Avanguardia e virtuosismi

Avanguardia e virtuosismi Concerto d'organo e recital della Berganza Avanguardia e virtuosismi Un giovane organista di Lecco, fresco di diploma, ha portato, per il Centro Culturale Fiat, il celebre Volumina di Gyorgy Ligeti, il pezzo con cui l'avanguardia musicale aggrediva il venerabile strumento di Bach e di Cesar Franck con clamorosi clu i sters su tastiere alternate, o sovrapposti, e con ogni sorta di strane risorse, non escluso il rumore stesso del motore, se l'organo è elettrico, allo scopo di produrre una specie di « suono muto ». Certo è sorprendente quanto l'organo possa somigliare da vicino alla musica elettronica, e la fantasia che il compositore ungherese vi dispiega è strabiliante. Più che i potenti volumi, cui rinvia il titolo, volumi d'un'architettura di cui esistono solo le incastellature, non gli edifici materiali, più che le « figure senza volto, come nei quadri di De Chirico », ricordate dall'autore, sembra di trovarsi in presenza di fenomeni fisici ed acquatici: il suono frigge, schiuma, ribolle attraverso mareggiate e risacche. Tremolanti movimenti si determinano all'interno d'una sostanziale staticità esteriore, secondo quella formula tipica che Ligeti avrebbe poi sempre attuato a partire dalle non meno celebri Atmosphères, scritte poco dopo questo pezzo, che è del 1961. In apertura di concerto un altro saggio di moderno im¬ piego dell'organo, con Black and white di Donatelli, che però non è originale per lo strumento, bensì trascrizione d'autore d'un lavoro per strumenti ad arco. In questi pezzi l'organista Vincenzo Taramelli ha dimostrato singolare sveltezza di mano e vivacità interpretativa, che meno lo assiste invece nelle forme classiche d'una Toccata e fuga e d'una Fantasia e fuga di Bach. m. m. * * Invitato dall'Unione Musicale al Conservatorio, il mezzosoprano spagnolo Teresa Berganza ha acceso gU entusiasmi di un pubblico stranamente ridotto ma insaziabile nel godere l'arte sovrana di questa cantante spagnola che tutti (o quasi) conosciamo sul palcoscenico dell'opera lirica ma che si ha rara occasione di ascoltare nel repertorio cameristico, dove la sua grandezza non è minore. Il programma, centrato su sette lieder di Schubert, offriva all'inizio un gruppo di arie italiane — Carissimi, Pergolesi, Cherubini, Donizetti — tratte da quel repertorio compreso tra il barocco ed il primo Ottocento di cui la Berganza s'è fatta una vera specialità personale: né si vede dove trovare oggi un'altra che canti lo stupendo lamento «No, non si speri» di Carissimi o ceselli le grazie arcadiche del pergole- siano «Se tu m'ami» con tanta suadenza di voce, una voce calda che scende e sale con sorprendente uniformità timbrica, morbida come un pastello e docile alle minime inflessioni espressive. Questa ricchezza di tecnica e di stoffa vocale non è mai fine a se stessa ma viene esibita con estrema pudicizia, vorrei dire quasi incidentalmente, come fatto accessorio del momento interpretativo. La dolcezza della voce, la discreta spontaneità del gesto, la grazia della figura eleggono questa cantante all'interpretazione di personaggi di mezzo carattere, più inclini al tono elegiaco che alle grandi espressioni tragiche. Tutto il programma dell'altra sera era scelto appunto in funzione di questa dote di fondo, e dai citati lieder di Schubert alle quattro pagine di Fauré, da Granados a Montsalvatge, Teresa Berganza ha offerto un campionario di mezze voci, filature, abbellimenti affrontati con sovrana ed indimenticabile leggerezza. A lei ed al suo accompagnatore il pianista Felix Lavilla il pubblico non si stancava di richiedere bis: e la Berganza ha soddisfatto il desiderio con tre pagine spagnole e due arie dalla Carmen che nel contesto della vita musicale torinese di questi giorni hanno assunto una pic- canto carica provocatoria, 1 p. gal.

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