I fascisti in Toscana non hanno aiutato la fuga del luogotenente di Mario Tuti di Omero Marraccini

I fascisti in Toscana non hanno aiutato la fuga del luogotenente di Mario Tuti Per questo uno degli evasi da Arezzo s'è costituito I fascisti in Toscana non hanno aiutato la fuga del luogotenente di Mario Tuti "Ho cercato inutilmente aiuto presso i vecchi amici", ha detto Luciano Franci - L'ostilità degli ex camerati dovuta forse al fatto che l'uomo favorì la cattura di Tuti la scorsa estate (Dal nostro inviato speciale) Arezzo. 17 dicembre. I fascisti toscani hanno sbattuto la porta in faccia a Lucitno Franci, 29 anni, il « bombardiere nero » in attesa di giudizio, già luogotenente di Mario Tuti, evaso lunedì, verso le 21, dal carcere San Benedetto di Arezzo con due complici: Felice D'Alessandro, 21 anni, ex segretario della sezione giovanile del pei di Camucia (un centro a trenta chilometri da Arezzo), condannato l'altro venerdì a quattordici anni per omicidio (avrebbe ucciso l'amico che gli insidiava la fidanzata ma si è sempre protestato innocente) e Aurelio Fianchini, 37 anni, di Tolentino, nove anni per furti e rapine, che si proclama di « Potere operaio ». D'Alessandro e Fianchini sono tuttora introvabili, Luciano Franci, invece, ieri sera è tornato a bussare alla porta del carcere. Erano le 23. Al sostituto procuratore della Repubblica Mario Marsili, che lo ha interrogato, l'estremista ha detto: « Ho cercato inutilmente aiuto presso vecchi amici. Nessuno me l'ha voluto dare. Volevo una macchina, qualche soldo. Niente. Tutte le porte per me erano sbarrate ». Per questo si è costituito. I « vecchi camerati » hanno fatto il vuoto intorno a lunlanrsunanuA'7rtcemvettMtnsnvnnntdnrFvtnn lui. Si dice, anzi, che qualcuno lo abbia minacciato. Nella giornata di ieri ai carabinieri erano pervenute numerose segnalazioni anonime sulla sua presenza, ora da una parte ora dall'altra. L'ostilità dei fascisti toscani verso Luciano Franci (due attentati con dinamite alla linea ferroviaria Firenze-Roma, uno vicino alla stazione di Arezzo alla vigilia del Natale '74, l'altro nei pressi di Terontola, l'8 gennaio scorso) trova spiegazione nella vicenda di Mario Tuti. I due erano in stretto contatto. L'omicida di Empoli, estradato venerdì scorso dalla Francia e chiuso nel carcere di Volterra (proprio stamane è stato interrogato dal sostituto Marsili e dal giudice istruttore Franco Chimenti, ma non ha voluto dir nulla, sostenendo di essere un prigioniero politico), lo considerava il proprio braccio destro nel « Fronte rivoluzionario nazionale ». Era infatti Luciano Franci, con Mario Malentacchi, a guidare i commandos degli attentati in Toscana, ed era lui il « magazziniere » degli esplosivi. Tuti aveva piena fiducia in Franci, che invece, forse involontariamente forse no, lo tradì dopo l'arresto, nel gennaio scorso. Il « bombardiere nero », sposato con una in- a l e o n e e a , a n i u e 0 o o o a ua a rfermiera francese, padre di due bimbi, finito in carcere poco dopo l'attergato dell'8 gennaio, aveva •una amica, Margherita Luddi, commessa in un negozio di Arezzo. Nella casa della nonna della ragazza, nel Casentino, furono trovati cento chili di esplosivo, miccia e detonatori. La Luddi fu sorvegliata e il suo telefono tenuto sotto controllo dall'Antiterrorismo. Qualche giorno dopo l'arresto di Luciano Franci telefonò alla ragazza un certo « Mario ». Diceva di essere preoccupato. Lei rispose: « Stai tranquillo, Luciano non parla ». Luciano, però, avrebbe parlato. Tuti (perché « Mario » era lui: spesso l'avevano visto anche ad Arezzo) però si mise in guardia, e quando arrivarono alla sua abitazione tre agenti per arrestarlo compì la strage, poi si dette alla latitanza, terminata soltanto l'estate scorsa con la cattura e il ferimento oltre frontiera. « Non crediamo di avere del tutto debellato la centrale fascista, anche se i più pericolosi sono in carcere — dicono gli inquirenti —. Certamente, Luciano Franci sapeva a chi rivolgersi. Ma attorno a lui hanno fatto il vuoto. Ormai è bruciato, non serve piìi a nessuno ». Il dinamitardo, quando si è presentato alla porta del « San Benedetto », ventisei ore dopo l'evasione, appariva disfatto («Nel fisico e nel morale», ha detto il sostituto procuratore che l'ha interrogato). Appoggiandosi al portone, ha mormorato: «Sono Franci, mi voglio costituire». Era stato Franci ad ideare l'evasione dal carcere di Arezzo? Gli inquirenti ritengono di no. Forse ha creduto di poter profittare del progetto del Fianchini, considerato un soggetto pericoloso, forse ha sperato che gli altri avessero dimenticato, e, quando si è reso conto di essere soltanto come un animale braccato, si è arreso. La fuga era avvenuta lunedì sera, mentre i detenuti guardavano alla televisione il film «Lo specchio della vita». I tre erano in possesso di un seghetto (come è entrato nel carcere?). In circa un quarto d'ora hanno tagliato la sbarra di una finestra, poi si sono calati in un cortile interno; di qui hanno scavalcato il muro di cinta e hanno raggiunto la periferia della città e la campagna. Felice D'Alessandro e Fianchini sarebbero rimasti assieme, Franci invece è andato subito per proprio conto ed ha cominciato a vagare nelle frazioni circostanti in cerca di aiuto. Oggi in tutto l'Aretino, in provincia di Siena e di Firenze, carabinieri e polizia hanno allestito posti di blocco. Le pattuglie battono le campagne, la stazioni dei carabinieri della regione sono in allarme. In questa caccia si inquadra la movimentata cattura di altri tre evasi e l'arresto di un loro complice, avvenuti stamane a Monte Morello, vicino a Firenze. Si tratta di Bruno C-esca, 25 anni, l'ex agente di polizia arrestato un anno fa per rapina asCzlnchd3nFcnnlsaadEFbasa ad un vagone postale alla stazione di Montelupo, Vitale Corrias, 20 anni, e Dante Guzzo, di 23, che erano evasi dalle Murate di Firenze nella notte fra sabato 6 e domenica 7 dicembre. I carabinieri hanno circondato il cascinale di proprietà di Carlo Bessi, 37 anni (arrestato). Credevano di trovare D'Alessandro e Fianchini. All'interno, invece, c'erano gli altri tre, armati di mitra e pistole. Gli evasi hanno fallo resistenza, per stanarli ci son volute le bombe lacrimogene. Corrias e Guzzo sono usciti con le mani in alto, Cesca si è difeso con le armi ma poi ha dovuto cedere. Non ci sono feriti. Il padre di d'Alessandro, Enrico, capostazione delle Ferrovie, un meridionale stabilitosi in Toscana da molti anni vuole che il figlio si costituisca. Dice, piangendo: « Sei giovane, la giustizia esiste, abbi fiducia, presentati alle autorità ». Racconta: « Ieri era il suo compleanno. Sono andato a trovarlo. Era nervoso, ma non mi ha detto nulla del progetto di fuga, lo giuro. Felice è innocente ». Omero Marraccini