James Dean, vent'anni di "mito,, per un ribelle disperato e timido di Stefano Reggiani

James Dean, vent'anni di "mito,, per un ribelle disperato e timido Film-inchiesta al Festival dei Popoli di Firenze James Dean, vent'anni di "mito,, per un ribelle disperato e timido (Dal nostro inviato speciale) Firenze, 5 dicembre. IJ' vero che James Dean rappresentò l'avanguardia della rottura giovanile dell'epoca rock, dei cantanti drogati e mistici, della protesta compatta contro l'età e la compromissione adulte? O è vero che fu, all'opposto, l'ultimo prodotto di un divismo manieristico, quale resiste ancora nei reduci gloriosi (Brando)? Sono passati vent'anni dalla morte di Dean e dalla nascita del suo mito. I ragazzi d'oggi lo conoscono appena, ma ci sono signore di trent'anni che ricordano di avere consumato su quell'immagine di delicato protervo la loro adolescenza. Vent'anni sono tanti e sono pochi per misurare il valore di un mito. Ci ha provato un regista inglese, Ray Connolly, in un lungo film-inchiesta, folto di interviste e di brani esemplari. La pellicola è stata presentata al Festival I dei Popoli di Firenze come contributo sociologico alla conoscenza del divismo. La tesi di Connolly, espressa nel sottotitolo, è che Dean fu « il primo teen ager americano ». Una volta, prima degli Anni Cinquanta, c'era un buco tra l'adolescenza e l'età adulta, poi venne James Dean ad occuparlo. L'attore si uccise, durante una folle corsa in macchina, nel 1955 a ventiquattro anni. Bisognerebbe por mente alla natura di quel periodo. Non erano affatto felici gli Anni Cinquanta, ma inquieti e pieni di voglia e di libertà represse. La selvatichezza di Dean, che gli adolescenti capirono subito, non era frutto di protesta ragionata, di contestazione sui valori, come poi avvenne, ma era il peso di una solitudine e di una incertezza, la disperata spinta all'emulazione del mondo adulto. Questa almeno ci sembra l'interpretazione più segreta del patetico mito. Il film di Connolly ce ne fornisce i limiti esterni. Il regista ha raccolto molte interviste: Carrai Baker, Nathalie Wood, Sai Mineo, Dennis Hopper, Nicholas Ray, Sammy Davis Jr. ed altri. Tutti sembrano stupiti, con affetto, dalla nascita di quel mito. Dean voleva imitare Marion Brando, non si sentiva nella pelle del suo personaggio, quando morì era in cura da uno psicoanalista, Una volta che lo invitarono a una festa a cui partecipava Marion Brando arrivò abbigliato come II selvaggio, con la giacca di cuoio. Brando era in camicia e cravatta. Dean voleva fare l'attore per una forma disperata di compensazione. Era attore con tutti. Diceva: « Sul set devi essere naturale ». Ma avrebbe potuto dire: « Nella realtà comportati come sul set ». Un giorno, alle prime scene del Gigante con Elizabeth Taylor, lui era molto nervoso. La celebrità dell'attrice, anche la sua bellezza, lo mettevano in soggezione. Doveva parlarle con naturalezza, non riusciva ad entrare nel ruolo. C'erano migliaia di persone che seguivano le riprese a una certa distanza. Dean ad un tratto abbandonò l'inquadratura, si allontanò di qualche passo, si slacciò i pantaloni ed orinò davanti a tutti. Poi tornò sul set e fu bravissimo. Disse: «Non ci sarei riuscito, se non avessi fatto quella cosa davanti a tutti». Al regista Nicholas Ray (che lo diresse in Gioventù bruciata; è stato chiesto: «Dean era bisessuale? », Ray s'è incupito nell'unico occhio buono ed ha risposto: « Bisessuale, che sciocchezza! Che cosa vuol dire? ». Il film conferma che Dean amò una sola donna, Anna Maria Pierangela Ma poi accadde che l'attrice italiana sposò un cantante sempliciotto di nome Vie Damone. Un'amica dell'Actor's Studio, interpellata se fu l'amante di Dean, risponde: « Non l'ho mai ammesso, non l'ho mai negato». Il mito rende, anche a distanza di tempo. Una volta Dennis Hopper gli saltò nella macchina e gli chiese: « Spiegami come si fa ad essere un grande attore ». James Dean apparve ingelosito e impermalito: subito indifeso. Pare che, col gusto delle macchine veloci, corresse incontro all'autodistruzione. C'erano, dunque, questa rabbiosa timidezza, questa forza solitaria che gli attirarono la simpatia dei ragazzi. Quando la sua macchina si schiantò in corsa egli era pronto per diventare un mito, cioè un riferimento per ciascun adolescente alle proprie inquietudini e ribellioni. E' difficile, dopo venti anni, tentare una storia della insofferenza giovanile, partendo proprio da Dean. Il suo mito è chiuso negli Anni Cinquanta, ma è anche il segno, un avvertimento di quello che accadrà dopo, con altri Dean più disperati, più ribelli, più deboli. O più forti, nel confronto con la viltà adulta. Stefano Reggiani

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