Un 'indagine segreta da cent'anni adesso è il momento della verità? di Guido Guidi

Un 'indagine segreta da cent'anni adesso è il momento della verità? Un 'indagine segreta da cent'anni adesso è il momento della verità? Nel 1875 il Parlamento ordinò la prima inchiesta - L'ultima Commissione antimafia, costituita dopo la strage di Ciaculli, si è sciolta: aprirà gli archivi per pubblicare tutti i documenti raccolti in tredici anni Roma, 17 dicembre. La Commissione antimafia ha concluso ufficialmente la sua inchiesta e, al più tardi fra un paio di mesi, apre i suoi archivi per pubblicare tutti, o quasi tutti, i documenti raccolti nell'arco di tredici anni: è giunto, davvero, il momento in cui salterà in aria la «Santabarbara»? A parlare per la prima volta di «esplosioni clamorose» non appena fossero stati resi noti gli elementi trovati durante le indagini fu Donato Pafundi, allora presidente della Commissione: era un anziano magistrato calabrese, già procuratore generale della corte d'appello di Roma, molto cauto, sempre angosciato da mille preoccupazioni giuridiche e procedurali che si giustificavano, sema dubbio, con la sua specifica formazione professionale. Nell'agosto 1966 ad un redattore de «Il Giornale di Sicilia» di Palermo, Pafundi dichiarò: «Abbiamo un archivio che può paragonarsi ad una polveriera dove sono annotati dei fatti dinanzi ai quali lo scandalo di Agrigento e il caso Tandoj impallidiscono». La iniziativa di un uomo così prudente come Donato Pafundi fece, giustamente. una grande impressione: il paragone fra gli accertamenti compiuti dall'Antimafia ed i casi Tandoj e di Agrigento fu clamoroso. Tandoj era un vice questore ucciso ad Agrigento la sera del 30 marzo 1960 perché aveva avuto rapporti con la mafia; ad Agrigento, all'alba del 19 luglio 1966, era franata una parte della città perché costruita violando le normali leggi fisiche ed urbanistiche sotto la spinta di una volgare speculazione edilizia. Cattanei Ma la «polveriera» da allora non è esplosa: è giunto ora il momento giusto? Che cosa contengono, in sostanza, questi archivi che prima erano al Senato, poi sono passati a Montecitorio ed ora sono al Palazzo della Sapienza? Francesco Cattanei, avvocato, genovese, anche lui democristiano come Donato Pafundi, che lo ha preceduto nella presidenza della Antimafia, ha gettato molta acqua sul fuoco dopo avere consultato per un mese circa tutte le carte contenute dalla «Santabarbara». «Da questo esame — confidò a Giampaolo Pausa che pubblicò questa confidenza su "La Stampa" — ne sono uscito scosso da sentimenti diversi. Lo stupore nel leggere certi nomi, lo sgomento nel toccare con mano certe piaghe, la meraviglia che, per quanto riguardava i presunti capi mafiosi, quasi tutto, sino a quel momento, fosse basato sui "si dice", sulla voce pubblica. Ed infine il timore di non potere spingere l'inchiesta sul terreno solido delle prove». Cesare Terranova, deputato indipendente di sinistra, già magistrato a Palermo, dove per dieci anni si è interessato di problemi mafiosi, tra l'ottimismo (senza conseguenze) di Pafundi e il pessimismo attenuato di Cattanei sceglie la via di mezzo. «Negli archivi dell'Antimafia vi sono documenti importanti — dice — per conoscere meglio ed approfondire il fenomeno mafioso e soprattutto per studiare quelli che sono stati ì rapporti fra mafia e pubblici poteri». Ha sottoscritto anche lui la relazione che i comunisti intendono presentare per ampliare quella ufficiale di maggioranza. Il problema della mafia o per lo meno della delinquenza nell'isola richiamò l'attenzione dell'allora giovanissimo Stato italiano qualche mese dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia: cioè, subito. Ne parlò in termini crudi il luogotenente del re, gen. Massimo Corderò di Montezemolo, chiedendo mezzi e uomini per stroncare il banditismo: era il 19 gennaio 1861. Ma fu soltanto nel 1875 che il Parlamento dispose una inchiesta e costituì una Commissione che procedesse ad una indagine «sulle condizioni della Sicilia». / risultati furono scarsi, incolori e soffusi di un ingiustificato ottimismo: il relatore on. Bonfandinì negò che esistesse una questione specificatamente siciliana, minimizzò il fenomeno della mafia e fece intendere che tutto, o quasi tutto, si sarebbe risolto costruendo le strade «rimedio sovrano per le deficienze economiche». L'idea di tornare in Sicilia per studiare il fenomeno mafioso e i suoi legami da un lato con la delinquenza e dall'altro con i pubblici poteri viene presa in considerazione dal Parlamento nel novembre 1958 su suggerimento dell'Assemblea regionale siciliana. L'iniziativa ufficiale è di Parri al Senato: ma debbono trascorrere quattro anni prima che possa essere realizzata. Gli ostacoli con cui si tende a bocciarla sono numerosi: l'inchiesta viene ritenuta antigiu- ridica perché — si dice — «se l'aspetto più caratteristico ed allarmante del fenomeno è l'allarmante percentuale dei delitti che restano impuniti in Sicilia, la indagine parlamentare dovrebbe penetrare negli ambulacri inviolabili del potere giudiziario per esaminarne e giudicarne l'attività»; l'inchiesta viene ritenuta «inidonea» a raggiungere lo scopo perché — si aggiunge — se l'obiettivo è stqucllo eli estirpare la mala pianta non è attraverso l'inchiesta che si giunge alla purificazione, ma mediante una opera sagace ed attiva del governo centrale e regionale». Pafundi L'opposizione è inconsistente e si intuisce chi può preoccupare l'inchiesta, ma alla fine (20 dicembre 1962) la legge viene approvata e la Commissione (15 deputati e 15 senatori I comincia a lavorare. E' un inizio lento, anzi lentissimo. A presiedere l'Antimafia viene chiamato un ex magistrato, eletto senatore nella lista de: Donato Pafundi. I primi mesi, anzi i primi anni vengono dedicati tutti a studiare le questioni di procedura: come interrogare i testimoni, come richiedere i documenti. Alla scadenza della legislatura, il cammino compiuto è scarso: Pafundi, quello della «Santabarbara», sintetizza il lavoro in una brevissima relazione in cui non è detto nulla. Novembre 1968. Nuova legislatura, nuova composizione della Commissione, nuovo presidente. Francesco Cattanei, giovane (38 anni, appena), entusiasta, dinamico sostituisce Pafundi: ignora tutto sulta Sicilia e sulla mafia; ammette di avere letto soltanto i libri di Sciascia, le memorie del prefetto Mori, che aveva combattuto i mafiosi su incarico di Mussolini, e quello che sul problema era stato scritto sui giornali. La sua — commenta dopo — sarà una esperienza sconvolgente. Durante la gestione Cattanei accade di tutto: la strage di viale Lazio, dove un commando mafioso irrompe in un ufficio al centro di Palermo ed elimina a colpi di mitra Michele Cavataio, un killer che avetirt intenzione di diventare un «boss»; il sequestro del giornalista Mauro De Mauro, di cui non s'è più. trovata traccia; l'uccisione dell'albergatore di Ravanusu. 'andido Cluni, che viene raggiunto dagli assassini in una stanza dell'ospedale civico di Palermo, dove età ricoverato per cu/arsi le ferite riportate in seguito ad una aggressione subita in casa sette giorni prima; il ferimento di un deputato missino, on. Nicosia, palermitano, aggredito per strada; l'assassinio del procuratore della Repubblica, Pietro Scaglione. Si tenga presente che i responsabili di questi delitti, compiuti nel modo più spregiudicato e clamoroso, non sono stati mai identificati Ma avviene qualcos'altro: Luciano Liggio, assolto a Bari dalla corte d'assise, scompare perché la polizia ignora che a Palermo è stato emesso un mandato di arresto nei suoi confronti. Esce dalla clinica romana dove è ricoverato per un intervento chirurgico e nessuno lo controlla: sarà arrestato soltanto quattro anni dopo a Milano dove ha vissuto senza grandi precauzioni. C'è di più: scoppia il caso Rimi (il figlio di un importante «boss» mafioso di Alcamo che viene assunto dalla Regione Lazio) per cui si può supporre che la mafia tenda a lasciare la Sicilia per conquistare i gangli vitali del potere pubblico; scoppia soprattutto il caso Pietroni Romolo Pietroni è un sostituto procuratore generale della corte d'appello di Roma che l'Antimafia ha scelto come consulente giuridico: si accerta che aveva rapporti d'amicizia con Italo Jalongo, allora consulente tributario e fiscale di Frank Coppola, il «boss» mafioso che vive da anni nella zona di Pomezia a Sud di Roma. I contatti fra magistrato e fiscalista non possono esse¬ re ritenuti illeciti sotto il profilo penale, ma lo scandalo è ugualmente e giustamente clamoroso. La quinta legislatura termina e poco prima la Commissione pubblica i primi risultati del suo lavoro ormai decennale. Ha indagato su vari aspetti del fenomeno mafioso, ricostruito la personalità dei maggiori «boss» (i più importanti, però, sono latitanti: i cugini Salvatore Greco di Ciaculli vivono all'estero ed è accertato che dal Libano, dall'Algeria, da Tunisi guidano il traffico della droga che ha i suoi maggiori intermediari in Sicilia), ripercorso il cammino delle indagini per la strage di Portella della Ginestra dove gli uomini di Salvatore Giuliano uccisero e ferirono i contadini riuniti per celebrare la festa del lavoro nel maggio 1949. Carraro Francesco Cattanei lascia la presidenza della Commissione che viene assunta da Luigi Carraro, senatore democristiano, docente di diritto privato a Padova. L'attività della nuova Antimafia comincia con uno scandalo: i democristiani scelgono Giovanni Matta perché faccia parte della commissione. Giovanni Matta è un avvocato palermitano, eletto con oltre 42 mila voti di preferenza. Ha un neo: l'Antimafia si è interessata a lui per la sua attività come assessore all'urbanistica nel comune di Palermo. E' possibile che un inquisito diventi inquisore? I comunisti protestano e pongono l'aut aut: o via lui o via noi. Soltanto dopo qualche mese di polemiche, Giovanni Matta, allora amico del ministro Giovanni Gioia, rinuncia all'incarico e la Commissione può riprendere i lavori che si sono conclusi nella giornata di ieri: esattamente cento anni dopo la prima inchiesta parlamentare in Sicilia. Guido Guidi Palermo. La "Giulietta" della strage di Ciaculli, pochi minuti prima dell'esplosione che provocò la morte di sette agenti - Dopo quel drammatico episodio, avvenuto nel giugno del 1962, scattò la legge per la commissione Antimafia (telefoto Ap)