Tristi fantasmi di Salò nei film del "Luce,, di Stefano Reggiani

Tristi fantasmi di Salò nei film del "Luce,, "La Repubblica di Mussolini Tristi fantasmi di Salò nei film del "Luce,, Una pellicola didascalica, per raccontare una tragedia italiana agli smemorati - Proiettata a Firenze, per il Festival dei popoli (Dal nostro invialo speciale) Firenze, 6 dicembre. Mussolini liberato dal Gran Sasso (uno spettro con gli occhi febbricitanti, lo sguardo impaurito nella carlinga dell'aereo); Mussolini sul Garda, che cammina brusco e spezzato come una marionetta («Sono il podestà di Salò»); Mussolini in Germania, che parla alle divisioni italiane addestrate per combattere nella Repubblica Sociale (la mascella tornata dura, un sussiego marziale piegato da un'ombra senile); Mussolini che grida al Teatro Lirico di Milano negli ultimi giorni di guerra (un'oratoria che sembra ritrovare nelle vecchie scansioni l'illusione del consenso). E poi Mussolini che commemora D'Annunzio, Mussolini che gesticola da un piccolo balcone a Milano mentre un manipolo di fanatici si sporge da una terrazza laterale a fare il saluto romano. Immagini inedite dell'ultimo duce. Qualche volta ci si chiede quale privilegio abbia il cinema nella storiografia, poiché già si conoscono gli svantaggi della ricostruzione filmata su quella scritta, saggistica. Certo, l'immagine può essere stravolta dal contesto, montata con inganno, attribuita con falsità: ma quando l'inquadratura è tutta conclusa in se stessa, fissata nella sua testimonianza di un momento e di un luogo, possiede un potere evocativo e documentario che nessuna parola può pretendere. Il film La Repubblica di Mussolini, diretto da Angelo Grimaldi e presentato al Festival dei Popoli di Firenze, ha tratto dagli archivi dell'Istituto Luce una parte del materiale inedito che riguarda la Repubblica Sociale e gli ultimi anni di guerra. E' stato un lavoro di tre anni, colmo di incertezze ideologiche e tecniche, di domande intempestive. Bisogna dare spazio solo ai repubblichini o inserire brani della Resistenza? Bisogna fare un film didattico, ad uso delle scuole e degli stranieri, o un film sulla dissoluzione del regime, sui momenti visibili e terribili del tracollo? Ha prevalso l'idea di fare un film didascalico e avaro: i cinegiornali-Luce dal '43 al '45 sono stati utilizzati con parsimonia, chilometri di pellicola restano ancora da sfruttare. C'era il precedente imbarazzante del «Fascista» di Naldini, il quale, per essersi affidato solo alle immagini e alle voci retoriche dell'epoca, in un'operazione letteraria ed estetizzante, si guadagnò l'accusa di reazionario. Non si è voluto correre rischi (e invece, in questo caso, si doveva assolutamente affrontarli). Il commentatore Andrea Barbato s'è trovato pronto il film di montaggio da riempire con succinte didascalie; il consulente Giampaolo Pansa è riuscito a strappare solo qualche annotazione in più sull'esercito di Salò, sulla disperata ricerca fascista di una legalità repubblicana. Il supervisore, lo storico Deakin, ha ritenuto che il collage fosse sufficiente per raccontare una tragedia italiana agli smemorati e agli stranieri (infatti la pellicola, prodotta dall'Italnoleggio, è già pronta con le didascalie inglesi). L'occasione è mancata per chi voleva di più, ma non è andata persa del tutto. Il film di Grimaldi, nel contesto del Festival dei Popoli, ha aperto negli spettatori più avvertiti come una voglia penosa di riflessione e di confronti. La vicinanza con i documentari americani sulla seconda guerra (la famosa serie di «Perché combattiamo») ha posto un problema di interpretazione ideologica e nello stesso tempo «visiva», come se si trattasse di una recita politica, improvvisamente allargata alla provincia, al mondo. Guardiamo i cinegiornali dell'epoca. C'è qualcosa di torbido e di logico che esce dalle ville sul Garda, dove fu ospite il governo di Salò. Non lo sguardo allucinato di Mussolini, non la brutalità anonima dei ministri in carica, o talvolta la loro aria di burocrati impauriti. Qualcosa di più profondo e più coerente con la storia: in quell'angolo di provincia si celebra l'ultimo e più folgorante atto di una teatralità che trascinò il mondo alla rovina. Con imbarazzo e fastidio, si dovrebbe dire che il fascismo portò l'immaginazione al potere e che, a Salò, rimase appoggiato solo alla sua rappresentazione. Appaiono nei vecchi cinegiorna-1 lzdfdvfmptsmz 1 li uomini che mimano la sostanza del potere: improvvisamente demistificati dopo vent'anni di falsità, liberi ormai da complici mandanti. Nei documentari americani il duce si vede solo di scorcio, sovrasta su tutti Hitler con la sua follia: eppure il fascismo è rimasto nella pratica delle idee politiche e il nazismo è ricordato solo come una tecnica di distruzione. Perché non fu sconfitta la «parola» fascista? Confrontiamo il film di Grimaldi con il documentario «La battaglia di San Pietro» di John Huston, pure presentato a Firenze. San Pietro è un paese della Valle del Liri, vicino al Monte Lungo, dove combatterono truppe italiane schierate con gli alleati. Huston l'ha scelto come esempio della più generale campagna d'Italia. Egli ha compiuto l'operazione inversa dei cinegiornali fascisti: rimane il «teatro italiano», ma rovesciato di segno. Il paese di San Pietro martoriato dalla guerra, dai bombardamenti e dagli assalti, è come un piccolo presepe mediterraneo dove abita una gente felice e un poco ottusa, bambini dai grandi occhi, vecchine che lavorano sugli usci, processioni di chierichetti alla chiesa crollata eppure rassicurante. La guerra passa e libera questo presepe incolpevole, questo teatro fuori del tempo. Ma anche qui, in questo teatro, tra queste scene campestri, nacque il fascismo, inquinò il mondo e coinvolse, forse contagiò, i compatrioti di Huston. Provincialità e universalità del fascismo: il cinema ci porta un'eco di questa moderna contrapposizione, di cui Salò fu solo un lampo nello specchio, una rifrazione rivelatrice. C'è in questo contrasto, persistente, anche la ragione del dibattito sui rapporti tra nazismo e fascismo che in questi giorni occupa gli storici. Per quanto riguarda il cinema, la «rappresentazione» fascista attende ancora di essere analizzata complessivamente: badando, insieme, al copione e agli interpreti, al talento degli attori, di cui l'ultimo duce fu la più fragile e terribile incarnazione. Stefano Reggiani !