Una legge realista

Una legge realista Lo statuto dei lavoratori ha 5 anni Una legge realista Si sono ridimensionate molte critiche all'innovazione: in particolare quelle per l'assenteismo e per i poteri del pretore Lo Statuto dei lavoratori entrò in vigore nella tarda primavera del 1970. Allo scadere di un quinquennio si è sempre indotti a fare bilanci, a interrogarci sul passato prossimo e sulle immediate prospettive. A tale obbiettivo sarà dedicata una giornata di studi che si svolgerà domani a Milano per iniziativa della Fondazione Brodolini. Su tale argomento va intanto segnalata una indagine socio-giuridica apparsa nelle librerie in questi giorni (« L'uso politico dello Statuto dei lavoratori », a cura di Tiziano Treu, edizione Il Mulino), che costituisce un pregevole saggio sulla « legge in azione », un campo del tutto trascurato dalla scienza giuridica italiana attratta pressoché soltanto dai temi di interpretazione della legge, quasi mai dai problemi di come la legge stessa viene effettivamente applicata dagli organi giudicanti o dalle Amministrazioni. Lo Statuto dei lavoratori è ancora al centro d'una non sopita polemica, che pare anzi trar maggiore alimento, in questo periodo, dalla convinzione che il superamento della crisi richiede un energico intervento contro forme di lassismo e di indisciplina di cui, secondo una parte della pubblica opinione, questa legge così avanzata sarebbe la prima causa. Lo studio prima menzionato permette di collocare nelle giuste dimensioni molte di queste critiche. Di alcune di esse d'altronde è facile intravedere la fragilità, quando si pensi che viene imputato allo Statuto anche quanto non c'è in esso, quanto invece è frutto di un mutato rapporto di forze, che ha certo incoraggiato la emanazione della legge ma che era già in atto prima di essa. Tra queste critiche fuori campo andrebbe anche incluso, almeno in parte, il ben noto fenomeno dell'incremento dell'assenteismo. Senza nulla concedere alle indulgenze d'una sociologia che per spiegare i fatti finisce per giustificarli tutti, certo è che il problema esiste: ma è dato chiedersi se esso sia nato dall'abolizione del medico di fabbrica (e la novità dello Statuto, in materia, è tutta qui) o non piuttosto dal nascere di un diverso rapporto fra operaio e lavoro, d'un rapporto meno succubo, più contestativo. Ed allora quale medico di fabbrica avrebbe mai retto davanti ad un tale mutato atteggiamento? Formuliamo l'ipotesi che l'affidamento dei controlli sulla malattia all'organo pubblico, in mancanza dello Statuto, avrebbe finito per esser proposto dalle aziende stesse, perché il medico di fabbrica non ce l'avrebbe più fatta di fronte al dilagare delle contestazioni: può sembrare un paradosso, ma forse non lo è poi tanto e questo vuol dire, in conclusione, che il problema dell'assenteismo non può essere risolto con un ripristino della situazione antecedente lo Statuto, e cioè con il ritorno a controlli sospetti di parzialità, come quello del medico di fabbrica. La rioerca ora pubblicata fornisce a sua volta gli elementi per una valutazione realistica di certi aspetti della legge, comunemente ritenuti i più carichi di effetti eversivi. La parte che riguarda l'uso dell'ormai famoso, celebrato, vilipeso articolo 28 (quello che attribuisce ai pretori il potere di far cessare i comportamenti antisindacali dell'imprenditore) è ricca di elementi di novità, rispetto a un modo comune di sentire: quello, per dirla in breve, che elevando a costante alcune decisioni molto innovative (qualche volta coraggiose, qualche volta, invece, avventuristiche) presenta questi norma come un'arma puntata contro l'iniziativa economica privata. 11 dato d'esperienza, come emerge da una considerazione dei grandi aggregati dell'attività giudiziaria, anziché di quella soltanto che riguarda le singole e più clamorose decisioni, appare invece ben diverso. Anzitutto, la propensione filosindacale dei pretori è solo un'apparenza, perché, tra i vari dati significativi raccolti nel volume, si rivela ad esempio che il rapporto tra i ricorsi sindacali accolti e quelli respinti è all'incirca di uno a uno. Ben più alto è sempre stato l'indice di accoglimento delle domande dei lavoratori nelle controversie individuali, senza partecipazione almeno diretta del sindacato. Tutto ciò si spiega probabilmente con una perdurante resistenza della classe giudiziaria di fronte alla pressione innovativa che è implicita nelle domande proposte dai sindacati, un'istituzione che non è certamente adibita a garantire l'ordine giuridico esistente. ma semmai a dirigerne, e talvolta a forzarne, l'attuazione verso gli obicttivi più avanzati. Il fenomeno si spiega anche, forse, con un certo uso spericolato dell'articolo 28 quale può essere stato fatto soprattutto nella fase di prima applicazione. Anche a quest'ultimo proposito, tuttavia, i risultati della ricerca sono in certa misura inaspettati. Il sindacato, contrariamente all'impressione corrente, ha usato dello Statuto con molta parsimonia. Nelle zone di alta tradizione sindacale permane la tendenza alla soluzione dei conflitti all'interno dei rapporti contrattuali, evitando la chiamata in ausilio di terzi, come i giudici, il cui comportamento, in conflitti carichi di tensione politica, non sia sicuramente prevedibile. L'applicazione più estesa si è avuta nelle zone di sindacalizzazione « emergente » (in particolare: il Veneto) e la Cisl, nella sua componente più orientata a sinistra, ne è stata la principale protagonista. Un analogo fenomeno si verifica nel Centro-Sud, nelle aree in cui è presente una Cgil più aggressiva, e quindi, anche in questo caso, in situazioni almeno tendenzialmente « emergenti » dal punto di vista sindacale. Infine, com'era da attendersi, più alta è la frequenza dei ricorsi nelle piccole e medie aziende. L'obiettivo della legge, si rammenterà, non era di modificare il quadro delle relazioni industriali più di quanto non stesse avvenendo per pressione delle forze sociali stesse. L'obiettivo era piuttosto il « sostegno » della forza sindacale, il che implicava l'introduzione di istituti atti a difendere lavoratori e sindacati da azioni repressive o discriminatorie o a promuovere l'organizzazione sindacale nelle fasi e nelle aree di emergenza. Sembra che, per questo aspetto, l'obiettivo sia realizzato, e, nel quadro d'insieme, senza forzature vistose rispetto alle tendenze di sviluppo del lavoro organizzato. E' consentito allora concludere che « l'intervento giuridico-istituzionale più incisivo nel secondo dopoguerra, sul sistema delle relazioni di lavoro » — come lo Statuto viene definito nell'introduzione di Mengoni e Treu — ha rivelato soprattutto un'apprezzabile qualità di realismo. Gino Giugni

Persone citate: Gino Giugni, Mengoni, Tiziano Treu, Treu

Luoghi citati: Milano, Veneto