Tra gli uomini del Mpla nella foresta angolana di Francesco Fornari

Tra gli uomini del Mpla nella foresta angolana Incerto fronte d'una guerra crudele Tra gli uomini del Mpla nella foresta angolana (Dal nostro invialo speciale) Caxito, 8 dicembre. L'autorizzazione è arrivata insperata, dopo giorni di attesa: posso andare sul fronte settentrionale, accompagnato da un ufficiale, restando però entro i limiti di sicurezza. Avrò presto modo di constatare che questi limiti non si spingono oltre i 70 chilometri da Luanda, vale a dire che invece del fronte dovrò accontentarmi di visitare le retrovie. Mèta del viaggio è Caxito, importante centro di circa cinquemila abitanti, dove fino all'altro giorno si è combattuto furiosamente con alterna fortuna da entrambe le parti. Adesso il villaggio è saldamente in mano alle trippe del Mpla: disorganizzati e sconfitti, i partigiani del Fina ed i mercenari bianchi dell'Elp (Esercito di liberazione del Portogallo formato da ex agenti della polizia segreta e da ferventi seguaci del generale Antonio de Spinola) risalgono disordinatamente verso il Nord ed hanno già abbandonato i villaggi di Quicabo e Libongos, mentre la battaglia divampa ancora furiosa a Tabi, sul fiume Onzo, che secondo alcuni sarebbe già stata conquistata (o meglio «liberata», secondo la terminologia ufficiale in uso presso il quartier generale) dal Mpla. Superati i molti posti di blocco all'uscita di Luanda, ci avventuriamo sulla strada che corre attraverso il «mato», la boscaglia. Incontriamo i primi enormi baobab, la rigogliosa vegetazione tropicale si infittisce a mano a mano che procediamo verso l'interno, dall'alto degli alberi famiglie di macachi spiano curiosi e preoccupati la nostra marcia. Attraversiamo Cacuaco, un villaggio a circa 15 chilometri dalla capitale: gli abitanti sono tornati nelle loro case, Juju Silva, l'ufficiale che mi fa da guida, mi fa visitare la fabbrica della farina di pesce in piena attività. Poche le tracce della guerra: qualche muro sbrecciato dai proiettili, la carcassa di un autoblindo dell'esercito dello Zaire rovesciata oltre il ciglio della strada, una lunga fila di donne in attesa davanti all'unico negozio di alimentari aperto. Molte portano il figlio di pochi mesi appeso ad un lembo della «futa» sulla schiena: aspettano da ore sotto il sole cocente per una pagnotta ed una manciata di farina di mais. Il caldo aumenta col passare delle ore mentre i fastidiosi «mosquitos» (zanzare) moltiplicano i loro assalti. Lungo la strada sono sempre più visibili i segni della guerra: cassette vuote di munizioni, bossoli di proiettili d'artiglieria, involucri di protezione delle granate. Ci fermiamo di continuo perché il mio accompagnatore vuole farmi vedere che si tratta di materiale americano: ci sono scritte in inglese sulle cassette, la dicitura U. S. Army è chiaramente visibile. Con aria trionfante Juju Silva indica un pacchetto vuoto di sigarette gualcito nell'erba. La marca è ben visibile: «Zaire». «Queste sigarette vengono prodotte nel Paese del signor Mobutu», dice la mia guida. E mi spiega che nella zona fino all'altro giorno c'era un esercito nemico formato da «1200 soldati dello Zaire, cento mercenari dell'Elp, altrettanti sudafricani e solamente mezzo centinaio di angolesi». Arriva un carro blindato del Mpla: i soldati ci salutano festosi, ci offrono «mangos» che hanno raccolto nella foresta. Sono dolci e profumati. Raggiungiamo Porto Quipiri. Due giorni or sono per queste strade si combatteva ancora, gli abitanti sono fuggiti nella boscaglia, le case vuote mostrano evidenti i segni del saccheggio. Mobili sventrati a colpi d'asciti in mezzo alla via principale. «Vandalismo», dice Juju Silva con disprezzo. Sono stati quelli del Fina, naturalmente. Sui muri ci sono scritte inneggianti al «presidente»; a Holden Roberto, a Savimbi, al Fina, parzialmente ricoperte da altre più fresche esaltanti il presidente Agostinho Neto, il Mpla. I motti della rivoluzione: «A luta continua», «A vitoria è certa», «Abaìxo o imperialismo». Attraversiamo il ponte sul rio Dande. Questo ponte ha una storia curiosa: è stato costruito con elementi mobili dal Fnla per permettere il passaggio delle truppe dirette verso Luanda, in sostituzione di quello in muratura distrutto nei primi giorni di guerra. «Afa sono scappati così in fretta che non hanno fatto in tempo a portarlo via», commenta divertito il comandante Silva. Alle 13 ci fermiamo all'ombra di un colossale baobab, dove sostano già altri soldati. Mi offrono delle radici di «mandioca», il cibo della resistenza. Per anni, mi spiegano, i partigiani del Mpla che hanno combattuto contro le truppe portoghesi nascosti nella boscaglia si sono nutriti soltanto di queste radici. Morbide, polpose, leggermente acidule, riescono a calmare i mftmcdsmrindnrptpmpstl morsi della fame ma non so fino a quando un europeo potrebbe resistere senz'aura alimentazione. Il frugale pasto termina con una buona bevuta di latte di cocco (agilissimi i soldati si sono arrampicati fin sui rami più alti degli alberi per raccoglierli) e ci rimettiamo in cammino. Ancora una decina di chilometri ed ecco Caxito, teatro di spietate violenze da parte del Fina e dei mercenari che, mi dicono, avrebbero torturato e fucilato trenta persone sospettate di simpatizzare col Mpla. Da queste parti si è combattuto furiosamente fino all'altro ieri: le prime case del paese sono state sventrate dai colpi d'artiglieria. La tecnica usata dalle forze del Mpla è sempre la stessa. Prima un nutrito fuoco di sbarramento con cannoni e mortai, poi la rapida avanzata delle truppe «a ventaglio» attraverso la boscaglia. Si tratta di una tecnica ormai collaudata e di sicuro successo. «Il nemico si attesta sempre vicino ai paesi, ai villaggi — mi spiega Juju Sil¬ va — dove ci so?io le strade. Non si addentrano nel "mato" perché hanno paura ed occorrerebbero migliaia di uomini per coprire pochi chilometri. Per noi è facile: con l'artigleria distruggiamo le loro fortificazioni, poi avanziamo attraverso la boscaglia. I nostri uomini sono addestrati alla guerriglia, conoscono ogni palmo di terreno e non hanno paura». A Caxito le cose sono andate per le lunghe perché i soldati nemici avevano molti cannoni e carri blindati, ma alla fine sono scappati in fretta e furia perché rischiavano di essere circondati. «I carri blindati non servono nel "mato", non riescono a muoversi», spiega la mia guida. Caxito, una città fantasma. Pochi soldati si aggirano nelle vie deserte, fra le case vuote. Gli abitanti sono fuggiti nella foresta: adesso gli uomini del Mpla li stanno cercando per riportarli indietro. Sono rimasti soltanto i cani: magri, spaventati, stanno sdraiati davanti alle case dei loro padroni ma scappano terrorizzati se arriva qualcu¬ no. Ovunque i segni del saccheggio, della distruzione: un vecchio frigorifero crivellato di colpi e abbandonato su un marciapiede, la bilancia di un negoziante fatta a pezzi in mezzo alla strada. Davanti alla chiesa nuova dalle grandi vetrate colorate (parecchie ridotte in frantumi) incontro Henriquez. E' un «pioneiro», un soldato di appena dieci anni. Indossa una tuta mimetica che gli casca da tutte le parti. Porta un grosso cinturone con una borraccia appesa, sulla spalla tiene un fucile mitragliatore di fabbricazione russa, di quelli col caricatore a tamburo. Ha lo sguardo furbastro del monello, un sorriso accattivante. «Che cosa fai con questo fucile?». «Faccio la guerra, compagno», è la risposta sicura. «Ma lo sai usare?». Quasi si arrabbia: «Certamente, camarada. L'altro giorno ero la a combattere». Indica un punto nella boscaglia, ad un centinaio di metri, proprio di fronte ad una casa semidiroccata dove c'era una postazione di mitragliatrici nemiche. Francesco Fornari

Persone citate: Antonio De Spinola, Holden Roberto, Juju Sil, Juju Silva, Neto, Silva

Luoghi citati: Luanda, Onzo, Portogallo, Zaire