Collezionista di quadri razziati di Giuseppe Mayda

Collezionista di quadri razziati Collezionista di quadri razziati Quando Goering amava la pittura La sorte delle duemile opere d'arte trafugate in Italia Saranno esposte a Firenze nella prossima primavera (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 26 dicembre. La mostra delle opere d'arte italiane trafugate dai nazisti — in programma, per la prossima primavera, in Palazzo Vecchio a Firenze — rappresenterà un avvenimento importante anche per gli storici: gli organizzatori dell'eccezionale rassegna, Comune e Comitato della Resistenza, pubblicheranno infatti, nell'occasione, i documenti italiani e tedeschi che attestano in quali circostanze e con quali metodi vennero compiute queste razzie. Nei Paesi occupati dai nazisti durante la seconda guerra mondiale la spoliazione di musei, biblioteche e collezioni private — che aveva lo scopo ideologico ultimo di rendere il popolo tedesco depositario ed usufruttuario di tutto il più alto patrimonio artistico europeo, quale «estremo risultato della storia della razza ariana» — fu condotta con scientifico rigore. L'ufficio speciale («Einsatzstab») di Rosenberg, il ministro nazista che sarebbe poi stato impiccato a Norimberga, sequestrò in Francia tante opere d'arte da riempire 200 vagoni: migliaia di dipinti celebri (Rubens, Velazquez, Rembrandt, Murillo, Goya, Watteau, Fragonard) presero la via di Berlino e di Monaco. Altrettanto avvenne nel Governatorato Generale di Polonia. In sei mesi di dominio il ministro Frank — anch'egli destinato a morire sulle forche di Norimberga — confiscò l'intero patrimonio artistico statale, privato ed ecclesiastico: il famoso altare di Veit Stoss fu portato via dalla chiesa di Maria di Cracovia, il mobilio del castello reale di Varsavia venne requisito e inviato a Dresda e una missione speciale di esperti tedeschi trasportò nella villa di Goering disegni di Dlirer, quadri di Raffaello, Rembrandt e Watteau provenienti dai musei polacchi. Per Hitler fu preparato un catalogo di «opere d'arte messe al sicuro nel Governatorato Generale» che comprendeva 521 collezioni, per lo più di scuola olandese e fiamminga. L'Italia era il Paese che, dal punto di vista dell'arte, più faceva gola a quell'accanito collezionista che era Goering, ma la politica nazista nei nostri confronti, a causa dei rapporti di amicizia e di alleanza fra le due Nazioni, dovette svolgersi su piani e in tempi diversi. Dal 1938 al 1943 i nazisti acquistarono in Italia, o si fecero regalare da Mussolini, diversi capolavori; contemporaneamente, attraverso un loro emissario, il professore di storia dell'arte Franz Wolff Mettermeli che già aveva fatto parte dell'«Einsatzstab Rosenberg», identificarono i luoghi ove, per sottrarli alle distruzioni della guerra, erano stati sfollati musei e gallerie e nel 1943-1945, periodo dell'occu¬ pazione, si impadronirono di circa duemila opere d'arte. Col sistema degli acquisti (illeciti perché si trattava di opere protette dalle leggi dello Stato italiano) Hitler nel 1938 comprò il «Discobolo» di Mirone e nel 1941 il «Ritratto equestre di Giovanni Carlo Doria», di Rubens, custodito a Palazzo Vecchio; nello stesso anno si fece donare, tramite i buoni uffici del principe Filippo d'Assia, la «Santa Caterina» e la «Santa Cecilia» di Bernardo Strozzi. Nel 1941 Goering acquistò, dalla galleria fiorentina del conte Alessandro Contini Bonacossi, il «Ritratto di donna» di Francesco Ubertini, il «Satiro e ninfa» del Veronese, il «Ritratto di Elisabetta di Valois», di Alonso Sanchez Coello, la «Giuditta con la testa di Oloferne», di Rubens, e due tele del Canaletto, «Paesaggio con laguna» e «Paesaggio fantastico con rovine classiche». Queste opere vennero trasferite in Germania, in più riprese, col treno speciale di Goering che, ovviamente, non sottostava a controlli di frontiera. Manvell e Fraenkel, biografi di Goering, riferiscono che il maresciallo del Reich, durante tutto il periodo della guerra, continuò ad acquistare o acquisire quadri italiani spendendo decine di milioni (di allora): il «Ritratto d'uomo», di Hans Memling, proveniente dalla galleria fiorentina Corsini, lo pagò sei milioni e 900.000 lire, dieci milioni li versò per la «Leda», un quadro attribuito a Leonardo (la tela venne poi ceduta ad Hitler) e altri sei milioni al Contini Bonacossi per una preziosa raccolta di dipinti del Rinascimento alla quale appartenevano due tavole di «Santi» e «Sante» di Giovanni Martino Spanzotti. All'indomani dell'armistizio del 1943 i nazisti passarono apertamente alla razzia, cominciando dal monastero di Montecassino, divenuto un deposito di tesori artistici perché vi avevano trovato rifugio i quadri di Tiziano, van Dyck e Raffaello conservati al museo di Napoli, e i bronzi di Ercolano e Pompei. A Firenze i tedeschi fecero irruzione nei rifugi di Montagnana, Montefugoni, Soci, Oliveto, Barberino del Mugello, Poggio a Caiano, Poppi e Dicomano ov'erano stati trasferiti quadri statue e arazzi degli Uffizi: dal solo rifugio di Montagnana — scrive lo storico fiorentino Carlo Francovich — asportarono 527 dipinti fra i quali capolavori di Michelangelo, Masaccio, Raffaello, Botticelli, Pollaiolo, 120 sculture e oltre trenta terracotte robbiane. Molte di queste opere, come il «Pastore» del Carpaccio, la celebre terracotta greca del II secolo avanti Cristo nota come «Nike alata», il «Paggio» del Tintoretto, il «Discobolo» e diversi Tiziano sono stati ritrovati in Germania e altrove, talvolta anche in circostanze avventurose (la «Madonna col Bambino», di Lorenzo Di Credi, sottratta dai tedeschi nel settembre 1944 nel deposito di Barberino del Mugello, fu rintracciata il 5 ottobre 1950 a Tangori...); per altre ancora si attende di definire complesse pratiche. Tuttavia oggi si sa che, benché rilevantissimo, il bottino italiano fu soltanto una parte, quantitativamente minima, della razzia nazista in tutta Europa. Fra i documenti presentati al processo di Norimberga, infatti, vi è un lunghissimo rapporto ad Hitler del professor Robert Scholz, ex portavoce dell'«Einsatzstab Rosenberg» e divenuto in seguito capo del «Corpo speciale arti figurative» che riferisce come «tra il marzo e il luglio 1944» giunsero nel Grande Reich «ventinove trasporti ferroviari, per un complesso di 137 vagoni con 4174 casse di opere d'arte» e che «queste cifre aumenteranno certamente, dato che le operazioni di sequestro in Occidente non sono ancora terminate». Giuseppe Mayda