira le sue truppe dal Sahara, il Marocco rispedisce a casa ì suoi maratoneti del deserto, il conteso Sahara viene posto sotto la sovranità delle Nazioni Unite. Si evita in questo modo che l'Algeria faccia un solo boccone del piccolo Stato che nascerebbe dal referendum, e il Marocco può continuare a sperare nelle miniere di fosfati più ricche del mondo. E cosi termina la grande avventura, avvenuta all'insegna di progetti ambiziosi, costata chissà quanto, presto naufragata di fronte a difficoltà obiettive che il Marocco non era in gralo di superare da solo: gli Stati Uniti, su cui Hassan II evidentemente contava, non hanno voluto impegnarsi in una contesa che poteva portarli chissà dove. Tutto sembrava facile, il primo giorno della marcia, c'era solo da carriminare per giungere ad El Aiun, la capi- tale del Sahara, in poche ore. Ed il primo continente di pellegrini della pace avanzava ad un passo che pochi olimpionici avrebbero sostenuto in quelle condizioni ambientali. Nella luce delirante, nel calore torrido del sole che faceva salire il termometro anche a quaranta gradi, ed il vento che scatenava furenti tempeste di sabbia e polvere. Il piano studiato dallo stato maggiore della marcia verde era perfetto, le avanguardie dovevano essere composte di nomadi abituati al clima ed alle condizioni ambientali del Sahara; avrebbero aperto la strada agli altri contingenti arrivati dalle province settentrionali del paese, che non avevano nessuna conoscenza del deserto, ed avrebbero perciò raggiunto le avanguardie ad El Aiun a bordo di autocarri. Ma le cose si sono poi messe diversamente, le avanguardie hanno trovato gli sbarramenti di filo spinato eretti dagli spagnoli, oltre ai cavalli di frisia, i campi minati ed i carri armati mimetizzati in giallo e defilati dietro basse collinette che dominano Daora, piccolo centro carovaniero. Proseguire sarebbe stato follia, chi fosse uscito vivo dai campi minati (la vicenda delle scimmie da mandare avanti come animati detectors per farle saltare in aria al posto degli uomini, si rivelò una gustosa storiella), sarebbe finito sotto il tiro incrociato dei mitra prima, dei cannoni e dei carri armati poi. E le avanguardie si sono arrestate in attesa che fossero riannodati i fili per un discorso diretto fra Madrid ed Agadir, dove attualmente risiedono la corte, il governo e il quartier generale della marcia verde. Da quel momento radio, televisione, giornali sono diventati muti, per quasi 48 ore non si è più saputo nulla di preciso, ed anche le notizie delle cannonate spagnole, forse a salve, e del lancio nella notte, sui fuochi dei bivacchi, dei bengala sparati da Daora per controllare le mosse delle avanguardie marocchine sono poi filtrate in forma clandestina. «La marcia continua», ci dicevano, però giocando ambiguamente sul termine «continua». Infatti i nostri amici marocchini non mentivano, ma distorcevano soltanto la verità, la marcia continuava nel senso che le retrovie avanzavano nella scia di quelli che le avevano precedute e andavano ad appostarsi anch'esse di fronte alle linee fortificate spagnole. In compenso i nostri amici erano molto larghi di notizie sugli arrivi di rappresentanze straniere ad Agadir per prender parte alla marcia verde. Arabi, senegalesi, centrafricani, sudanesi, congolesi scendevano dagli aerei, facevano solenni dichiarazioni, raggiungevano gli alberghi di Agadir in attesa di «partire per il fronte» Bloccati ad Agadir o a Tarlava, i giornalisti aspettano l'evolvere della situazione; re Hassan aveva detto che nessuno avrebbe arrestato la «marcia verde», i pellegrini della pace sarebbero andati avanti anche sotto il fuoco dei legionari spagnoli. Però, ci dicevano, è doveroso tentare ogni mezzo pacifico per sciogliere il nodo del Sahara, e non volendo attaccarsi direttamente con gli spagnoli, con i quali non hanno interesse a litigare, i marocchini se la prendono con l'Algeria ed il titolo più benevolo riservato a Bi nedien è «imperialista». Per dimostrare che sono davvero democratici, i marocchini ci facevano notare che da loro, diversamente che negli altri paesi arabi, gli ebrei sono liberi e in pace, così felici e fedeli alla monarchia che ieri, sabato, hanno indetto un ciclo di preghiere nelle sina¬ goghe di Casablanza e di Fes per il successo della marcia. Tutto vero, ma di notizie dalla prima linea non ne giungevano. Poi, a rompere l'ansia, venerdì sera è arrivato il signor Martinez Carro, sottosegretario alla presidenza del Consiglio spagnolo. Ha parlate per un'ora e mezzo con re Hassan II in mattinata, ha conversato ancora nel pomeriggio col Primo ministro Osman e con il ministro degli Esteri, Laraki, e ieri sera è ripartito da Agadir diretto a Madrid, senza che dei colloqui filtrasse la minima indiscrezione. Stasera ha parlato il re del Marocco, e tutto è stato chiaro: un accordo che va bene per la Spagna, un po' meno per i marocchini, soprattutto per quei 350 mila poveracci che sono accorsi entusiasti per partecipare ad un'impresa che si è risolta con settimane di disagio nel deserto, al sole torrido, alla polvere soffocante, al gelo della notte. Francesco Rosso Re Hassan alla tv

Persone citate: Martinez Carro, Palmas, Re Hassan