Il narratore che dirige il "Figaro,, di Giovanni Bogliolo

Il narratore che dirige il "Figaro,, Il narratore che dirige il "Figaro,, (Nostro servizio particolare I Milano, dicembre. Del suo ultimo romanzo che è venuto in questi giorni a presentare in Italia (A Dio piacendo, edito da Rizzoli), Jean d'Ormesson parla ormai con elegante distacco: un po' sorpreso che, almeno in Francia, abbiano ad ogni costo voluto vedervi un ritratto appena velato della grande famiglia di cui porta il nome, ma soprattutto divertito che l'accurato dosaggio di minimi dettagli reali che vi ha disseminato sia riuscito fino a questo punto ad avvalorare una sostanza puramente fantastica. Il divertissement, iniziato con La gloria dell'Impero, in cui le immaginarie vicende dell'imperatore Alessio si incastravano a perfezione nel tessuto di un lontano passato storico, qui si è fatto più ambiguo e sottile: al coltissimo puzzle di riferimenti bibliografici e agli eruditi equilibrismi tra fonti vere e fittizie, si è sostituita, quale contrappunto di una trascinante saga familiare, una concreta e appassionata lettura del recente passato e una disincantata meditazione sul nostro presente. Dietro l'inventore di eleganti apocrifi che si proponeva il modello di Borges è nato forse un memorialista alla Proust? « La mia vera ambizione è di portare un contributo alla storia del sentimento e sarei lieto se i mìei libri potessero offrire, fra cent'anni, quando qualcuno vorrà capire il nostro tempo, un documento non equivoco e una testimonianza già filtrata dalla riflessione. E' una scelta di tipo memorialistico; e se memorialisti insigni come SaintSimon e Chateaubriand si sono concessi il correttivo dell'invenzione, io mi sento autorizzato a decifrare la realtà dalla prospettiva della finzione romanzesca. D'altra parte, qualunque pretesa di obiettività sarebbe velleitaria e io non mi identifico nel personaggio del narratore, anche se nulla di quello che esprime mi è completamente estraneo. Pensi che il personaggio nel quale mi sono ritratto più a fondo è quello del padre che, nel romanzo, fa solo una breve apparizione ». Arrivato alla piena maturità espressiva dopo un folgorante cursus honorum che l'ha portato, non ancora cinquantenne, alla direzione del Figaro e all'Académie Francaise, d'Omersson sembra chiedersi oggi, come e più del Malraux che cita in epigrafe, se non siano i libri di memorie gli unici che meritino di esser scritti. Quando l'ho incontrato al Figaro, nel grande ufficio circolare che si affaccia sulla prospettiva magniloquente degli ChampsElysées, aveva negato, quasi con fastidio, qualsiasi rapporto tra il suo lavoro di romanziere e la sua attività di giornalista. Il rapporto era, semmai, competitivo, la poltrona che fu di Brisson e di Lacretelle gli chiedeva un impegno totale. Ora gli domando se non crede che il tessuto storico di A Dio piacendo, quel viluppo di richiami cronachistici e di menus faits vrais non sia in qualche modo debitore dell'attenzione professionale che presta quotidianamente alla politica, ai costumi, all'attualità. « In un libro di quindici anni fa, Au revoir et merci, c'è una frase almeno parzialmente profetica: "Non è possibile essere direttore del Figaro e al tempo stesso avere del talento". Tra meno di un mese Gallimard ripubblicherà questo libro e non ho espunto questo paradosso perché continuo a crederci. Per quanto posso, cerco di tenere separate queste mie due attività, e se non è un danno che una certa attitudine giornalistica inquini o pimenti le qualità del romanziere, sarebbe davvero un bel guaio se finissi per dirigere da romanziere il mio giornale. Ma è un rischio che non corro perché non ho più tempo per scrivere romanzi ». — E il progetto di un saggio esplicativo che mi aveva confidato in primavera? Allora mi aveva parlato di un libro scritto apposta per confutare e chiarire tutto il suo lavoro precedente, una delucidazione di tutte le chiavi dei suoi romana che avrebbe finito per essere ancora una volta un roman à clefs, ma alla seconda potenza. « E' un'idea che continuo a rimandare. Intanto ne sto accarezzando una molto più complessa: vorrai studiare e risolvere in un impianto narrativo le progressive mutazioni della sensibilità dalla fine del Settecento a oggi ». Ma quando gli chiedo qualche dettaglio più preciso su questa che, per sua stessa ammissione, dovrebbe costituire la summa di tutte le sue convinzioni sociali, morali e politiche e insieme la sua più ambiziosa impresa narrativa, la riservatezza si maschera subito di affabile ironia e dell'opera ancora soltanto vagheggiata mi propone una definizione chissà quanto paradossale: « Sarà un Hegel romanzato ». Giovanni Bogliolo

Persone citate: Borges, Hegel, Jean D'ormesson, Malraux, Proust

Luoghi citati: Francia, Italia, Milano