RICERCANDO SULLA COLLINA LA "VIGNA,, MILLO di Marziano Bernardi

RICERCANDO SULLA COLLINA LA "VIGNA,, MILLO RICERCANDO SULLA COLLINA LA "VIGNA,, MILLO La villa dove amò Cavour Che nell'Oltrepò di Torino, là dove nei pressi della Villa della Regina comincia dolcemente la salita della collina, ancora si potesse identificare il luogo e rintracciare la memoria del rifugio d'amore di Cavour negli ultimi cinque anni, e i più tempestosi, della sua vita, si era in parecchi torinesi a saperlo. Il precisissimo Arrigo Cajumi parlando il 28 settembre 1955 in un articolo su La Stampa della relazione di Cavour con Bianca Ronzani, passata alla storia, forse ingiustamente, come « belle et mauvaise femme », si era tuttavia limitato a un accenno generico: « E' noto che di ritorno da un convegno con lei nella villa che le aveva regalato sulla collina torinese, il grande ministro si ammalò e venne repentinamente a morire il 6 giugno 1861 ». Un decennio più tardi Maria Avetta, pubblicando le Lettere d'amore dello statista e delle donne da lui amate (Torino, lite, 1966), aveva creduto che la fotografia da lei riprodotta in fondo al volume fosse quella della villa precollinare dove Cavour, stremato dal lavoro e dalle preoccupazioni, la sera raggiungeva la moglie dell'impresario teatrale triestino Domenico Ronzani, di fatto separata dal marito. Quell'immagine sarebbe un documento suggestivo per tutti i patiti del grande Conte se rispondesse alla verità. Invece la diligente studiosa che creò il Museo cavouriano di Santena promosso dalla «Fondazione Camillo Cavour» incorse in un equivoco, chiarito ora da Elisa Gribaudi Rossi nelle Ville e vigne della collina torinese (Torino « Le Bouquiniste », 1975, lire 18.000), due fitti volumi illustrati che completano l'al¬ tra sua preziosa esplorazione delle Cascine e ville della pianura torinese, un volume uscito nel 1970 presso il medesimo editore. L'opera è stata condotta sulla traccia della famosa Guida alle Cascine, e Vigne del territorio di Torino e contorni pubblicata nel 1790 dall'architetto Giovanni Amedeo Grossi. Ma alle 421 « vigne » elencate dal Grossi nel territorio collinare tra San Mauro e Moncalieri la Gribaudi Rossi ne ha aggiunte moltissime altre considerando che per collina di Torino s'intende il quadrilatero che va da Chivasso a Moncalieri a Chieri a Baldissero, ed estendendo la ricerca non soltanto a quanto sopravvive se pur modificato e depauperato, ma anche a ciò che ha mutato totalmente aspetto o addirittura è scomparso. Appunto tra le «vigne» precollinari non più riconoscibili va collocato il buen retiro di Camillo Cavour; e bisogna essere pratici delle vie che formano il reticolo di Borgo Po per rintracciarlo al numero 21 della strada Sei Ville, un tortuoso budello che si stacca dalla curva via Tonco tra una fungaia di palazzine cresciute nel disordine edilizio, e si protende ripido, ridotto a poco più d'un sentiero, fino al suo sbocco in corso Alberto Picco. Centovent'anni fa, press'a poco quando Cavour prese in affìtto per la sua Bianca (l'acquisto e il dono seguirono più tardi, nel 1860) il rustico incivilito della « vigna » Millo che il Grossi aveva detto dotata di un «magnifico casino», qui era verdeggiante declivio collinare, l'abitato non oltrepassando di molto l'attuale piazza della Gran Madre di Dio. Presumibilmente il Conte (preferiamo, per la circostan¬ za, rievocarlo in veste privata) faceva fermare la carrozza — la « cittadina » di piazza — nella strada della Villa della Regina, circa all'altezza della « Fabbrica di stoviglie » (così è indicata in una pianta di Torino del 1868 quella che era stata la celebre antica manifattura di maioliche e porcellane dei Rossetti), e proseguiva a piedi fino alla « vigna » Millo abitata dalla Ronzani. Finalmente, a sera tarda, la quiete, il riposo, il calore di un affetto forse più sincero di quanto si sia ere- i duto, l'appagamento dei sensi di un temperamento focoso, a compenso dell'assillo politico e delle amarezze familiari. Si sa come nacque nel 1856 l'ultimo amore di Cavour: « E' più forte di me, non posso vedere una bella donna a piangere! » aveva detto nel suo italiano un po' pìemontesizzato al fido Castelli. La bella donna era Bianca Ronzani, implorante dal presidente del Consiglio, anche ministro delle Finanze, un po' di clemenza per il marito, un pasticcione che per scorrettezze nella gestione del Teatro Regio s'era caricato di debiti e, minacciato d'arresto, stava per fuggire nell'America del Sud. Tra un uomo di 46 anni certamente non inesperto in materia amorcsa (aveva cominciato ventenne con la bellissima Anna Giustiniani Schiaffino) ed una donna che doveva essere abbastanza cedevole, il legame non sorprende. Senza dubbio da parte di Cavour fu un grande amore, tsnuto da lui riservatissimo benché conosciuto da tutta Torino e aspramente contrastato dalla sua famiglia; e ne fan fede le 56 lettere pubblicate dalla Avetta (le lettere più « scabrose » furono bruciate dal Nigra), d'una schiettezza di sentimenti, di un abbandono passionale che tanto più colpiscono se si pensa in quali momenti drammatici parecchie di esse furono scritte. Quella della fine marzo '59, da Parigi, è dei giorni terribili in cui lo statista lotta per evitare il naufragio di tutta la sua opera diplomatica nelle esitazioni di Napoleone III disposto ad accettare la mediazione offerta dall'Inghilterra per evitare la guerra all'Austria. E tuttavia si comporta, rubando il tempo, da uomo innamorato: «Ho trovato un mantelet che ti piacerà come pure une robe discreta ». Venti giorni dopo, il 18 aprile, tutto sembra perduto, l'imperatore francese impone il disarmo. Una eco di quel dramma dovette giungere alla « vigna », se tosto il ministro, rinfrancato il giorno dopo da migliori notizie da Parigi, inviava a Bianca un biglietto: « Carissima, ti ringrazio della nuova prova di simpatia e d'affetto... non sono sfiduciato: mi verranno meno le forze, non il coraggio, massime se tu mi conservi l'amore e l'affetto di cui mi fosti larga. Questa sera sarò da te ». Si volle intorbidare la memoria di questa donna morta ancor giovane nella miseria. Le bombe colpirono ciò che era rimasto del rustico incivilito di « vigna » Millo. Al numero 21 della strada Sci Ville oggi è la casa Richelmy, una palazzina a tre piani ricostruita dopo il 1945. Sparito è il parco annoso che ancor prima dell'ultima guerra circondava la. « vigna » che fu rifugio di un grande uomo confortato da una donna modesta. La città divoratrice dà il bando anche ai suoi fantasmi. Marziano Bernardi