Padrini, cosche e stragi dal "feudo,, ai sequestri di Luciano Curino

Padrini, cosche e stragi dal "feudo,, ai sequestri Padrini, cosche e stragi dal "feudo,, ai sequestri La mafia dal mondo agricolo passò al contrabbando e alla speculazione edilizia Saliti al Nord, i "boss" hanno sovvertito le "regole" e organizzano i rapimenti L'inchiesta dell'Antimafia è durata tredici anni, durante i quali la mafia ha varcato lo Stretto ed è straripata nella Pe nisola. Prima era un male della Sicilia Occidentale, adesso è una piaga nazionale. Vedremo perché. Intanto, sentiamo un «padrino» vantare con tracotanza: «La mafia può permettersi anche un'antimafia». La Commissione parlamentare antimafia venne costituita dopo la strage di Ciaculli. C'era stata dapprima la mafia del feudo, che operava nel vecchio mondo agricolo. La sua arma era la lupara. Quella era la mafia storica, di Genco Russo e di Navarra, di don Calogero Vizzini che portava sempre un panama bianco e si appoggiava a un prezioso bastone, in un cortile «giudicava» all'ombra di un gelsomino, riceveva «picciotti» e giornalisti. Una mafia che operava nella campagna, si è detto, ma nell'ottobre 1957, all'Hotel delle Palme di Palermo, si incontrò con gli emissari americani di Cosa Nostra e decise di entrare nel traffico della droga. Tramontò alla fine degli Anni Cinquanta la mafia tradizionale. Ancora con la lupara, più spesso col mitra e la dinamite, i Liggio, i Greco, i La Barbera, i Mancino, i Buscetta e altri diedero l'assalto a Palermo. Da un rapporto della Commissione antimafia: «Con i fratelli La Barbera, con il gruppo familiare dei Greco, con Mancino e con Buscetta si concreta il processo di americanizzazìone detta mafia, sia per i metodi di lotta, caratterizzati da violenze, corruzioni, affarismo e "killerismo", sia per il pieno e completo inserimento nella criminalità internazionale». Fu feroce la «guerra di Palermo». Per il predominio nel campo dell'edilizia, del contrabbando di tabacco e del traffico di droga, del mercato ortofruttico lo, le cosche rivali si diedero lotta spietata, sull'asfalto elei nuovi quartieri caddero fulminati dal mitra un'ottantina di «picciotti» l'anno. Altri scomparvero nelle colate di cemento dei condomini in costruzione. Questa catena di attentati culminò, il 30 giugno 1962 in località Ciaculli, nell'esplosione di una «Giulietta» imbottita di tritolo: furono dilania ti il tenente dei carabinieri Malausa e altri sei militari e poliziotti. Venne costituita l'Antimafia. Dopo la strage di Ciaculli il panorama mafioso cambia completamente. In peggio. Fuggono da Palermo i mafiosi sconfitti. Emigrano a Napoli, a Roma, si stabiliscono al Nord. Anche i «boss» lasciano la Sicilia. La trasfusione si fa imponente: migliaia di «presunti mafiosi» sono condannati al domicilio coatto. Con ingenuità sconcertante, vengono scelti per i «confinati» paesi in zone ricche, densamente popolate ed è perciò facile sfuggire al controllo delle Forze dell'ordine, sono località dotate di ogni possibile mezzo di comunicazione, che per altre caratteristiche si prestano ottimamente all'esercizio dell'industria del crimine. La mafia diventa un prodotto d'esportazione. Si stabilisce a Napoli, che diventa testa di ponte sul continente, si allea con l'antica camorra, fa la guerra al clan marsigliese. A poco a poco il Nord Italia si riempie di mafiosi. Anzi: «presunti mafiosi». Soltanto in Lombardia i confinati sono 1700. Diceva un vecchio boss: «Ci portano al Nord come se fosse un altro mondo. Chi è forte qui è forte anche lassù». E' chiaro che il mafioso arrivando al Settentrione non smette di appartenere alla «onorata società» né di servirla. Presto si rende conto che il Nord è terreno fertile. Dopo qualche mese si fa raggiungere dai parenti e da amici, si lega con altri mafiosi confinati nella stessa zona. Compra un cascinale, buono per mascherare un'attività agricola e per giustificare le assenze. Se il maresciallo dei carabinieri gli dice: «Mi risulta che ieri ti sei allontanato, che sei andato in città», la risposta è credibile: «Maresciallo, sono andato da un concessionario per vedere un nuovo trattore». Tranquilli paesi padani vedono che il loro «presunto» riceve frequenti visite di forestieri, il «presunto» sovente fa scappate al capoluogo più vicino, il «presunto» telefona molto e, c'è da scommettere, in teleselezione. La realtà è che nei tranquilli paesi padani e nelle grandi città del Nord i «boss» sono collegati con Palermo, e l'organizzazione sta estendendo il suo controllo su tutto, dal racket della prostituzione, all'edilizia, dal contrabbando delle sigarette al traffico di droga, dai locali notturni al mercato delle braccia. Infine, i sequestri di persona. E il germe della mafia si sviluppa e si alimenta nel clientelismo, nella corruzione. I «padrini», diventati managers, riciclano il denaro sporco, entrano in affari rispettabili. La mafia è una grande holding con molte associate. Il fenomeno mafioso si è esteso a quasi tutto il territorio na¬ zdsvasrnzcdescs zionale. E a Palermo che accade? Dopo la strage di Ciaculli ci sono stati cinque anni di relativa calma. Nel 1969, in seguito alle molte assoluzioni al processo dei mafiosi tenuto a Catanzaro e all'entrata in vigore della norma sulla durata della carcerazione preventiva, molti dei vecchi boss ritornano in città. Tra di loro ci sono conti in sospeso e li regolano quasi subito con la strage di viale Lazio. Poi, quello che accade dal 1970 ad oggi viene definito dagli esperti di mafia «atipico». Succedono cose inspiegabili. Nel settembre 1970 scompare il giornalista De Mauro, nel maggio 1971 è ucciso il procuratore della Repubblica Scaglione. Dopo questi clamorosi episodi, la mafia sembra essere in posizione di stallo, ma poi si scatena, ancora in modo atipico. Attentati, esecuzioni inspiegabili: quest'anno, a Palermo, una trentina di uccisi, quasi tutti nomi che non figurano nel Gotha mafioso. E lo scorso ottobre Angelo La Barbera, uno che contava parecchio, è stato assassinato in carcere. Perché? Che cosa sta accadendo nel mondo mafioso siciliano? Gli inquirenti, anche gli esperti, rispondono: «Non si capisce niente». Il giudice istruttore Aldo Rizzo ha ammesso francamente: «Il rischio è di essere continuamente superati dagli eventi. Facciamo un'indagine, arriviamo a una conclusione e poi scopriamo che le cose, nel frattempo, sono cambiate, che la mafia è diventata un'altra cosa. Credo che siamo giunti alla quarta fase della mafia. La prima era legata alle campagne, si giustificava in una società di tipo feudale. La seconda è quella che aveva scelto la città e la speculazione edilizia La terza, quella che abbiamo definito "nuova", si dedica al contrabbando del tabacco e degli stupefacenti. In questa direzione abbiamo messo assieme grossi nomi e individualo i dirigenti e i gregari. Ma ora abbiamo la sensazione di essere entrati nella quarta fase. Succedono delitti incomprensibili, che vengono definiti atipici. Ma quando i fatti atipici si succedono con troppa frequenza, finiscono di essere tali. Vuol dire che sta nascendo un nuovo fenomeno di cui non si riesce a capire la natura. Individuare il meccanismo è un compito delle forze di polizia. Ma bisogna far presto». Secondo alcuni, «ora che le vecchie cosche non esistono più, ognuno si considera così forte da assurgere al rango di capo». La «quarta ondata» di mafiosi è fatta da cani sciolti e sono venute meno le regole del gioco. Secondo altri, si è scatenata una guerra di successione dal basso, una sorta di contestazione giovanile impegnata nella soppressione di un'intera generazione di boss, per un ricambio radicale. I vecchi mammasantissima si chiedono: «E' ancora mafia questa, senza gerarchie né regole, senza rispetto e senza legami di cosche, o non è semplice banditismo urbano?». Non si conoscono le conclusioni cui è giunta l'inchiesta dell'Antimafia, se c'è la risposta a questa domanda: quali sono i connotati della «quarta mafia»? Oppure è ancora mafia quella che agisce ora a Palermo, o sono tante piccole bande, senza prestigio, cani che non hanno padrone e che azzannano chiunque? Invece si sa che cos'è la mafia che opera nel Settentrione, si sa che è forte, tanto che un vecchio boss dice insolente: «Possiamo anche permetterci un'antimafia». Ma è probabile che bluffi, che non sia del tutto sicuro di quello che dice. Luciano Curino Un delitto avvenuto a Palermo negli Anni 60 nella guerra tra le cosche dei Greco e dei La Barbera (tel. Ansa)