Controllabili i rischi della "scelta nucleare,,

Controllabili i rischi della "scelta nucleare,, Controllabili i rischi della "scelta nucleare,, Nel corso della polemica apertasi tempo fa a Parigi (e che ora sembra ripetersi da noi) intorno al cosiddetto « patto col diavolo » — vale a dire intorno alla decisione di potenziare i programmi elettronucleari — è stata sottolineata da più parti la pericolosità intrinseca del materiale radiattivo e sono state affacciate le più apocalittiche eventualità negative. Si è così concluso, da alcuni, che il rischio della « via nucleare » è troppo grande. Conclusione, a nostro avviso, ingiusta e anzi assurda. Sarebbe come rinunciare ad accendere il fuoco perché ci si può bruciare. Ma è possibile non bruciarsi affatto. Resta la realtà che l'opinione pubblica è divisa: anche perché tutti viviamo ormai con racchiuso nel nostro inconscio un ancestrale e quasi magico « terrore dell'atomo ». L'energia nucleare è nata male, con le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki. Nel mondo esiste un arsenale di ordigni di fissione e di fusione (bombe A e H) di tale entità (pari a forse mille milioni di volte il carico di esplosivi sganciati su tutti i fronti durante la seconda guerra mondiale) da rendere tutt'altro che fantastica la terrificante possibilità di distruggere l'intero pianeta. Inoltre la scienza biologica c'insegna quali gravi conseguenze potrebbe avere non solo per noi ma per i nostri discendenti ima vasta disseminazione di sostanze radiattive. E' quindi naturale che la gente si chieda se è proprio neces¬ sario ricorrere all'energia nucleare per il nostro fabbisogno di elettricità. Non si osa troppo? Una risposta univoca non esiste. E' chiaro che l'attività nucleare presenta, come tutte le attività umane, una certa gamma di rischi. Ma d'altra parte è certo che nei trenta e più anni trascorsi dalla prima pila atomica (Fermi dicembre 1942) e nei venti e più anni trascorsi dalle prime centrali elettronucleari (Inghilterra, Unione Sovietica) non vi sono mai stati incidenti veramente gravi. Così per esempio il 22 marzo scorso alla centrale Browns Ferry in Alabama in seguito ad un principio d'incendio bloccato in tempo, ma che comunque ha fatto « saltare » sette dei dodici sistemi indipendenti di monitoring e di sicurezza. La protezione Anzitutto occorre fare una distinzione preliminare fra pericoli naturali, legali alla quantità di sostanze radiattive messe in opera e alle energie accumulate nelle centrali e pericoli straordinari, come guasti, attentati, incidenti. I pericoli naturali non sono completamente eliminabili, sono tuttavia controllabili. E' certo che gli impianti nucleari emettono durante il loro funzionamento tenui quantità di sostanze radiattive che vengono lasciate sfuggire allo esterno del complesso (limite inferiore dei sistemi di filtro). Ma si tratta sempre d'una quantità assoluta¬ mente irrilevante (molto meno di cinque millirem annui per chi abiti nelle immediate vicinanze d'una centrale) quando si pensi che ciascuno di noi riceve in media tra 100 e 200 millirem per anno di irradiazioni dovute all'ambiente naturale, raggi cosmici, radioattività del suolo, radioattività naturale dei cibi e dell'acqua. La « soglia di pericolo » stabilita dagli organismi internazionali non viene neanche sfiorata di lontano. La protezione immediata (acciaio, calcestruzzo) è tale insomma da non lasciar passare all'esterno radiazioni in grado di nuocere. Si può concludere, proprio in seguito alle misure di protezione imposte dalle leggi: le emanazioni radiattive d'una centrale nucleare che nei casi peggiori finiscono per fluire all'esterno sono, tutto sommato, meno avvertibili, meno pericolose e meno inquinanti delle polluzioni «tradizionali» provocate da una tipica centrale termica, quali polveri ed ossido di azoto, ossidi di zolfo ed ossidi di carbonio. Dal punto di vista emotivo è interessante il fatto che mentre le popolazioni molte volte si oppongono ad ospitare nel loro territorio una centrale atomica per paura della radioattività, quando la centrale è in funzione da un certo tempo le popolazioni diventano favorevoli, segno che non hanno ricevuto nessun danno di alcun genere: caso nostro di Trino Vercellese, caso altresì di tutte le centrali inglesi, che in ordine di tempo sono state fra le prime del mondo. E' curioso, ad esempio, che l'ente nucleare francese EdF, corrispondente più o meno al nostro Enel, abbia pensato, per vincere la riluttanza di certi comuni, di inviare a sue spese, in un qualche paesino inglese che già ospiti da tempo una centrale, un certo numero di abitanti del comune, scelti a sorte fra le varie categorie, commerciar! ti industriali, operai, ecc., affinché stiano per qualche giorno a contatto con la popolazione inglese interessata, interroghino chi vogliono, stiano a sentire. Già più volte sono tornati indietro convinti che la centrale atomica non è il mostro che si dice ed hanno annullato la precedente opposizione. Il meteorite Un'ultima osservazione. Abbiamo detto che le « perdite » radiattive sono irrilevanti, quando tutto va come deve andare. Ma se si guasta qualcosa? E' possibile, entro certi limiti, ma la protezione imposta dalle leggi è così massiccia e multiforme che non si vede come possano derivarne conseguenze gravi: negli Stati Uniti, per esempio, hanno chiuso negli ultimi mesi ben 21 centrali per guasti ai circuiti di raffreddamento e vibrazioni anormali, riscontrati solo in alcune. Se ne è approfittato per rendere ancora più rigorose le misure di sieuie7za. Ma nessun incidente ha comunque provocato disastri, né morti né malattie, e nemmeno conseguen¬ ze avvertibili (a parte la paura retrospettiva). Il problema delle scorie radiattive è indubbiamente reale. Le « ceneri » del combustibile nucleare sono radiattive e devono essere trasformate e riutilizzate (riciclaggio) e per la parte che non è possibile riciclare, conservate in luoghi protetti. Finora (sono ancora relativamente poche le centrali atomiche in funzione nel mondo) è stato possibile conservare i residui tossici in contenitori ermeticamente chiusi e sepolti in zone geograficamente stabili (per esempio, una miniera di sale) o « vetrificati » come in Francia a Marcoule. Vi sono poi molti altri progetti, più fantasiosi e costosi, ma realizzabilissimi: dai cassoni di cemento sprofondati sotto l'oceano all'immissione del materiale pericoloso in un'orbita diretta verso il sole. Il problema è facilitato, in certa misura, dal fatto che l'isotopo radiattivo più ha lunga vita, meno è « intendo » e viceversa. In conclusione (le scorie radiattive finora accumulate in tutto il mondo potrebbero stare comodamente su una superficie non più grande di un campo di calcio) il problema esiste ma è solubile. Certo, occorre affrontare le spese relative. Secondo Norman Rasmussen dell'Istituto di Tecnologia del Massachusetts, una catastrofe nucleare ha la stessa probabilità di verificarsi che un quartiere urbano di essere distrutto da un meteorite. Umberto Oddone

Persone citate: Norman Rasmussen, Umberto Oddone

Luoghi citati: Alabama, Francia, Hiroshima, Inghilterra, Marcoule, Massachusetts, Nagasaki, Parigi, Stati Uniti, Unione Sovietica