La forza di reagire all'arbitrio di Paolo Garimberti

La forza di reagire all'arbitrio La forza di reagire all'arbitrio (Dal nostro inviato speciale) Oslo, 10 dicembre. Elena Georgevna Sacharova ha ricevuto oggi il premio Nobel per la pace destinato al marito: un diploma, una medaglia e un assegno di 790 mila corone, oltre 90 milioni di lire. Le erano vicini, nell'ottocentesca aula magna dell'università di Oslo, Viktor Nekrasov, Aleksandr Maksimov e Aleksandr Galic, tre scrittori sovietici puniti con l'esilio a vita per il loro dissenso dal regime, e Melik Agursky, per anni compagno del professor Sacharov nella lotta per i diritti civili in Urss ed emigrato mesi fa in Israele. «Questa — dicevano — è una festa grande per tutti noi e per la causa dei diritti civili nell'Urss». Mentre si svolgeva la cerimonia, Andrej Dimitrevic Sacharov, cui le autorità sovietiche hanno rifiutato il permesso di venire a Oslo per ricevere personalmente il premio, si trovava davanti al palazzo del tribunale di Vilnjus (in Lituania), dove era in corso il processo contro Sergej Kovalev, un «dissidente» accusato di «attività antisovietica». Sacharov avrebbe voluto assistere al processo e deporre in favore dell'imputato, ma la polizia politica locale gli ha vietato l'accesso all'aula. Da due giorni, il premio Nobel per la pace continua così, nella strada antistante il tribunale, la sua solitaria manifestazione di solidarietà verso Kovalev, che rischia una condanna fino a 12 anni di carcere. Ma stasera, nella limpida notte nordica di Oslo, almeno duemila persone, tra le quali molti parlamentari norvegesi, sono sfilate nelle vie del centro reggendo fiaccole e cartelli in favore di Kovalev e delle migliaia di «prigionieri di coscienza» sovietici, e invocando un'amnistia generale per i detenuti politici di tutto il mondo. I manifestanti — guidati da Egil Nansen, nipote di un esploratore polare norvegese degli Anni Venti — si sono fermati davanti al Grand Hotel, acclamando la signora Sacharova Ho vissuto con Elena Sacharova i momenti che hanno preceduto la cerimonia della consegna del premio Nobel. Erano con lei Nina Harkevic e Maria Olsufieva, le due signore di origine russa che la ospitano e l'assistono nella lunga convalescenza post-operatoria in Italia, e il professor Prezzotti, che l'ha operata agli occhi a Siena. Elena Sacharova ha voluto che chiamassi Mosca per avere le ultime notizie sul processo di Vilnjus e sul marito. Era eccitata ed emozionata, leggeva e rileggeva il discorso che avrebbe dovuto pronunciare di lì a poco, in nome del marito, davanti al re Olaf, ai rappresentanti del governo norvegese, al corpo diplomatico e alla folla di invitati. Nell'aula magna dell'università, quando le è stato consegnato il diploma, ha pianto ed è parsa sopraffatta dalla commozione, ma ha ritrovato coraggio e freddezza quando ha letto il messaggio fattole pervenire dal professor Sacharov, al quale ha voluto premettere una sua introduzione personale, modoficata all'ultimissimo momento sulla base delle notizie ricevute da Mosca, per ricordare che, in quello stesso momento, il marito era a Vilnjus «al freddo in messo ad una strada davanti ad un tribunale». Poi, Elena Georgevna ha dato lettura del messaggio di Sacharov, nel quale egli ringrazia il comitato per il Nobel perché il premio a lui conferito «è un potente appoggio alla mia attività, alla difesa dei diritti civili contro l'arbitrio e l'illegalità»; si congratula per «l'atto di coraggio intellettuale e di anticonformismo» compiuto dal comitato attribuendo il premio «ad un uomo le cui concezioni non coincidono con quelle dei dirigenti di una grande e minacciosa potenza»; e, infine, si augura che lo «spirito di tolleranza e di reale distensione» che ha ispirato il comitato per il Nobel «possa essere condiviso con il tempo anche da chi ha manifestato dubbi o irritazione» per la scelta della sua persona. La cerimonia, ancorché semplicissima e senza alcuna pompa, è stata carica di tensione emotiva dall'inizio sino alla fine. Alle 13,15, dopo che la famiglia reale aveva fatto il suo ingresso nell'aula con un quarto d'ora di ritardo sull'orario previsto, l'orchestra sinfonica della radio norvegese ha intonato un'aria del compositore locale Olav Kielland: brutta musica marziale, ma molto emblematica come dice il titolo («La marcia del coraggio») che potrebbe essere ispirato dall'attività di Sacharov. Ha preso poi la parola Aase Lionas, un'anziana signora dal viso spigoloso e dai capelli rosso fulvo, presidentessa del comitato per il Nobel. Polemicamente, la signora ha sottolineato che il comitato pinpfgvhmlglppnvmiCdhnsbsfsEdcdp per il Nobel «è un organismoindipendente» che nessuno — neppure le grandi potenze — possono influenzare; e ha definito Sacharov «uno dei più grandi campioni dei diritti civili della nostra epoca» che ha pienamente realizzato il motto di Goethe: «Soltanto l'uomo che combatte ogni giorno per esse è degno della libertà e della vita». Mai, nel suo discorso, la presidentessa del comitato per il Nòbel ha nominato l'Unione Sovietica, ma per due volte ha criticato indirettamente, con estrema durezza, il regime repressivo del Cremlino. Dapprima riferendosi agli accordi di Helsinki, ha detto che «nessuno Stato e nessun uomo politico può sopprimere o evadere gli obblighi politici e morali imposti da certi articoli (dell'atto finale della Conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa: n.d.r.) riparandosi dietro argomenti formalìstici... perché ciò sarebbe un tradimento dell'umanità e della pace». Poi ha «deplorato» il che Andrej fatto non sia stato autorizzato presenziare alla Sacharov a cerimonia (condividendo così la sorte dell'uomo che quarant'anni fa, nel 1935, fu insignito del premio per la pace: il suo nome era Cari Von Ossietzky (giornalista e pacifista tedesco, morto in un Lager nazista). Questo accostamento tra la Germania di Hitler e la Russia di Breznev deve aver fatto fischiare le orecchie dell'ambasciatore sovietico Jury Kiricenko (genero del ministro della Difesa e membro del Politbjuro del pcus, Andrej Grechko), il quale ha disertato la cerimonia insieme con tutti gli ambasciatori dei Paesi dell'Europa socialista. Alcuni giorni fa, Kiricenko aveva rinviato al mittente, senza neppure aprirla, la busta contenente l'invito ad assistere alla consegna di un premio Nobel che il suo governo ha ufficiai mente condannato come «una provocazione» e «unoperazione di pornografia politica». Paolo Garimberti