LO SCRITTORE BENCHLEY A MILANO di Alfredo Venturi

LO SCRITTORE BENCHLEY A MILANO LO SCRITTORE BENCHLEY A MILANO Arriva lo squalo bianco ma è fatto di plastica (Nostro servizio particolare) Milano, dicembre. Peter Benchley fa mostra di cascare dalle nuvole quando gli si chiede che cosa il suo squalo simbolicamente rappresenti. « Lo squalo non è un simbolo, — dice. — Non è Nixon, come qualcuno ha detto, non è il comunismo che minaccia l'America né il capitalismo che divora se stesso. E' soltanto un animale dal robusto appetito, che quando gli capita di mangiare un essere umano sembra riluttante a cambiar dieta ». Per lui, per questo trentacinquenne scrittore-artigiano newyorkese, lo squalo si è rivelato un'inesauribile fonte di ricchezza. « Inaspettata », precisa. Il suo libro, Jaws (fauci) nell'edizione inglese, Lo squalo in quella italiana, ha già venduto più di nove milioni di copie nei soli Stati Uniti, senza considerare i circuiti speciali tipo Club del libro, altri due milioni in Gran Bretagna e Australia, un numero imprecisato ma enorme di esemplari nei paesi che non parlano inglese. Il film che ne è stato tratto, con Peter Benchley coautore della sceneggiatura e ancora attore (la parte dell'intervistatore rompiscatole non poteva essere che sua: è giornalista televisivo) in soli tre mesi ha polverizzato storici primati tipo Via col vento o Dottor Zivago, superando gli ottanta milioni di dollari d'incasso nei soli Stati Uniti. Adesso il film sta per approdare anche nelle nostre sale, preceduto dalle ottantamila copie già vendute del libro, che in italiano ha prodotto la Mondadori. Peter Benchley non esita a dirsi candidamente sorpreso da tutto questo. « Sono stato buon tempista », ammette a proposito del filone catastrofico in cui il suo squalo ha fatto una così redditizia irruzione. « E poi, — aggiunge con disarmante spontaneità, — c'è anche caso che sia un buon libro ». Ma tutto è stato incidentale, precisa: non ha fatto il libro cioè per sfruttare il filone. Lo ha fatto semplicemente perché a lui, da anni appassionato studioso di pescicani, un bel giorno si è presentato un problema: che cosa accadrebbe mai se un bestione come certi squali bianchi con cui ha avuto a che fare andasse in cerca di cibo, in piena stagione balneare, dalle parti di una spiaggia alla moda? E come reagirebbero i padroni della costa, promotori immobiliari, operatori turistici? Peter Benchley è un caratteristico prodotto di quella specie di umanità anfibia che la costa orientale degli Stati Uniti partorisce in gran copia. Non sa vivere lontano dai mare. Più che parlare di Conrad, di Melville, di Hemingway, gli imbarazzanti termini di paragone di un prodotto che lui realisticamente definisce artigianale, preferisce rivivere le proprie avventure di mare e di costa. Un paio di volte è stato a un passo dal trasformarsi in cibo per squali bianchi. Era in Australia, vicino alla barriera corallina si facevano riprese subacquee di pescicani. Lui risale per cambiare bombola d'ossigeno, lo blocca un doppio crampo alle gambe e la corrente lo conduce dolcemente verso i bestioni. Lo va a ripescare, appena in tempo, il regista che nel frattempo aveva continuato a girare. Secondo episodio, ancora in Australia, un anno fa. Si gira, stavolta, in una gabbia metallica immersa, simile a quella che nel libro dovrebbe difendere l'ittiologo Matt Hooper dalle fauci del mostro. Arriva lo squalo bianco, afferra le cime che legano la gabbia all'imbarcazione e comincia a trascinare Benchley, prigioniero della sua cella sottomarina, verso gli abissi. « Pensavo che fosse la fine, stavolta il regista era distratto: mi ha salvato il provvidenziale allarme di mia moglie, che aveva intravisto qualcosa». « Il fatto è — dice Benchley — che non riesci ad avere paura. Lo squalo non mi fa paura perché so tutto di lui, la sua perfezione di macchina marina, la sua rudimentale intelligenza, dominaia dal solo problema di seguire i segnali del cibo ». In questo senso, Benchley è come Hooper, l'ittiologo che nel libro finisce nelle fauci dello squalo bianco. « Ma il mio grado di identificazione con Hooper, precisa, non arriva al punto da andare a letto con mogli dì poliziotti». Si arriva al rapporto romanzo-film. Non è vero che ho scritto il libro pensando al cinema, dice Benchley a chi osserva che il romanzo, di per sé, ha già caratteri di sceneggiatura. Bastava, per distogliermi da quella possi¬ bilità, che pensassi alle enormi difficoltà tecniche che un regista avrebbe dovuto affrontare. L'attore protagonista doveva essere uno squalo bianco di sei metri. E' bastato lo straordinario successo editoriale, la facile previsione di un analogo successo cinematografico, perché il problema fosse risolto. Così Steven Spielberg, il regista ventisettenne del film, ha affidato l'interpretazione del ruolo principale ad un bestione di plastica, con un meccanismo interno ad aria compressa, costruito in tre esemplari del costo di centocinquantamila dollari l'uno. E' questo mostruoso fantoccio che nel film terrorizza i bagnanti di Amity, fa rabbrividire milioni di spettatori, alimenta l'impressionante vortice di denaro messo in moto, dice Benchley, dall'«atavica paura di essere mangiati ». Alfredo Venturi

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