Il poco frumento e la grande fame

Il poco frumento e la grande fame Le carestie nel mondo Il poco frumento e la grande fame Ricorrono, di questi tempi, accenni e riferimenti al cattivo raccolto del grano nell'Unione Sovietica, cui sopperiscono i surplus granari degli Stati Uniti. Questa circostanza sembra portare conseguenze negative anche per noi, se l'Urss è stata indotta a rivedere a nostro svantaggio i modi di pagamento dei tubi italiani dell'Italsider. La scarsità di approvvigionamenti alimentari non è un fenomeno soltanto russo. Il fabbisogno mondiale di cereali (e di mangimi per ottenerne latte e carne: vedasi il pregevole studio di L.R. Brown, Di solo pane, Bibl. Est Mondadori. Milano 1975) cresce del 2,5% all'anno, e di tanto almeno dovrebbe crescere la produzione. In realtà oggi l'Europa, l'Asia, l'Africa debbono importare cereali; l'importazione avviene, per la massima parte, dal Nordamerica (Stali Uniti e Canada), in minor misura dall'Australia e dalla Nuova Zelanda. Gli Stati Uniti esportano attingendo alle loro « rimanenze » (cioè alla quantità di granaglie che si trova nei loro depositi quando incominciano ad affluire i nuovi raccolti). Dal '61 a oggi, d'anno in anno, queste riserve sono diminuite. Valutandole nella misura, eloquente, del numero dei giorni del consumo mondiale corrispondenti, esse sono discese, con qualche piccola oscillazione, dai 95 giorni del '61 ai 26 del 74. Poiché in tutto il mondo sempre più si attinge al «paniere americano» (soprattutto statunitense) per il ristabilimento dell'equilibrio alimentare, e poiché il contenuto del suddetto paniere decresce di circa cinque unità ogni anno, la situazione si annuncia preoccupante. Qualche rimedio si può trovare nell'aumento della superficie coltivata (e nell'aumento della produttività della superficie già in coltivazione) c a questo intento si opera da più parti, soprattutto con la ricerca e il ritrovamento di sementi che danno maggiori rese. All'aumento della terra lavorata si dovrà addivenire anche in Italia, invertendo la migrazione dai campi alle città, dove purtroppo oggi si trova disoccupazione più che lavoro. Importa cercare un giusto equilibrio fra la terra coltivata e la popolazione. Se l'estensione d'un territorio fosse proporzionale al numero degli abitanti, avremmo una mappa del mondo molto distorta da quella che ci è abituale (essa è stata disegnata su Le Scienze, del marzo 1975): l'Italia sarebbe il maggiore Stato d'Europa, la Russia avrebbe un territorio esiguo nei confronti della Cina, mentre l'immensa Siberia sarebbe non più che un sottile orlo al nord dell'Asia; l'India, da sola, potrebbe ingoiare l'intera Africa. Tuttavia, se consideriamo l'intero pianeta e la popolazione corrispondente, troveremmo una situazione non medicabile neanche con una eventuale redistribuzione della popolazione (d'altra parte impossibile). Infatti, mentre le terre coltivate coprono suppergiù sempre la stessa estensione, la popolazione continua a crescere col tasso del 2°'o. Si possono ancora guadagnare terreni agricoli nell'Africa tropicale, nel Bacino delle Amazzoni; ma milioni di ettari vanno perduti, nei Paesi sviluppati, per fare spazio a fabbricati, città, strade, aeroporti, campi sportivi, centri residenziali. Nei Paesi poveri e fitti di gente e intensa l'erosione del suolo: ivi l'aumento congiunto della popolazione animale spoglia la campagna del prezioso rivestimento d'erba. 11 processo non è di oggi: l'Africa Settentrionale, già granaio dell'Impero Romano (quidquid de Lybicis verritur areìs, lasciò scritto Orazio nella prima delle sue Odi. per indicare la quantità strabocchevole di grano), oggi è in parte desertica. Qui chiudiamo il discorso, per non essere tacciati di «cassandrismo», come accade a coloro che, guardando ai mali presenti e a quelli che ci minacciano per il futuro, ne cercano le cause vere, una delle quali è lo squilibrio fra le risorse (alimenti, energia, materie prime) e il numero di quelli che sono destinati a fruirne. Didimo

Persone citate: Brown