Giustizia rapida per l'orefice ucciso

Giustizia rapida per l'orefice ucciso Probabilmente il processo si terrà entro l'inizio dell'anno prossimo Giustizia rapida per l'orefice ucciso I responsabili sono tutti in carcere e hanno confessato agli agenti della "Mobile" - E' stato il più giovane a ideare il colpo: suo padre ha abbandonato da tempo la famiglia, la madre è alle "Nuove" accusata di rapina - Anche i complici sono usciti dalle strade più miserabili della città, dove si impara fin dai primi anni lo scontro frontale con la società - L'incredibile incoscienza con cui il "colpo" alla gioielleria è stato preparato e fatto Potrebbe essere processata prima di Natale la banda responsabile dell'omicidio dell'orefice di via Guido Reni, Michele Brossa, ucciso da un proiettile sparato da uno dei due banditi entrati nel suo negozio, alle 10 e 30 di venerdì 5 dicembre. Questa è l'opinione del sostituto procuratore della Repubblica Burzio che dirige l'inchiesta. Gli imputati, quattro ragazzi, sono tutti rei confessi. Il delitto è stato ricostruito nei minimi dettagli. L'unico ostacolo procedurale, che potrebbe ritardare il processo, è la presenza di un minorenne, che richiede la perìzia psichiatrica. In ogni caso 11 dottor Burzio ritiene di poter rinviare a giudizio i quattro, dopo averli Interrogati, entro quaranta giorni, in modo da « radicare » il processo alla corte d'assise. Poi gli avvocati difensori potranno chiedere proroghe e termini a difesa. Ma il processo si farà in ogni caso all'inizio del 1976. La polizia ha fatto bene il suo lavoro. A distanza di quattro ore dal delitto era già sulle tracce degli assassini. Che questi non avessero scampo è anche confermato dal fatto che nel quartiere la gente, nel bar, nelle case, per strada, sapeva già chi erano gli assassini: avevano agito con tante stolide imprudenze, con cosi Incredibile ingenuità da lasciare una traccia larga coma un'autostrada. In vicende come questa, ciò che stupisce di più è proprio questo: la giovane età dei protagonisti e la sconcertante certezza di Impunità che sembra accompagnarli. Agiscono come se la polizia non esistesse, la società fosse incapace di reazione, mirando solo al bottino con una ottusa, cieca violenza. Anche in questo caso, l'i Ideatore » del colpo è stato 11 più giovane, Ettore Ronco, quindicenne. Per andare in centro prendeva quasi ogni giorno l'autobus che passa davanti alla gioielleria di via Guido Reni. L'idea della rapina è nata cosi, perché la bottega sembrava abbastanza Isolata, via Guido Reni offriva agevoli possibilità di fuga, perché orologi e gioielli sembravano un bottino facile, senza rischio. Ma chi sono veramente gli assassini dell'orefice Brossa? Il più giovane, Ettore Ronco, quindici anni, ha esordito nel crimine a dodici anni. A casa sua, in corso Salvemini 25/1, c'è una nonna che bada ai sei fratelli Ronco. La madre Onorina Mazzucchetti, 39 anni, è attualmente alle Nuove, accusata per una rapina compiuta a Rivalta il 18 novembre dell'anno scorso. Il padre da parecchio tempo è sparito dalla cir- colazione e non si sa nemmeno dove sia. In queste scarne notizie c'è tutta la storia di un ragazzo « sbagliato », a cui né la famiglia, né la società hanno mai offerto la minima opportunità di scegliere una strada che non fosse quella della violenza. La storia di questo delitto, del resto è tutta « sbagliata »; tutta fuori della realtà: nemmeno come criminali i protagonisti sembrano capaci di interpretare la loro parte. Sono « disadattati » perfino nella valutazione del rischio, nella preparazione dsl colpo. Ettore Ronco avvicina Danilo Careddu, 22 anni, un volto femmineo, frequentatore di locali per travestiti, in libertà provvisoria. Gli parla del progetto in una pizzeria affollata, fra gente che coglie frasi e accenni compromettenti. Al processo saranno in molti a testimoniare su questo particolare. Danilo Careddu è alle prime armi, si comporta come un personaggio da fumetti. «Dobbiamo cercare un duro», dice a Ronco. E a sua volta fa 11 nome di Carmelo Di Tavi, 18 anni compiuti il 24 novembre scorso, festeggiati in libertà dopo essere riuscito a fuggire dal Ferrante Aporti dieci giorni prima, assieme a due compagni, segando le sbarre di un gabinetto. Abita nel caseggiato di via De Bernardi, che la polizia conosce come « Fort Apache », perché è impossibile a un uomo in divisa avvicinarsi senza essere scorto da cento sentinelle. Un vivaio delle nuove leve della malavita: altri ragazzi che non conoscono altro, fin dai primissimi anni, che lo scvarogichunlapstrab« ablatoreb scontro frontale con la società. A questo punto si tratta di trovare le armi. Spunta fuori Omero Burtini, 22 anni, fisico da pugile, precedenti per furto, anch'egli in libertà provvisoria. E' un ex-carabiniers. La legge la conosce ma soltanto per infrangerla meglio. Garantisce di poter piazzare la refurtiva e si fa prestare un'auto, la « 125 » per garantirsi l'impunità e fornire alla banda la seconda auto, quella « pulita », da usare dopo aver abbandonato la « 127 » usata nella rapina. Il piano ormai è a punto. Ronco passa a prendere Careddu e Di Tavi sulla « 127 » rubata. Arrivano in via Guido Re- ni, dove si fermano a pochi metri dall'oreficeria di Michele Brossa. Dal momsnto in cui i due, 11 DI Tavi e il Careddu, entrano nel negozio, la storia prende una piega imprevista. L'orefice, che è tenuto sotto la minaccia delle armi — poco importa se ad impugnarle fosse il Di Tavi o entrambi — si china per prendere un plateau DI Tavi lo afferra per i capelli, perché teme che l'orefice afEerri da sotto il bancone un'arma. Parte un colpo (probabilmente per sbaglio): un solo proiettile che trapassa cuore e polmoni. L'uomo si abbatte senza un gemito. Ronco, all'esterno, sull'auto, si spaventa e comincia a suonare 11 clacson. Di Tavi e Careddu, all'interno, perdono definitivamente la testa quando si accorgono di aver studiato si il modo di entrare ma non quello per uscire. Michele Brossa aveva paura del banditi. Aveva una pistola nascosta sotto il bancone e un meccanismo per bloccare l'ingresso. I gioielli sono lì a portata di mano, ma nessuno ci pensa più. La porta è bloccata, per aprirla bisogna preme un pulsante che nessuno sa dove sia. Dall'esterno arriva il suono dei colpi di clacson, sempre più impazienti, di Ettore Ronco. Il Careddu — è il Di Tavi che racconta — si avventa dietro 11 banco — calpestando il morto, cerca disperatamente il pulsante, terrorizzato, solo per caso lo trova.I due volano letteralmente fuori dall'oreficeria e si gettano nella « 127 » del Ronco. Comincia la breve e disperata fuga. Una ssrie impressionante di errori aiuta gli inquirenti che, comunque, grazie ad un testimone « imprevisto », sono sulle tracce degli assassini a poche ore di distanza dal delitto. Ronco viene catturato all'alba quando rincasa, dopo aver tentato assieme a Burtini di « dimenticare » l'omicidio in una discoteca di Saluzzo. Gli altri lo seguiranno in carcere, n;l giro di poche ore. Omero Burtini, quando sa che la polizia lo ricerca — lo apprende dal telegiornale — si costituisce ai carabinieri di Saluzzo. L'operazione di polizia, guidata dal capo della Mobile Fersini, con il commissario Marco Rosa e i maresciallo Calò, Merico e Mari, è conclusa. Il fratello di Burtini, Bruno, viene arrestato per detenzione e porto abusivo di armi. Sembra che 11 Di Tavi abbia consegnato a lui le armi della rapina e che il giovane In abbia gettate in una discarica lungo la Stura. Un Inquilino di « Fort Apache », Antonio Olive, 48 anni, che dà l'allarme per evitare la cattura del Di Tavi, è arrestato per favoreggiamento. Sono 1= ultime battute di una vicenda ormai conclusa. Oggi il magistrato comincerà gli interrogatori dei rapinatori e dei complici: difensori gli avvocati Verazzo, Andreis, Paroncllll, Dal Piaz. In un episodio come questo fare l'autista, fornire le armi, minacciare o sparare sono ruoli equivalenti. Claudio Cerasuolo Marco Marcilo Ettore Ronco il giovanissimo autista della banda - La madre Onorina Mazzticchetti è in carcere per rapina - Bruno Burtini aveva in consegna le armi

Luoghi citati: Rivalta, Saluzzo