I limiti d'azione del nuovo sovrano di Alberto Cavallari

I limiti d'azione del nuovo sovrano I limiti d'azione del nuovo sovrano (Dal nostro inviato speciale) Madrid, 25 novembre. La Spagna aspetta che Juan Carlos I cambi qualcosa. Ma non sono molte le cose che il re può cambiare a breve scadenza, supposto che lo voglia. Ci sono soltanto tre passaggi immediati, prevedibili, capaci di indicare se la monarchia franchista prende realmente qualche distanza dal franchismo. Essi sono l'amnistia, il rinnovo del governo, il cambio del presidente delle Cortes e del Consiglio del regno. La riforma della Costituzione totalitaria, sulla quale il re ha da poco giurato, è cosa invece da tempi lunghi, anzi lunghissimi. L'amnistia (attesa per giovedì, in occasione del Te Deum per il re) può essere completa, graduala, limitata all'indulto. La Spagna ebbe l'ultimo indulto general con la proclamazione di Alfonso XTTI, che lo estese ai reati politici. Franco fece una falsa amnistia totale nel settembre 1939, riservandola ai suoi e limitandola ai delitti compiuti « a favor del tnovimiento itacional ». Successivamente, Franco ricorse spesso agli indulti, selezionando però i prigionieri, senza vera clemenza. Il nuovo re può quindi scegliersi la strada. Se ripete gli indulti « a setaccio » di Franco, non compie niente di straordinario, il segnale sarà dopo tutto continuista. Se procede ad una amnistia gc- nerale, e l'accompagna con qualche parola sui reati d'opinione, o a decisioni di governo sulle leggi eccezionali in vigore, dà invece una prima risposta «politica» all'opposizione che da tempo gliela chiede. Naturalmente non è in una felice posizione per farlo; e non bisogna dimenticare che le poche cose fattibili dal re sono anche molto limitate dalla legge. Dal 1939 al 1958 la legge spagnola ha considerato «enemigo militar» chiunque facesse politica fuori dalle istituzioni riconosciute. Nel 1958 la legge fece poi un passo avanti, considerando {'«enemigo» solo un «enemigo ilegal». Ma nel 1969 fece invece un passo indietro creando un « astado de excepción » che dura tuttora, ripristinando tribunali speciali e processi sommari. Il re non ha molte strade. Può esercitare la clemenza nel quadro della « excepción». Oppure cambia la legge eccezionale, e si riporta almeno alla cosiddetta legalità del '58. Ma non può fare di più, se non cambia la Costituzione che ha giurato. La stessa cosa dicasi per il governo e la presidenza delle Cortes e del Consiglio del regno. Il re può cambiare certamente il governo di Franco, per dimostrare che cambia qualcosa « de facto », visto che non può cambiare tutto « de jure ». Ma vi sono alcune tappe obbligate anche qui. Il re deve scegliere il primo ministro da una terna che gli propone il presidente delle Cortes che, per legge, è anche presidente del Consiglio del regno. Ma poiché il presidente delle Cortes e del Consiglio del regno (Rodriguez de Valcarcel) è scaduto oggi, deve attendere che il Consiglio del regno si riunisca, gli fornisca una terna di nomi da cui scegliere il nuovo presidente che, poi, gli fornirà la terna dei primi ministri potenziali. Qualsiasi liberalizzazione è strettamente legata a un gioco istituzionale fìsso, molto limitato, completamente all'interno del sistema. Sono perno di tutto, infatti, i 15 uomini che compongono il Consiglio del regno: che provengono dalle Cortes, dall'esercito, dal Movimiento, e quindi dalle istituzioni autoritarie dello Stato totalitario. Non vi possono essere quindi grandi variazioni, se il re non nomina dall'alto procuratori di Cortes di sua Fiducia, non li colloca nel Consiglio del regno e questi non influiscano poi sulla formazione delle future terne. Ammettendo che — col tempo lungo — faccia questo, le variazioni saranno però minime, finché il Consiglio del regno rappresenta gli stessi equilibri politico-sociali dell'era di Franco. Ha giustamente scritto lo storico Hugh Thomas in questi giorni, sulla rivista spagnola Cambio, che il fascismo di Franco « non è slato, almeno dopo il '45, simile a quello di Hitler, di Mussolini, Mosley e Degrelle ». Esso ha vissuto di amalgami socio-politici ricavati dal continuo dosaggio di « varie componenti falangisie, monarchiche, tecnocratiche dell'Opus Dei, dell'Azione Cattolica, militari ». Esso « ha formato un establishment », lo stesso che sostiene Juan Carlos. Può Juan Carlos I fare diversamente da ciò che il suo establishment può volere? Il problema rimanda allora alla revisione di questo establishment che, in un Paese aperto, moderno, affacciato all'Europa, con reddito prò capite a duemila dollari, si presenta identificato a un certo tipo di istituzioni « chiuse », basate su referendum manipolati, nomine dall'alto, assenza di partiti politici. Si può infatti supporre che il re voglia inserire alcuni suoi nuovi uomini nella macchina dello Stato con propositi meno franchisti. Ma esiste (come dice Thomas) una « tragedia regal». Se il re non riforma le istituzioni, Vestablishment non può essere riformato. Ma difficilmente un establishment gli consentirà di riformare istituzioni da cui deriva il proprio potere « chiuso ». Salvo grandi pressioni popolari, non sarà facile che il re voglia (supposto che lo voglia) riformare una oligarchia che non lo vuole. Dato ciò che precede, il presente offre al re soltanto le stesse Dossibilità di cambiamento che Franco aveva. Anche Alberto Cavallari (Continua a pagina 2 in quinta colonna)

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