Il miracolo mancato in Spagna di Alberto Cavallari

Il miracolo mancato in Spagna GIÀ CADUTE LE EFFIMERE ILLUSIONI SUL DOPO FRANCO Il miracolo mancato in Spagna Chi s'aspettava dal re Juan Carlos un "nuovo corso" liberale si trova a vivere in un clima d'ingiustizia e arbitrio simile a quello della guerra civile Mentre troppi muoiono durante gl'interrogatori, sedici tribunali decidono incredibili condanne - Il nuovo governo è di "continuità", non di "svolta" Molti si dicono delusi perché la Spagna non viene liberalizzata dal successore di Franco, il re Juan Carlos. Ma si tratta di una delusione indebita, dato che il re non aveva illuso nessuno, né promesso niente, giurando addirittura fedeltà al franchismo. Ci troviamo così di fronte a una situazione paradossale. Il nuovo re passa per un « liberale » che non può esserlo. C'è addirittura la favola del « piccolo re», del buon re, prigioniero dei cattivi franchisti, il famoso « bunker », mentre la gente viene arrestata, percossa, imprigionata, come in passato, più che in passato. Ed è tragico che non solo la presse du eoeur abbia creato l'equivoco. Lo ripetono bravi giornalisti, scrittori, uomini politici. Ciò certamente succede perché si applica alla Spagna lo schema volgarmente illuminista che prevale ormai nel misurare le cose del mondo. Chi viene dopo, è giudicato quasi sempre migliore di chi è venuto prima, le fasi successive sono sempre ritenute « progresso » in base a un'idea aritmetica del progresso. Rito sommario Le dimensioni dell'epidemia franchista sono certamente tali da giustificare la speranza nell'arrivo di un guaritore regio che tutto annulli col suo tocco magico. In un bilancio perfetto, recentemente tracciato da Eduard Blaye in Franco ou la monarchie sans roi, si possono vedere confermati gli abissi d'« illegalità legale » che il franchismo impone a una società moderna. Sedici sono i tribunali speciali che si possono contare, ancora nel 1975. La vecchia legge del 1960 che, con la scusa di reprìmere banditismo e terrorismo, consentiva il processo sommario di chiunque fosse sospetto di « cospirazione », è stata sospesa quattro anni ('64-68), ripristinata fino al '71, sospesa fino al '74, e poi risuscitata il 24 agosto di quest'anno. Pertanto, si vive in Spagna, nonostante i tentativi di legalità compiuti tra il '58 e il '66, in un clima di ingiustizia e di arbitrio simile a quello della guerra civile. Nonostante la distinzione fatta tra due giurisdizioni speciali (i tribunali militari, e ì famosi Top, tribunali di ordine pubblico) si ricorre spesso alla procedura sommaria e « sumarisima », come nei processi Grumau, nei processi di Burgos, e nei processi successivi. Ai prigionieri politici è applicata una « giustizia » derivata dal tempo di guerra, utilizzata per reprimere diserzioni e ammutinamenti. Non si è mai proceduto a una vera istruttoria, il difensore d'ufficio è quasi sempre stato un militare. E, rimasta teorica poi la distinzione tra i tribunali d'ordine pubblico civili e quelli militari, la polizia politica continua a godere del diritto di deferire alla corte marziale un imputato quando lo ritiene opportuno. La brigata politico-sociale, tristemente famosa per la sua specializzazione in interrogatori di terzo grado, resta padrona di determinare quale diritto, quale processo, quale procedura si debbano applicare a un prigioniero politico. L'arsenale legislativo cui la polizia attinge per manovrare come vuole è agghiacciante. La legge del 4 giugno 1971, per esempio, consente di giudicare « socialmente pericolosi» coloro che (nella condotta morale) « si comportano in modo imprudente », oppure coloro che (nella condotta politica) « formano gruppi e manifestano con evidente predisposizione al delitto ». La legge dell'agosto '75 qualifica delitto di terrorismo, e concorso in esso, non solo l'appartenenza ai partiti comunisti, anarchici, separatisti: è delitto di terrorismo anche l'aiuto « diretto o indiretto » che alle associazioni illecite viene dato, compresa la « difesa ideologica ». Se per esempio un cittadino difende certe idee di libertà sindacale condivise anche dai comunisti diventa complice indiretto di associazioni illecite, ma queste sono considerate complici indirette | delle organizzazioni terrorii ste, pertanto il cittadino è considerato colpevole di terrorismo e cade sotto la leg| ge antiterrorista. Quanto alla « legalità » delI le pene, il panorama non è I meno fosco. La legge del '71 I prevede che la « detenzione fissata non verrà sospesa se si giudicherà che l'individuo socialmente pericoloso non . è guarito delle sue tendenj ze ». Grazie all'arsenale leI gislativo dispotico vengono distribuite incredibili condanne. Tre mesi di carcere a Barcellona per aver ascoltato la lettura in pubblico i di estratti della dichiarazione dei diritti dell'uomo. Sette mesi a un operaio di El Ferrai per aver gridato « viva la Russia » al cinema. Un mese di prigione a Cadice a cittadini che hanno detto « viva la Repubblica ». Si tratta sempre di condanne allungabili a piacere dai « sorveglianti », e quindi ogni commento è qui inutile. La repressione arbitraria della polizia (non legalizzata attraverso le leggi) raggiunge infine orrori che sono noti. Grimau precipitato dal primo piano della Dirección General de Seguridad di Madrid, prima della condanna a morte, per cancellare i segni delle torture, non è un caso eccezionale. Proprio col varo della nuova legislazione « liberale » che istituisce i Top, si moltiplica una sinistra casistica documentata da De Blaye. Dopo gli scioperi nelle Minas Llanos, nelle Asturie, risulta che un detenuto è stato castrato, un altro è giunto alla pazzia per eccesso di torture, le donne degli scioperanti sono state rapate a zero. Dopo la nomina del cosiddetto primo ministro liberale Arias Navarro, « tecnico dell'ordine pubblico », s'è registrato il famoso caso di Cipriano Martos, a Tarragona, morto per un «interrogatorio» un po' troppo spinto. Ma non è nemmeno il caso di continuare un elenco di fatti che, nello Stato di polizia, ufficializzato con la prima sospensione deWhabeas corpus avvenuta nel 1970, giunge a un'assoluta mancanza di freni. Se lo Stato di diritto non esiste de jure, immaginiamo cosa succede de facto. Basti dire che la polizia registra record senza precedenti, come quello di Javier Fernandez Quintero, studente, sottoposto addirittura a trentacinque « interrogatori » nel marzo 1971. Con le sospensioni intermittenti dell'habeas corpus, e con la legge speciale dell'agosto '75, questa Spagna dolorosa, che gronda sangue, lacrime, pene, vede addirittura «legalizzata» la ripugnante epidemia repressiva che si esercita contro tutti coloro che non accettano il dispotismo franchista. La peste poliziesca si propaga, malgrado una borghesia moderna abbia rinnovato il Paese, nonostante la « ragione » suggerisca all'establishment che il «mezzo secolo buio » andrebbe concluso. Si capisce benissimo come, a un certo punto, sia prevalsa la convinzione che soltanto una « grazia » potesse bloccare il flusso nero di un regime che suppone « normale » questo stato di cose. Dove la ragione, ha fallito, si spera nel tocco magico di un re. Ma forse liberali e antifranchisti hanno compiuto l'errore di supporre medievale e carismatica una monarchia che tale non è. Quella spagnola è una « monarchia sistemica», nata dal cervello di Giove-Franco, priva di grandezza, e soprattutto di fede nel cosiddetto « miracolo regale ». Cresciuto sul dorato asfalto dei Parioli, il giovane Juan Carlos è più figlio del movimento che della propria dinastia, essendo stato richiamato in Spagna dal regime, non dal suo popolo. Puramente arbitrario è attribuire intenzioni non franchiste a un re nato dal franchismo, oppure attribuirgli una missione liberale in un sistema dispotico. La missione di Juan Carlos è priva di carica illuminista. Egli non esprime un potere originato dalla grazia né dalla ragione. Le sue basi non sono l'antica Spagna né quella della « generación del '98 ». Sempre dittatura Juan Carlos è soltanto il gestore di uno Stato totalitario, e quindi il tecnico di una dittatura. Non può portare con sé miracoli, ma solo modificazioni lente, che si produrranno intorno a lui, senza suo merito, e che poi forse farà sue. Solo la ignoranza delle cose spagnole può infatti far definire come « liberali » certi gesti che ha compiuto (come il condono, o come le elezioni comunali che ha indetto) e che sono gesti franchisti. Franco condonò decine di volte. Anche lui, poi, chiamò il popolo a votare, attraverso lo schema corporativo che si conosce. La riforma elettorale prevista dal re per gennaio venne preparata da Franco, e non cambia nulla nel vecchio Stato franchista. La stessa cosa dicasi del nuovo governo. Su questo ministero, formato ieri, si dicono molte cose. Da un lato, esso sarebbe una tipica immagine del « cambiamento nella continuità »; da un altro lato, della « liberalizzazione limi- tata ». E poi si distillano molte spiegazioni sulla base dei dosaggi che lo formano, degli uomini cosiddetti «nuovi» imbarcati dal re. Ma ci sono alcune cose incontrovertibili. Il conte di Motrico (agli Esteri) non è certo il conte Sforza, che torna dall'esilio americano. Fraga Iribarne (agli Interni) è un grosso navigatore galiziano (come Franco) e non è Togliatti che sbarca a Salerno. Accanto ai franchisti incondizionali, il re fa coabitare dei franchisti-liberali o dei franchistì-borbonizzanti. Il vecchio "boia" E' certamente un successo relativo dell'opinione pubblica spagnola aver ottenuto che il re non metta agli Interni un vecchio « boia » del '39 o un militare. Ma non sì deve dimenticare che nel 1966 anche Franco chiamò al governo alcuni ministri toccati dal « demone » della liberalizzazione. Fa piacere che Marcelino Camacho, liberato dal carcere, subito arrestato, sia liberato ancora per confermare che adesso il franchismo desidera avere un « volto umano ». Ma diciamo la verità: un po' di amarezza degli ultras (che non hanno avuto lo spazio che volevano nel governo) e un po' di « franchismo dal volto umano » sono cose del passato più che dell'avvenire. Franco, allo stesso modo, fu « liberale ». Abbiamo perso il senso tra le parole e le cose? Anche sul piano governativo, il re fa la «paella» come la faceva Franco: un po' dì gamberetti, un po' di salsiccia, un po' di cacciagione; quest'ultima per i palati raffinati. Ma se la « paella » è buona, la strada della libertà risulta ancora lunga, com'era lunga nel '66. Fraga Iribarne, chi era costui? Il neoliberale ministro fu già neoliberale con Franco; eppure fece la famosa riforma della censura, che fu peggio della censura precedente. E il conte di Motrico? La persona è degna, come il nostro duca d'Acquarone; ma forse non dimentica il giorno in cui decise di non servire più il re in esilio per servire un principe chiamato alla Corte del Pardo. Certamente bella, pertanto, è la favola di un re prigioniero di un sistema che gl'impedisce di andare più in là. Ma se fosse vero il contrario? Non comincia per caso la favola di un re che imprigiona la Spagna con carcerieri più « gentili»? Dopotutto il <. pilota » resta Carlos Arias Navarro: ex ministro degli Interni franchista, ex procuratore militare nella guerra civile, noto per il suo zelo come « boia di Malaga », dittatore della polizia dal 1957 al 1965, titolare di un trofeo di caccia dove risplendono i nomi di Grimau, Granados, Delgado. Si potrà certo dire (siamo in Spagna) che questa gente governò in passato « por amor de la fiebre », come Santa Teresa di Avila, e la « fiebre » non è più di moda. Ma ci sono troppi « miracolati» nel sistema per credere al miracolo regale. Questa compagnia di folgorati sulla strada di Damasco merita molti auguri e molta diffidenza. Due sole cose daranno il segno del cambiamento, e insieme l'annuncio del « miracolo regale » di una guarigione: il rinnovo dei codici e un sistema elettorale democratico. Ma il re significa una Spagna manichea, che si è data un'anima legale diversa dall'Occidente, e uno spirito politico rovesciato rispetto a quello democratico. Prima ancora di essere una macchina per « sorvegliare e punire », alla Fouché, questa Spagna teme (come diceva Franco) « gli stupidi demoni del XIX secolo », vale a dire le libertà personali legate alla cultura liberale-illuminista. Più che guaritore di lebbre, più che taumaturgo, il re debutta come esorcista di questi valori, che sono « demoni » anche per lui. Non è facile che guarisca lebbre, scrofole, bubboni, dato che ha lo stesso senso del male che aveva l'untore. Alberto Cavallari Madrid. Juan Carlos, il giorno dell'investitura