Chi dovrà pagare il costo del rilancio di Francesco Forte

Chi dovrà pagare il costo del rilancio Il governo non è Babbo Natale Chi dovrà pagare il costo del rilancio Due giorni prima di Natale, il governo ha approvato migliaia di miliardi di spese: cinquemila per la Cassa del Mezzogiorno e altri cinquemila per « progetti speciali » per il Sud; quattromila per i fondi di dotazione delle imprese a Partecipazione statale; 1200 per il fondo per la riconversione, ristrutturazione e sviluppo industriale; 800 per la ricerca scientifica; 600 per le quote pubbliche riguardanti i finanziamenti agevolati per la piccola c media industria. Nello stesso giorno il Comitato interministeriale per la programmazione economica approvava un piano decennale per la costruzione di venti centrali nucleari per 8000 miliardi di lire Che cosa vuol diie tutta questa pioggia di miliardi? Il governo non è Babbo Natale. Urge, quindi, a questo punto, che, accanto alle direttive per la politica industriale e per la politica meridionale (al presente pericolosamente carenti), si elabori un piano della finanza pubblica, in cui tutti questi oneri siano chiaramente sistemati, con il loro decorso nel tempo (cosa, quest'ultima, oggi nient'affatto precisata). Un piano a medio termine non è un piano della finanza pubblica, ma ne ha bisogno, se vuol essere una cosa seria. Per chiarire la diversità fra i due piani è utile il riferimento al piano strategico di una guerra. Il paragone non appaia strano; lo stesso Marx, che poneva il piano economico globale al centro della società collettivistica cui andava pensando, per il futuro, scriveva di avere tratto molto vantaggio dalla lettura del manuale di strategia militare del generale tedesco Von Clausewitz. Dunque, in una guerra, sono indispensabili le artiglierie, e, al giorno d'oggi, la forza aerea: esse servono a rendere possibile l'avanzata, e, in certi casi, la resistenza delle fanterie e delle truppe corazzate. Chi ha una forza rilevante nell'artiglieria e nell'aria può realizzare i suoi attacchi e le sue difese. Ma questi mezzi da soli non bastano per vincere la guerra. Per far questo, ci vogliono le truppe. Il piano della finanza pubblica, rispetto al piano complessivo, nonché rispetto ai singoli piani, come quello energetico e quello industriale, che comportano ingenti spese, è come l'artiglieria e l'aviazione, per una guerra: crea le condizioni perché questa possa svolgersi, perché le truppe possano passare, e, soprattutto, attestarsi sulle posizioni raggiunte, anziché dover fare macchina indietro, disastrosamente, dopo effimere avanzate. Esso crea le condizioni, ma non basta. E' come chi disponesse di ottimi cannoni e di superiorità aerea, ma poi non avesse alcuna idea e alcuno strumento di terra, per valorizzare tali vantaggi. L'Italia, negli Anni Sessanta, aveva spesso avuto buone entrate pubbliche e un buon bilancio, che poteva consentirle grandiosi programmi, ma li ha sprecati creando i cosiddetti residui passivi, cioè somme di denaro stanziate e non spese, e spendendo, spesso, a casaccio, particolarmente per il Mezzogiorno d'Italia (a casaccio è ancora un termine buono, se non si vuol parlare di mafia e clientele). Ma adesso dobbiamo osservare i dati della nostra finanza pubblica per il 1976. Si prevede, per il 1976 — ancor prima di avere considerato le spese di cui sopra si è detto, decise sotto Natale, e quindi nuove — un disavanzo complessivo di dodicimila miliardi di lire, contro il disavanzo, già notevole, di 9350 di quest'anno. Si tratta — possiamo consolarci — della cifra globale, che somma e consolida assieme i disavanzi sia dello Stato che delle sue aziende in senso stretto (cioè Poste e Ferrovie), che degli enti locali (e loro aziende), nonché degli enti previdenziali. Temo che qualche ingente cifra rimanga tuttavia fuori, per giochi contabili. Comunque, diamo per buono questo totale di dodicimila miliardi, e vediamo come si compone. Per 5300 miliardi si tratta di un disavanzo di parte corrente, cioè relativo a spese di consumo e trasferimenti, magari utilissimi (ci son dentro tutte le pensioni sociali, assieme, naturalmente, alle pensioni per i superburocrati, nonché le spese per la pubblica istruzione, l'ordine pubblico, eccetera), ma che non si concretano in capitali materiali. Il disavanzo relativo agli investimenti è di 7dmfidcds 7000 miliardi. Esso corrisponde pure al totale degli investimenti pubblici, che sono tutti finanziati con debito, cioè in disavanzo. Le imposte dirette daranno circa diecimila miliardi; le indirette quattordicimila. Per queste seconde si sconta una dinamica molto stentata, che si è avuta nel 1975 e che fa presumere larghe evasioni. Per le altre si spera di mettere finalmente a ruolo molte delle imposte che non si sono raccolte nel 1974 e nel '75 per lo slittare di dichiarazioni dei redditi e difficoltà degli uffici. I contributi sociali daranno ventimila miliardi e i proventi patrimoniali vari 2600. In totale, le entrate saranno 47 mila miliardi. Ma le spese arrivano alla vertiginosa cifra di circa 59 mi- la: perché abbiamo 25 mila miliardi di prestazioni sociali, 18 mila di consumi collettivi, 4500 di interessi su debiti contratti, 3 mila di disavanzi d'imprese statali e municipali e sovvenzioni ad altre produzioni, e, finalmente, i già menzionati 7 mila miliardi di investimenti. Le artiglierie e l'aeronautica, in questa strategia, come si vede, sono deboli e piene di problemi. Adesso sarà bene cercare di fare i conti di quanto va ad incidere, degli stanziamenti natalizi, sul bilancio 1976. E cercare soprattutto di rafforzare le artiglierie fiscali. Ricordiamoci poi anche che, mentre il piano dell'economia collettivistica controlla, o cerca di controllare, tutti i dati del processo economico, invece da noi, che siamo in economia di mercato (sia pure modificata da interventi e da una finanza pubblica gigantesca), ci sono molte variabili fuori dal quadro del pubblico controllo. L'investimento industriale si dovrebbe poter finanziare, in parte, con profitti: almeno per tutta la parte che riguarda l'investimento di sostituzione e per una quota di quello di innovazione e crescita. E poi, le imprese, per l'investimento, chiedono credito: che dovrebbe essere alimentato con risparmio fresco. Ma sul risparmio nazionale l'operatore pubblico dovrà già prendere dodicimila miliardi, per i suoi disavanzi, come abbiamo visto. Quanto ne rimarrà per il resto, cioè per la produzione e per l'edilizia di abitazione privata? Cerchiamo di non passare da Babbo Natale alla Quaresina, per difetto di strategia, e, soprattutto, di carattere. Francesco Forte

Persone citate: Marx, Von Clausewitz

Luoghi citati: Italia